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23/09/2012 15:26:56

Il teologo risponde sul difficile tema della Trinità

Il concilio di Costantinopoli infatti usò il termine «ipostasi», che non significava affatto «maschera», ma «sussistenza», quindi «individuo». L’interpretazione dunque che si dà del dogma sul sito valdese è a dir poco ambigua. Io sono un evangelico modalista, e so che le Chiese modaliste non possono far parte del Consiglio ecumenico delle Chiese. Eppure ci troviamo d’accordo con quanto scrivono Ricca e Tourn sul modo d’intendere il Dio trino. Perché noi fuori [dal Consiglio ecumenico] e i Valdesi dentro? Non credo si tratti di una domanda oziosa. Noi cristiani evangelici modalisti siamo tanti nel mondo, e la nostra esclusione è una grave lacerazione al corpo mistico di Cristo. La spiegazione della Trinità in termini modalisti e la contemporanea presenza nel Consiglio ecumenico che esclude i modalisti pone la Chiesa valdese in una situazione, a mio modesto parere, di imbarazzante ipocrisia. Inoltre ho sempre desiderato studiare per diventare pastore valdese, ma finora ho creduto la cosa inconciliabile con la mia fede modalista. Ma a questo punto domando: potrei diventarlo decidendo, per chiarezza e non per polemica, di sostituire, nell’ordinazione, l’espressione «tre persone» della confessione di fede valdese con «tre modi di essere»? Da quanto ho letto finora sul vostro sito, la risposta dovrebbe essere «Sì».  Antonio Colaiacovo    Succede che una e-mail resti sepolta sotto altre o che il suo arrivo in posta elettronica sfugga al suo destinatario. Dev’essere successo qualcosa del genere con questa email di due anni e mezzo fa, di cui evidentemente non mi sono accorto, dato che non ho risposta su Riforma né mi sono fatto vivo con l’autore in altro modo. Di questo naturalmente mi scuso con il nostro lettore il quale, dopo un’attesa di oltre due anni, ha manifestato vivacemente il suo comprensibile disappunto, pronunciando però un giudizio meno comprensibile di questo tenore: «Sono passati oltre due anni (...) ma non ho ottenuto risposta... Evidentemente per ottenere una risposta non è sufficiente porre una domanda, ma forse bisogna anche firmarsi con qualche titolo importante. Percepisco che non siete più una chiesa per il popolo, ma per le persone molto importanti, oggi dette Vip. Con molta probabilità, a una loro missiva il prof. Ricca avrebbe risposto celermente. A me invece, miserrimo evangelico modalista, non ha risposto affatto. Devo riconoscere che soltanto i pastori delle chiese carismatiche (...) si prendono ancora cura della gente qualsiasi... Da quando per i pastori cristiani ci sono e impegni che contano di più delle piccole anime in ricerca e della ricerca delle piccole anime?».
Vorrei anzitutto rassicurare il nostro lettore dicendogli che la mia mancata risposta è stata del tutto involontaria, dovuta semplicemente al fatto banalissimo che la sua lettera non è mai giunta sul mio tavolo, per un motivo che ignoro: probabilmente per una mia disattenzione, della quale, come ho detto, mi scuso. Vorrei dirgli, in secondo luogo, che non conosco personalmente quasi nessuno di coloro che scrivono a questa rubrica, quindi non so se siano Vip oppure no, a parte il fatto che la cosa non mi interessa affatto. Anzi, mettiamola così: per me tutti quelli che scrivono alla rubrica, per il fatto stesso che scrivono, sono Vip. Ma c’è di più: quello che conta in questi nostri «Dialoghi» non sono le persone, ma le domande.
Non però nel senso che una domanda ha più valore di un’altra. Certo, una domanda può essere più interessante di altre in quanto solleva un problema che un maggior numero di persone sente come suo. Ma tutte le domande, secondo me, hanno valore, purché non siano domande retoriche, cioè domande che, in fondo, non chiedono nulla. E siccome tutte hanno valore, meritano tutte di essere prese sul serio e quindi di ricevere una risposta. Infine, un’ultima precisazione: l’ordine con cui rispondo alle lettere è quello del loro arrivo. Eccezionalmente, per svariati motivi del tutto indipendenti dalle persone, posso aver anticipato o posticipato una risposta. Ma la regola che ho sempre seguito è questa: rispondo prima alla lettera che è arrivata prima. Se rispondo solo ora – ahimè – a una lettera di due anni e mezzo fa (è la prima volta, in tanti anni, che mi capita) è perché, come ho detto, essa è giunta sul mio tavolo solo il 24 luglio 2012.
Ma veniamo al problema posto dal nostro lettore, che è assolutamente centrale per la fede e la teologia cristiana. Il tema – inutile dirlo – è quanto mai delicato e complesso, perché si tratta di investigare la natura profonda di Dio, potremmo dire la sua vita intima, e sappiamo che «nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio» (I Corinzi 2, 11). Perciò lo invochiamo chiedendogli di guidarci nella conoscenza, almeno «in parte» (I Corinzi 13, 9), di quel mistero di luce che è Dio. La fede infatti è conoscenza, non ignoranza, e Dio non vuol restare per sempre una sfinge, ma vuol essere conosciuto (perché solo così lo si può amare), e per questo si è rivelato attraverso profeti, apostoli e altri testimoni, e soprattutto attraverso Gesù di Nazareth. Per maggiore chiarezza, suddividerò, come al solito, la risposta in alcuni punti.
1. Il primo riguarda le considerazioni finali del nostro lettore, nelle quali egli sembra attribuire alla Chiesa valdese nel suo insieme le opinioni mie e di Giorgio Tourn sull’opportunità oggi, quando si parla di Trinità, di sostituire il termine tradizionale «persona» (le «tre persone» della Trinità) con l’espressione «modi di essere». Queste sono nostre opinioni personali (che peraltro, come vedremo, si rifanno al maggiore teologo riformato, anzi cristiano, del novecento: Karl Barth), sono soltanto nostre (e forse di qualcun altro), ma non possono in alcun modo essere estese a tutta la Chiesa valdese che, per quanto ne so, su questa materia non si è più pronunciata dal lontano 1655, quando adottò la formula trinitaria classica nella sua Confessione di fede tuttora in vigore, che nel suo articolo 1°, cui accenna il nostro lettore, suona così: «Noi crediamo che c’è un Dio solo, che è un’essenza spirituale, eterna, infinita, del tutto saggia, del tutto misericordiosa e del tutto giusta, in una parola del tutto perfetta; e che vi sono tre Persone in quella sola e semplice essenza, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo». Nel 1894 il Sinodo, sotto l’influenza della teologia liberale, votò un «Atto dichiarativo» nel quale precisò il significato che esso attribuiva ad alcuni articoli della Confessione di fede, ma non menzionò quello sul Dio trinitario, che quindi è oggi quello che era nel 1655. Può naturalmente darsi che se il Sinodo valdese giudicasse necessario ripensare ed eventualmente riformulare oggi la dottrina trinitaria, non si limiterebbe a ripetere le formule del concilio e di Nicea (325) e di Costantinopoli (381). Nulla però indica che il Sinodo o la Chiesa avvertano oggi questa necessità. Non c’è dunque ombra di modalismo nella posizione ufficiale della Chiesa valdese in merito alla Trinità. Perciò non credo che il nostro lettore, in una eventuale sua consacrazione futura al ministero pastorale in questa Chiesa, potrebbe sostituire l’espressione «tre persone» con «tre modi di essere», a meno che il Sinodo non abbia in precedenza accettato la nuova formula.
2. È probabile che qualche lettore desideri sapere qualcosa di più sul modalismo. È un modo di interpretare (non di negare) la Trinità: come dottrina fu elaborata, con qualche variante, da alcuni teologi del II e III secolo (uno fu Sabellio, che operò a Roma nel III secolo, dove fu scomunicato), e consiste, in sostanza, nel ritenere che l’unico Dio si rivela in diverse «forme» e tempi diversi: anzitutto come creatore e legislatore (il «Padre»), in un secondo tempo come salvatore (il «Figlio»), infine come colui che santifica e dona la vita eterna (lo «Spirito Santo»). «Fra le tre entità in questione non esiste alcuna differenza, salvo la forma di apparizione e la collocazione cronologica»1. È esattamente ciò che dice il nostro lettore: «Questo è il Modalismo: una sola Persona divina manifestatasi in tre modi distinti». Ma che differenza c’è tra questa visione della Trinità e quella – poniamo – di Karl Barth (che ho fatto mia e ho cercato di illustrare nel «Dialogo» del 26 febbraio 2010) ? La differenza è questa: che per il nostro lettore Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre modi di apparire, cioè tre manifestazioni, dell’unico Dio, mentre per Barth (e per quanti, come il sottoscritto, si sono formati alla sua scuola) sono tre modi di essere (non solo di apparire!) dell’unico Dio, cioè tre diversi modi in cui Dio è Dio. «Dio è perfettamente uno in se stesso, come lo è nei confronti del mondo e dell’uomo. Ma come tale è Dio tre volte differentemente, in modo che è solo in questa triplice alterità che è Dio...»2. Padre, Figlio e Spirito Santo non sono solo «forme», apparizioni, manifestazioni, sono i diversi modi in cui Dio è se stesso.
3. Può darsi che, a questo punto, qualche lettore pensi: «Tutto ciò è molto complicato, e non so se queste sottili distinzioni siano davvero utili». È vero che la dottrina trinitaria è complicata, ma è anche quella che qualifica in modo inconfondibile la comprensione cristiana di Dio. Perciò credo che valga la pena cercare di capirla. Non è detto che ci riusciamo, ma è bene provarci. Spero a esempio che sia diventata chiara la differenza che c’è tra la visione modalista della Trinità, secondo cui Dio appare come Padre, Figlio e Spirito Santo, la visione ortodossa (chiamiamola così) secondo cui Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo. «Apparire» ed «essere» sono cose ben diverse. Giustamente il nostro lettore richiama la parola «ipòstasi» (in greco ipòstasis), che l’Oriente cristiano adottò al posto della parola «persona» (in greco pròsopon = «faccia», «volto»; «maschera teatrale»), preferita dall’Occidente. Ipòstasi significa «realtà», «entità dotata di esistenza sostanziale», ed è proprio questo che il Credo niceno-costantinopolitano vuole affermare: Padre, Figlio e Spirito Santo non sono semplici «forme», come sostiene il Modalismo, ma, appunto, «realtà», modi nei quali Dio è Dio, come dice Barth. Non sono, come potrebbe sembrare, sottigliezze di scuola. Sono tentativi di capire in profondità il rapporto tra Dio e la sua rivelazione. 4. Detto tutto questo, resta il fatto che le dottrine su Dio, anche le più profonde, non sono Dio. Dio non è dottrina, ma amore. Questa è la verità prima e ultima su di lui.   1Alister E. McGrath, Teologia cristiana, Claudiana, Torino 1999, p. 302.
2Karl Barth, Dogmatique, vol. 2 della versione francese, Labor et Fides, Ginevra 1953, p. 63.   Paolo Ricca - www.chiesavaldesetrapani.com