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25/10/2013 15:07:00

A Campobello di Mazara gli schiavi delle olive vivono così

Capanne costruite nel fango, con teli di plastica e pezzi di legno, immondizia ovunque e uno spesso fumo nero che proviene dai fuochi accesi su vecchie lastre di eternit. Non c’è acqua e non c’è un bagno, non c’è un’infermeria e non ci sono medicinali: solo piccoli serbatoi che non potranno mai soddisfare l’approvvigionamento idrico, tra tanti insetti, pidocchi e sporcizia. Non è un accampamento di profughi e non siamo nella periferia di una città africana, non è un campo di concentramento e qui le guerre e i bombardamenti sono lontani chilometri. Siamo invece a Campobello di Mazara, comune siciliano in provincia di Trapani, che in autunno, durante la raccolta delle olive, si riempie di migranti pronti a vendere le proprie braccia nei campi in cambio di pochi euro. Qui vivono circa 600 persone, provenienti soprattutto dal Sudan e dal Ghana, ammassate in un campo all’entrata del Comune di Campobello, tra l’immondizia e le erbacce, aspettando che qualche caporale li recluti nei campi per raccogliere le olive.

 

“Più si entra nel vivo della stagione della raccolta, più arrivano nuove persone” raccontano gli abitanti del ghetto infernale che rifornisce gli agricoltori del posto di manodopera a buon mercato ed esentasse. Ogni mattina passano i furgoncini a scegliere gli operai per una giornata di lavoro massacrante tra gli alberi di olive, e ad avere più possibilità di lavorare sono quelli che si sono già procurati a proprie spese il cibo e l’acqua per il pranzo: una manovalanza invisibile e a bassissimo costo, sfruttata ogni giorno per dieci o dodici ore, in cambio di due o tre euro per ogni cesto riempito. Schiavi moderni, sfruttati a cottimo con metodi antichi, che poi tornano qui, nelle capanne fatte di lamiera, senz’acqua e senza servizi igienici, dove accendono i fuochi per la cena su vecchie lastre di eternit recuperate in campagna.

L’unico approvvigionamento idrico consiste in una specie di serbatoio, che può contenere al massimo 2mila litri d’acqua, meno di tre litri per ognuna delle circa seicento persone che vivono in questa bidonville di schiavitù del duemila. E più passano i giorni più le condizioni igieniche peggiorano, tra insetti e spazzatura. “Per contrastare i pidocchi alcuni migranti hanno preferito rasarsi a zero i capelli” scrive la delegata di Croce Rossa Sicilia Laura Rizzello al commissario del comune di Campobello Massimo Signorelli. “Sarebbe necessario – continua Rizzello dopo aver visitato il campo – provvedere ad una sanificazione della zona, per limitare la presenza di insetti. Inoltre sarebbe importante e utile, come in tutti i luoghi di questo tipo, che si possa allestire un’infermeria, dotata di farmaci e presidi, al fine di fornire un’assistenza sanitaria e al contempo si possa porre in essere anche una sorveglianza sindromica, finalizzata alla prevenzione degli abitanti dell’accampamento ma anche della popolazione. Non le nascondo che ciò che ho visto mi ha turbata, avevo visto accampamenti di questo tipo solo in Africa, in Sudan o in Darfour”.

“Tenere delle persone in quelle condizioni, consentendo il proliferare di un mercato del lavoro drogato genera razzismo ed emarginazione. Una situazione che fa comodo a chi sfrutta queste persone, operando poi una concorrenza sleale con chi le regole le rispetta e non sfrutta i lavoratori” sbotta invece il deputato di Sel Erasmo Palazzotto, dopo aver visitato la bidonville, praticamente contigua al comune di Campobello. E mentre soltanto alcune associazioni di privati cittadini provano ad aiutare gli abitanti del ghetto che sorge a soli pochi metri dalle loro abitazioni, nei giorni scorsi uno dei migranti a cui è stata negata qualsiasi forma di dignità è rimasto ucciso. Ousmane Diallo era un giovane senegalese arrivato in Sicilia per guadagnarsi qualcosa lavorando nei campi: al ritorno da una massacrante giornata di lavoro però gli è esploso tra le mani il fornello da campo utilizzato per prepararsi la cena. Pochi giorni di agonia all’ospedale Civico di Palermo e poi la morte, con gli abitanti del campo che per rispedire in patria il feretro di Ousmane, stanno cercando di autotassarsi i pochi spiccioli guadagnati raccogliendo olive: impresa ardua dato che l’operazione ha un costo di circa 4mila euro. Nelle stesse ore in cui il giovane sudafricano moriva a causa delle gravissime ustioni, ad Agrigento il vicepresidente del Consiglio Angelino Alfano celebrava funerali senza feretri per le 366 vittime della tragedia di Lampedusa. “Assistenza per i sopravvissuti” gridava Alfano tra le contestazioni, mentre pochi chilometri ad est, a Campobello, l’accoglienza made in Italy per i migranti mostra ogni giorno il suo vero volto: un terrificante ritratto che spazza via l’ipocrisia delle parole e sbatte in faccia il dolore e la morte di uno Stato che non c’è.

Twitter: @pipitone87