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22/01/2014 13:20:00

Inno al Sud

di Leonardo Agate.    Le analisi sul Sud sono vecchie come il cucco, e tutte arrivano allo stesso risultato. Ci hanno meditato i politici, i giuristi, gli storici, i giornalisti e gli opinionisti. Tutti da un secolo e mezzo hanno sviscerato i nostri mali, e li hanno sciorinati in documentate relazioni, in ponderosi saggi, in articoli di stampa e in tavole rotonde. Sulla dimensione economicamente e socialmente inferiore del Meridione, non ci sono dubbi. Ogni nuovo intervento non fa altro che fotografare una realtà che é incontrovertibile. Eppure il problema non si risolve.
Sembra che il problema meridionale sia l'ultimo cui abbia accennato Cavour prima di rendere l'anima a Dio, ma non c'é da fidarsi perché ai grandi uomini in punto di morte sono state messe in bocca le più diverse parole e i più importanti concetti. Fatto sta che Cavour in vita sua non é sceso mai al di sotto di Roma.
Di vero, invece, c'é che Massimo d'Azeglio, eminente ministro della Real Casa, scrisse che il problema era fare gli italiani, dopo aver fatto l'Italia. Che é come dire che non basta fare una nazione per integrare nell'unità popoli diversi per storia e per cultura.
Quando fu fatta l'Italia, c'era una sua parte che funzionava meglio e un'altra che funzionava peggio. Il divario ha continuato ad esistere per oltre centocinquant'anni, fino a noi.
La prima grande inchiesta sulle condizioni della Sicilia fu quella parlamentare di Franchetti e Sonnino, del 1876. Fotografò con obbiettività i problemi che rendevano drammatica questa parte d'Italia. Quello che fu fatto dal governo centrale per migliorare le condizioni di vita dell'isola e del Meridione non é stato poco, ma non é stato sufficiente a modificare il divario con la restante parte del Paese. E' come il caso degli americani quando hanno voluto esportare la democrazia nei Paesi oscurantisti del mondo. Abbiamo visto come sono falliti dovunque l'hanno tentato: in Vietnam, in Iraq, in Afganistan, in Libia, in Egitto, e via dicendo. Se una parte del mondo o una parte di una nazione ha caratteristiche storiche e umane diverse dal resto, non si può pretendere di cambiarle in quattro e quattr'otto con una guerra o una legge. Ci vogliono, invece, decenni e secoli di nuova educazione. I genitori dovranno essere migliori nell'educazione dei figli. La scuola può fare molto, ma non con un solo corso scolastico. L'evoluzione della specie é lenta, e non si può procedere al taglio di tutte le teste per sostituirle con altre che ragionino meglio.
Allora? Non c'é alcuna speranza? Siamo destinati a restare "Brutti, sporchi e cattivi", come nel titolo di quel libro di Giovanni Valentini, che analizza, come molti altri prima e dopo, la vita nel Meridione?
E' sbagliato pensare che per forza, per necessità imposta dall'alto, il Meridione deve gareggiare con il Settentrione in onestà, efficienza e produttività. Si può vivere bene pure sotto il parallelo di Roma, e difatti ci vive metà della popolazione italiana. Abbiamo l'estate che da noi dura sei mesi. Il Principe di Salina faceva il conto all'allibito Chevalier, quando gli diceva che la nostra calura va da maggio a ottobre.
Ho ascoltato laboriosi settentrionali che vorrebbero trasferirsi al Sud appena andranno in pensione. Milioni di settentrionali fuggono dalle brume delle Langhe, della Brianza o della Valle del Po per riversarsi sulle riviere marine, financo da noi, appena possono. E ne tornano entusiasti, come dopo avere assaggiato il meglio della vita.
Noi, qua a Marsala, abbiamo i cannoli e il cuscus di pesce. L'economia non gira come a Torino o a Milano, ma come la prendiamo più comoda la vita! Una passeggiata per il Cassaro, e una sigaretta tranquillamente fumata in Piazza Loggia sparlando di questo e quello, non hanno nulla da invidiare a una ghiacciata giornata a St. Moritz.
A Napoli non c'é solo la camorra, e per fortuna non c'é solo Saviano. Senza i bassi del quartiere Sanità, e l'ingegnosità della sopravvivenza oltre ogni ostacolo, non ci sarebbe la napoletanità. Senza l'emigrazione oltremare di fine Ottocento non ci sarebbe stato "O sole mio", l'inno all'amore scolpito in napoletano nei cuori di miliardi di uomini.
E allora? Dobbiamo rinunciare a migliorare, come individui e come società? Certo che no! Ma non auguriamoci, e non illudiamoci, di perdere la nostra filosofia.