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22/07/2014 06:15:00

Diario da Israele / 1. Le origini di un conflitto

L’ennesima guerra tra palestinesi e Stato di Israele divampa, innescata con le solite modalità: tre ragazzini ebrei rapiti ed uccisi, per ritorsione, un ragazzino palestinese rapito ed ucciso, i missili che da Gaza continuano a piovere su Israele, l’esercito israeliano che bombarda, causando decine di vittime. Ogni guerra, stupidamente combattuta per sete di potere, causa morte e sofferenze tra la popolazione civile, che ne subisce le conseguenze. Israele ha un esercito potente. E’ stato costretto a difendersi dopo poche ore che era nato e le continue guerre scatenate contro di lui in tutti questi decenni, l’hanno rafforzato. D’altra parte, una tale potenza contro una popolazione inerme, sembra un’enorme ingiustizia.

Che colpe ha Israele verso i palestinesi? Chi non vuole che la pace sia sancita definitivamente? E perché si nega ad Israele il diritto di difendersi? Cosa è la questione palestinese? Perché non si riesce a trovare una soluzione condivisa per entrambi  gli Stati? E perché questo livore, che spesso diventa odio, non solo da parte araba, ma anche da parte di media e intellettuali progressisti, verso Israele, l’unica democrazia avanzata di quella regione?

 

Iniziamo oggi un percorso che ci porterà in Palestina. Percorreremo le strade ricche di storia e religione, antiche pietre rese livide dall’odio e dal sangue innocente, cercando di scrutare con  lucidità storica avvenimenti che coinvolgono il mondo intero, cercando di capire le ragioni di tanto odio e tanta disinformazione ai danni dell’unica democrazia esistente in quella parte del mondo.

 

Israele, storicamente e culturalmente, è una parte d’Europa. I suoi fondatori venivano dalle università tedesche ed austriache, dalla vita culturale di Parigi e Budapest; sfidando la durezza e l’ostilità sia dell’amministrazione britannica, sia degli arabi, hanno costruito, coltivato, creato famiglie, ospedali, scuole ed università. Dopo la fine della seconda guerra mondiale e dei campi di concentramento, arrivarono altri ventimila sopravvissuti. La necessità di divenire Stato non era più il sogno sionista di Theodore Herzl, ma una urgenza. Ma l’Europa non vede Israele come un paese nato da una parte essenziale della cultura e storia europea, e da vicende strettamente connesse a responsabilità europee, come la persecuzione e lo sterminio. L’intera Europa aveva partecipato alla persecuzione anche se i libri di storia hanno addossato la responsabilità soltanto ai tedeschi. L’antisemitismo dilagante troppo spesso è causato dalla disinformazione sui fatti salienti della Storia d’Israele. Molta gente si schiera contro il sionismo “a priori” e indipendentemente delle opinioni della politica israeliana legata al momento storico, sconoscendone il significato e la storia della sua nascita.

Il modo migliore per affrontare questi problemi così complessi, è fare chiarezza con gli eventi storici. Che cos’è il sionismo? E’ l’idea, affermata da Teodoro Herzl sul finire del XIX secolo, che l’antisemitismo non poteva essere vinto se non con la costituzione di uno Stato ebraico in grado di garantire la sicurezza degli ebrei che ne fanno parte, con un passaporto che li protegga ovunque si trovino: uno Stato che li accolga quando ne hanno bisogno, un governo che li rappresenti nei consessi internazionali, e un esercito pronto a difenderli, garantendo con legge dello Stato (la “Legge del Ritorno”) il loro diritto permanente a entrare in Israele, diventandone immediatamente cittadini. Con uno Stato ebraico non si ripeterà più quanto è accaduto nei secoli, e soprattutto prima della seconda guerra mondiale, quando nessun paese volle accogliere gli ebrei per salvare loro la vita. Non ci sono complotti per la presa del potere mondiale, come suggerisce il più grande falso storico creato dalla Russia zarista, il famigerato “Protocollo dei Savi di Sion”, che continua ad essere divulgato ancora oggi nei paesi arabi per fomentare l’odio verso Israele. Il popolo israeliano non è nuovo a questi meccanismi di diffamazione che media e giornali, ancora oggi, attuano. Anche di questo ne parleremo più diffusamente.   L’antisemitismo si è sempre mascherato dietro qualche nome: gli ebrei sono stati a lungo deicidi per la Chiesa, semplicemente giudei per i nazisti, che non avevano bisogno di mascherare le loro idee, cosmopoliti per Stalin, a partire da quando la politica estera sovietica nel 1955 era cambiata radicalmente in favore dei paesi arabi per contrastare l’egemonia americana, come vedremo più avanti. Ecco come la parola “sionismo” ha assunto una connotazione negativa, anche grazie alla propaganda nazista e poi sovietica. In realtà, il sionismo è il movimento culturale, laico, filo socialista europeo che ha attratto una parte della intelligenza ebrea verso il “progetto del ritorno”, della fondazione di uno stato ebraico che fosse patria per chi continuava ad essere in pericolo di persecuzione e discriminazione.

 

Il 29 novembre 1947 l'ONU, con la risoluzione 181, decide la creazione di due stati indipendenti, uno arabo (Palestina) e l'altro ebraico (Israele), con Gerusalemme sotto controllo internazionale per 10 anni. (La zona destinata allo stato ebraico era molto inferiore a quella occupata attualmente da Israele). Non è mai esistito uno stato palestinese: quelle terre erano sotto mandato britannico, facevano parte di un grande protettorato, nel quale nel 1946 gli inglesi avevano creato lo stato indipendente della Transgiordania (attuale Giordania). Gli ebrei hanno accettato la risoluzione ONU, ma gli arabi no, ed hanno rifiutato di istituire uno stato palestinese perché avrebbe significato riconoscere lo stato di Israele, che non volevano, e ancora non vogliono.

Gli Ebrei sono stati in un lontano passato una nazione governata in forma monarchica. Hanno vissuto per moltissimo tempo in un territorio avente come capitale Gerusalemme. Hanno condiviso una lingua, una cultura, e soprattutto, una religione che è stata il vero cemento nazionale. Gerusalemme non era soltanto per gli ebrei, la capitale terrena, ma la capitale spirituale. La situazione cambiò radicalmente quando, nel primo sec.d.C. i romani distrussero il Tempio di Gerusalemme e diedero inizio alla dispersione degli ebrei, e per marcare simbolicamente la fine di ogni residua speranza di ricostruire una nazione ebraica, cambiarono il nome della terra d’Israele in Palestina(terra dei Filistei) e quello di Gerusalemme in Aelia Capitolina. Questi eventi sono stati narrati da un cronista arabo dell’undicesimo secolo, Ibn Sa’id di Andalusia, con un equilibrio ed una correttezza di cui danno raramente mostra i cronisti contemporanei:

“La nazione ebraica, diversamente da tutte, è la casa del profetismo e la fonte dell’apostolato. La maggior parte dei profeti - che Dio li benedica e che la pace sia con loro - è derivata da essa. Questa nazione viveva in Palestina. E’ in questo paese che vivevano il loro primo re ed il loro ultimo re, fino a che ne furono banditi dall’imperatore romano Tito, che distrusse il loro regno e li disperse in tutte le direzioni”.

Per quasi 1900 anni l’area designata con il nome greco-romano di Palestina (per far dimenticare il nome stesso di Giudea) non è stata una nazione e non ha avuto frontiere, ma solo confini amministrativi. Gli Arabi conquistano la Palestina soltanto nel 637 e vi regnano fino al 750, per 113 anni in totale.

Poi vi si alternano Persiani, Turchi, Circassi, Bizantini, Curdi, e nel 1099 i Crociati cristiani, sconfitti nel 1187 da un condottiero curdo, il Saladino. Nel 1244 sono delle tribù alleate di Gengis Khan a occupare e a mettere a sacco la Palestina. Poco dopo arriveranno i Mongoli, cacciati nel 1516 dai Turchi che costituiranno l’Impero Ottomano, dalla Turchia ai paesi del Magreb, vale a dire lungo tutta la costa meridionale del Mediterraneo. I Turchi vi resteranno fino alla fine della prima guerra mondiale, nel 1918.

Nel pieno della Grande Guerra, il 16 maggio 1916, con la firma dell'Accordo Sykes-Picot, Francia e Gran Bretagna decidono che la Palestina ottomana venga assegnata alla fine della guerra al Regno Unito. Il l9 dicembre 1917, Gerusalemme è occupata dall'esercito britannico, il quale occupa l'intera Palestina. Il Mandato britannico della Palestina, mandato di tipo A, sotto controllo della Società delle Nazioni, inizia formalmente nel 1920.

Per quattro secoli, dal 1516 al 1918, la Palestina è stata una negletta provincia turca quasi disabitata, consegnata dall’incuria dei governi di Istanbul, alla sabbia del deserto e alle paludi. La Palestina (meglio conosciuta in quei secoli come “provincia di Damasco” e comprendente l’attuale Israele, Cisgiordania, Giordania, Libano e parte della Siria) incomincia a essere “restaurata” solo a partire dalla seconda metà dell’800, quando i primi pionieri ebrei, giunti dall’Impero zarista, creano qualche occasione di lavoro, capace di attirare lavoratori di altre province turche, come la Siria, l’Iraq, l’attuale Giordania (creata artificialmente, a tavolino, solo nel 1921), lo stesso Egitto. Maggiori occasioni lavorative si sviluppano tra la prima e la seconda guerra mondiale, sia per l’occupazione britannica che per le fatiche dei contadini ebrei, con i loro aranceti e le terre acquistate a caro prezzo dagli sceicchi arabi e strappate alla sabbia, e al conseguente indotto. Che oggi i palestinesi, cioè i pronipoti dei tanti lavoratori arabi giunti in Palestina un secolo fa, esistano e abbiano acquisito una coscienza nazionale, prima del tutto inesistente, è vero. Che abbiano diritto a un loro territorio e a un loro Stato autonomo oltre alla Giordania, dove più dei due terzi degli abitanti sono palestinesi, è ormai altrettanto accettato.

Ma non è falsando la Storia che questi diritti diventano più sicuri.

Come entità autonoma la Palestina non è mai esistita, né sono mai esistite una lingua e una cultura palestinesi. I palestinesi, come i giordani, i siriani, i libanesi e gli iracheni (tutte entità nazionali inventate dopo la prima guerra mondiale, nel 1920) sono arabi, proprio come i giordani, i siriani e così via, e tali unicamente si considerano.

Gli unici insediamenti permanenti in Palestina – segnatamente a Gerusalemme e a Safed, sede ininterrotta quest’ultima di università religiose – sono stati quelli ebraici, a partire dalla fine del regno ebraico nel 70.

Gli ebrei non hanno mai lasciato Gerusalemme e anzi, secondo tutte le statistiche note, vale a dire dalla metà dell’800, a Gerusalemme gli ebrei hanno sempre costituito la maggioranza relativa della popolazione, che a una delle prime rilevazioni statistiche ammontava in totale a 15.000 persone.

 

(Continua)

 

 

Patrizia Bilardello