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21/10/2014 18:33:00

Hans Memling, il maestro di Bruges, alle Scuderie del Quirinale

Le Scuderie del Quirinale ospitano dall’11 ottobre al 18 gennaio una mostra audace - si tratta di un nome poco conosciuto al grande pubblico italiano – e proprio per questo di elevatissimo valore culturale. È la prima volta che in Italia si dedica una monografia al pittore rinascimentale fiammingo Hans Memling. Vi sono esposte 65 opere, 50 delle quali di Memling, tra pale d’altare, trittici, ritratti, miniature e documenti dell’epoca che mostrano le commissioni dell’artista.

Non si hanno note che attestano la sua nascita, ma si ipotizza che Memling nacque nelle Fiandre tra il 1430 e il 1440. Da giovane frequenta le botteghe dei cosiddetti “primitivi fiamminghi” e lavora a stretto contatto con Rogier Van Der Weyden, di cui è esposto un Compianto sul Cristo morto, tanto che ne diventerà l’erede spirituale. A Bruges Memling fonda la sua bottega d’arte e alla fine del Quattrocento diventa famoso in tutta Europa grazie anche all’ espansione commerciale delle Fiandre, a quei tempi uno dei pochi empori europei. Numerose sono le committenze di ricche famiglie - tra quelle italiane citiamo i Medici e i D’Este - e i membri della comunità italiana di Bruges che acquistavano opere per riportarle in Italia. Memling fu, dunque, l’anello di congiunzione tra l’arte nordica e la diffusione del Rinascimento fino al sud dell’Europa.

Il gusto dei pittori fiamminghi è alla base della pittura rinascimentale di molti italiani. Lo si vede prima di tutto nella ritrattistica che diventerà pietra miliare per la pittura italiana. Appena entrati alle Scuderie, ci accoglie l’Uomo con moneta romana (1475), probabilmente l’umanista veneziano Bernando Bembo, ambasciatore della Serenissima a Firenze, che soggiornò nelle Fiandre. L’opera, che fu erroneamente attribuita al nostro Antonello da Messina, presenta tutte le qualità del ritratto fiammingo nel nuovo modo di rappresentare il personaggio: non di profilo, non frontale, ma a tre quarti, in modo che si veda il volto nella sua pienezza; tanto reale fisicamente quando misterioso ed enigmatico. L’uomo effigiato risalta su uno sfondo in cui si intravede un paesaggio, in questo caso un laghetto con degli animali, e delle colline ancora più indietro. Oltre alla spiccata ricerca per il dettaglio naturalistico, si tratta di un intelligentissimo escamotage per dare profondità all’opera, come se lo spazio dietro al personaggio fosse infinito. Tutte caratteristiche che furono riprese in capolavori quali la Gioconda iniziata da Leonardo nel 1503 o la Dama con il liocorno di Raffaello del 1505.

I numerosi ritratti qui esposti celebrano l’emergente classe borghese, composta prevalentemente da banchieri e mercanti. Si apprezzano per la bellezza e la distinzione, per la capacità dell’autore di far coincidere la ricchezza materiale con la raffinatezza di gusto. Sono, infatti, opere commissionate da famiglie benestanti, così come le numerose tavole a soggetto sacro utilizzate da ornamento nelle cappelle private.

Al valore religioso delle pale d’altare si aggiunge quello materiale in quanto si tratta di veri e propri oggetti da collezione, sinonimo di prestigio sociale, in cui viene ritratta l’intera famiglia del committente. Ne è esempio il Trittico Moreel (dal nome della famiglia che lo commissionò), un olio su tavola che raffigura, nel pannello centrale, una scena di Santi. Nel pannello laterale destro la madre Barbara è dipinta in ginocchio, con le figlie in piedi alle spalle, e in quello sinistro il padre Willem Moreel, con i figli maschi. Fa da sfondo un idilliaco paesaggio di campagna che si perde in lontananza. Nella cornice è incisa la data, 1484.

Ma è la Pittura di narrazione ad imporsi, con La passione di Cristo, un’autentica meraviglia, un capolavoro di puntiglio e perfezionismo. Si tratta di ben 200 figure impegnate in 22 frenetiche scene della passione e resurrezione del Cristo. I diversi episodi sono rappresentati dall’alto, con una prospettiva a volo d’uccello e distribuiti con un’insolita profondità spaziale, all’interno di edifici che richiamano Gerusalemme.

Le opere esposte sono dipinte con la tecnica ad olio, ulteriore novità introdotta dai Fiamminghi, mentre in Italia si usava la tradizionale tempera all’uovo. Questo nuovo metodo permetteva l’uso di una più vasta gamma di colori e una maggiore versatilità nell’applicazione. La verosimiglianza delle vedute si rende, quindi, sia con una precisione minuziosa dei dettagli sia con colori più brillanti e luminosi. A ciò si aggiunge la tecnica pittorica incredibilmente accurata di Memling, il suo tocco delicato, la sua sofferta diligenza.

Naturalmente, grazie a mecenati ed a semplici viaggiatori, l’influenza tra gli artisti dell’epoca fu reciproca ed è facile ritrovare in questi dipinti numerosi elementi del Rinascimento italiano. Si notino i putti e le ghirlande di fiori - chiaro riferimento a Donatello - presenti nelle composizioni di Madonna col Bambino qui esposte e l’uso della prospettiva dall’insegnamento di Brunelleschi.

Un interessante percorso che, permettendo di analizzare il rapporto tra numerose opere, sottolinea il costante scambio artistico i tra diversi autori mentre rimane una costante il prestigio delle Scuderie per l’organizzazione di eventi culturali di taratura internazionale.


Sabrina Sciabica