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30/11/2015 06:30:00

Michele Mazzara. La mafia non c'è nella sentenza su "U' Berlusconi di Dattilo"

Mafia esclusa dalla sentenza che ha condannato Michele Mazzara, l'imprenditore originario della frazione di Dattilo al quale abbiamo dedicato un approfondimento in quattro puntate (potete cominciare a leggere la prima qui). Il giudizio, emesso dal collegio presieduto dal giudice Alessandra Camassa, è stato accolto dopo oltre sette ore di attesa. Il tribunale ha condannato Mazzara (4 anni e tre mesi) e Francesco Spezia (3 anni e sei mesi) per l'intestazione fittizia della Spefra srl, un azienda edile impegnata in numerosi appalti pubblici mentre ha assolto Antonella Agosta. L'accusa, sostenuta in aula dal pubblico ministero Andrea Tarondo, ha dunque provato la reale gestione occulta della società intestata formalmente a Spezia, ma eterodiretta da «U'Berlusconi di Dattilo». La manovra serviva ad aggirare la tempesta di sequestri e confische operati dalle sezioni Misure di prevenzione. Mazzara nel 1999 aveva patteggiato una condanna per aver favorito Cosa Nostra (dando ospitalità al latitante Vincenzo Sinacori) e attualmente è soggetto a misura di prevenzione patrimoniale. Per lui il pm aveva chiesto una condanna a 3 anni e sei mesi, ma il giudizio ha contestato la recidiva.
La Spefra – confiscata in seguito alla sentenza emessa giovedì – veniva fuori già dall'operazione Eden, che nel dicembre 2013 portò in galera una serie di personaggi, considerati fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro. Si tratta della inchiesta che portò all'arresto di Patrizia Messina Denaro e Francesco Guttadauro, sorella e nipote «del cuore» del boss latitante. In quelle pagine venivano affrontati gli affari della Spefra. L'azienda, tra i vari appalti collezionati, stava gestendo la manutenzione ordinaria del carcere Ucciardone di Palermo e la costruzione di una cucina provvisoria per i detenuti. E' in questo contesto che è maturata la posizione di Giuseppe Marino, funzionario del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, condannato con il rito abbreviato dal gip di Palermo per «aver accettato la promessa della consegna di denaro da parte di Spezia Francesco». La «tangente» era stata versata dalla Spefra per far sì che non fosse addebitata una penale per il ritardo nei lavori. Per questi fatti la sentenza ha stralciato la posizione della «corruttrice» condannando il corrotto.
Poi c'è la vicenda della falsa intestazioni di beni. Dal processo è emerso che era Mazzara a chiamare le banche per riscuotere, ed era lui a decidere quando e come prelevare il danaro dalle casse. A un certo punto salta fuori un prelievo di 100 mila euro, ordinato dall'imprenditore di Dattilo ed eseguito da Spezia. Il dato (emerso dalle intercettazioni) veniva avvalorato da una consulenza esterna che, incrociando oltre cinque conti correnti, evidenziava l'evaporazione di un prelievo da 100 mila euro. «Spezia si relazionava con Mazzara come un amico esperto – ha detto durante la sua ultima arringa l'avvocato Stefano Pellegrino – e poi non sono desunte le agevolazioni a Cosa Nostra, non è emersa nessuna prevaricazione, neppure per la mediazione dei materiali». E' questo l'elemento su cui riflettere che suggerisce la sentenza emessa su Mazzara e Spezia: l'esclusione dell'aggravante mafiosa. Durante la requisitoria il pm Tarondo aveva definito Mazzara come «un referente mafioso di primissimo piano, un soggetto di riferimento particolarmente importante», lui di se stesso ha detto: «non ho mai fatto parte dell'organizzazione Cosa Nostra e queste atrocità non fanno parte della mia persona». L'imprenditore ha già scontato una pena preventiva e in attesa del giudizio della Corte d'Appello potrebbe esaurire la propria condanna.


Marco Bova