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06/12/2015 08:00:00

La Nave di Teseo, le differenze antropologiche tra Marina Berlusconi ed Elisabetta Sgarbi

 

La vicenda dovrebbe essere nota a quanti si interessano di editoria, riassumo brevemente per gli altri. Elisabetta Sgarbi lascia la direzione editoriale della Bompiani dopo la mega fusione Mondazzoli e fonda La nave di Teseo insieme a diversi autori del suo catalogo, nomi importanti. Non posso non occuparmi di questa vicenda, lo faccio, ma a modo mio. Niente cifre né strategie di mercato, vi risparmierò pure tutta la storia del paradosso metafisico della nave di Teseo, punterò la mia penna sull’aspetto antropologico delle due protagoniste: Marina Berlusconi ed Elisabetta Sgarbi. Comincio subito con le mie congetture sulle rispettive infanzie difficili.

Marina: figlia di genitori separati, lacerata tra una decina di case, e non tutte con la piscina olimpionica.

Elisabetta: sorella di Vittorio Sgarbi, e già questo può bastare per segnarti per sempre.

Marina: costretta in tenera età ad indossare il suo primo costumino rigorosamente leopardato. Cresciuta con l’imprinting di un padre impegnativo che la introduce nel mondo del lavoro massacrante di chi deve accumulare profitto su profitto.

Elisabetta: educata col modello roussoniano ha ottenuto il suo primo due pezzi a pubertà inoltrata, cresciuta da una tata che le parlava solo in greco antico.
La differenza antropologica è sotto gli occhi di tutti, basta accostare le foto delle due. Elisabetta dall’aria stranita e dagli occhi vivaci sembra uscita dalla pellicola de Il favoloso mondo di Amélie; Marina con la mascella intercooler temo sia nata con il giro di perle incorporato sul collo. Ora basta però altrimenti scado nel curtigghiu. Ad ogni modo, tra mille stenti e difficoltà, sono riuscite a dimostrare le rispettive capacità. E non sto scherzando. Anzi ora smetto proprio di scherzare e oso il mio affondo. Non si fa che parlare del coraggio della Sgarbi, scusate, ma se non lo avesse fatto lei chi mai avrebbe potuto farlo? Voglio dire, sta rischiando certo, ma nella peggiore delle ipotesi non credo proprio che sarebbe costretta a lavorare in un call center per il resto della vita. Mi dispiace rovinare la festa, ma penso proprio che il coraggio, quello vero, stia altrove. Avete presente quei giovani che si indebitano per mettere su una piccola attività, partendo da niente e anche meno, che magari sono costretti ad ipotecare la casa dei genitori per ottenere fiducia dalle banche. Quelli che… se va male dormono in macchina e mangiano alla mensa della Caritas e di queste storie la cronaca è piena. Sia ben chiaro, io sto con la Sgarbi, ma la mia ammirazione è rivolta a Umberto Eco, alla risposta che ha dato al nipotino che gli ha chiesto: nonno perché lo fai? Perché bisogna farlo!

Con i miei più sinceri auguri a tutto l’equipaggio.


Katia Regina