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22/01/2016 06:45:00

Sicilia Acquaviti e "scarichi illegali". Continua il processo a Marsala

 E’ stato il luogotenente della Guardia di finanza Antonio Lubrano, capo della sezione di pg delle Fiamme Gialle della Procura, il primo teste d’accusa ascoltato nel processo avviato davanti al giudice Matteo Giacalone che per traffico illecito di rifiuti vede imputato il 79enne Giuseppe Bianchi, legale rappresentante della distilleria “Sicilia Acquaviti” di Marsala dal 2009 al 2011. A sostenere l’accusa, in qualità di “applicato” alla Dda, è il pm Giulia D’Alessandro. Lubrano ha riferito sulle indagini svolte. Ha parlato, per circa due ore, delle perquisizioni effettuate nell’impianto della Sicilia Acquaviti in contrada Digerbato-Bartolotta, di quanto emerso nel corso dell’indagine e dei riscontri alle dichiarazioni dei quattro ex dipendenti licenziati dell’azienda dalla cui denuncia è scattata l’inchiesta. Tre dei quattro denuncianti (Barraco, Pipitone e Lombardo) erano presenti alla prima udienza, ma non sono stati ascoltati per problemi procedurali. Forse, deporranno alla prossima udienza (15 febbraio). Sempre in avvio di processo, l’avvocato difensore Paolo Paladino ha chiesto la derubricazione del reato contestato nel più lieve “gestione di rifiuti in violazione delle prescrizioni del provvedimento di autorizzazione”. Il giudice, però, ha rigettato la richiesta. Altro difensore di Bianchi è l’avvocato Maria Letizia Pipitone, presidente del circolo Marsala-Petrosino di Legambiente. Era assente alla prima udienza, nonostante il Comune sia parte civile, il legale dell'amministrazione cittadina, l'avvocato Maria Grazia Floridia. All’imprenditore alla sbarra si contesta l’ “illecito smaltimento di rifiuti di borlande fluite nel sottosuolo, deposito incontrollato di rifiuti di borlande sul suolo e deposito incontrollato di rifiuti liquidi di percolazione”. L’indagine, inizialmente coordinata dal procuratore di Marsala Alberto Di Pisa e dal sostituto Giulia D’Alessandro e poi, per competenza, dalla Dda di Palermo, è stata avviata nel maggio 2013, quando la sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala ebbe notizia del possibile illecito smaltimento di scarti industriali da parte delle distillerie “Ge.Dis”, con stabilimento nei pressi del porto di Marsala, e Sicilia Acquaviti. Disposti i controlli (effettuate anche trivellazioni nel terreno), si accertava che il borlande della Sicilia Acquaviti veniva smaltito illegalmente, con delle tubazioni, sui terreni attorno l’impianto industriale di contrada Digerbato-Bartolotta e nelle vicine cave di tufo, poi ricoperte di terra. E’ stata, inoltre, scoperta una fossa in cui venivano stoccate vinacce esauste con un bacino di contenimento completamente ripieno di acque di lisciviazione/percolato delle stesse vinacce. Nel maggio 2014, l’impianto industriale e terreni limitrofi per 162 mila metri quadrati (di proprietà di ‘’Ge.Dis.’’ e ‘’Pibiemme’’) furono sottoposti a sequestro preventivo. Quattro mesi dopo, smaltita una parte dei contestati reflui, il gup Fernando Sestito accolse la richiesta difensiva di dissequestro dell’azienda. Dall’inchiesta è emerso che pericolosi scarti della distillazione, e in particolare “borlande” (i cui principali componenti sono: propanolo, butanolo, metil-propanolo, pentanolo e altri pentanoli isomeri, nonché furfurale), venivano da tempo sversati, con delle tubazioni, sui terreni circostanti e all’interno di cave di tufo abbandonate, finendo così nel sottosuolo. E ciò a non eccessiva distanza dai pozzi dell’acquedotto comunale di Marsala. I campioni delle sostanze prelevate sono stati analizzati dall’Arpa, che ha confermato ‘’l’illecito smaltimento di borlande, nonché la presenza di rifiuti di liquidi di percolazione delle borlande’’. Si scopriva, inoltre, che la Sicilia Acquaviti non rispettava le prescrizioni del Comune relative all’autorizzazione allo scarico per i reflui industriali, dopo la depurazione, nella fognatura, né era in possesso delle analisi delle acque reflue in uscita dal depuratore e della documentazione attestante lo smaltimento dei fanghi. In tal modo, ha risparmiato non meno di 150 mila euro. Mettendo, però, a serio rischio la salute pubblica. La falda acquifera, infatti, in questo versante del Marsalese è ad appena 25 metri di profondità e il sottosuolo, tufaceo, è molto poroso.



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