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27/03/2016 06:00:00

Cosa ci raccontano di noi la pioggia e i corpi del Giovedì Santo di Marsala...

 Porca miseria. Per un anno che dimentico di fare il vaccino, mi vado a beccare l’influenza. E il pacchetto completo, anche: tutta la famiglia a letto con la febbre alta.
In quelle condizioni, mi sono ritrovato a pensare alcune cose. Che le nonne dovrebbero essere proclamate “monumento nazionale”, ad esempio.
E che siamo dei corpi.
Corpi che si ammalano, si surriscaldano, lottano, stanno supini, poi di nuovo in piedi, si rialzano.
Siamo corpi che esplodono - mi diceva la radiolina sempre accesa sul comodino, martedì mattina - , che vengono sorpresi, che viaggiano, aspettano, poi si bloccano, poi si disintegrano, e chissà qual è l’ultimo pensiero che si fissa in testa, mi chiedevo, prima del botto: chi aveva fretta per un volo, chi era annoiato per il lavoro, chi semplicemente stava facendo un giro in centro, o partendo per una vacanza.
Siamo corpi. Solo corpi. Soggetti alle leggi della fisica e del tempo, alle minacce della biologia, come della violenza umana. Siamo corpi anche tra noi, nel nostro proscenio quotidiano, occupiamo spazio con la nostra massa, cerchiamo di essere statici o di dare eleganza al nostro resistere alla gravità. Siamo corpi indigeni, corpi colonizzatori.

Siamo corpi in mostra.
Corpi che sfilano, corpi che vanno in processione.
Ah, la processione del Giovedì Santo a Marsala. Anche quest’anno me la sono persa, mannaggia l’influenza. Io credo che prima o poi qualcuno dovrà redigere uno studio, un trattatello, dal titolo: “Fenomenologia della processione del giovedì Santo a Marsala”. Perché, pur non essendo appassionato della materia, avverto sempre più la sensazione che questa Sacra Rappresentazione, come vuole la dicitura ufficiale, poche cose racconti della Passione e morte di Gesù Cristo, e molto invece dei marsalesi. E insomma, si potrebbe fare una storia di Marsala e dei marsalesi parlando solamente di un giovedì pomeriggio per ogni anno, quel giovedì, appunto, che precede Pasqua. E che vede centinaia di figuranti in strada a recitare, migliaia ad ascoltarli.
L’anno scorso, ad esempio, la Processione fu caratterizzata dal tentato ammutinamento degli attori che impersonavano i dodici apostoli, e che cercarono di recitare, fuori dal copione, la scena in cui Gesù insegna ai suoi il Padre Nostro, scena che era stata cancellata dal Vescovo. Ne erano nate baruffe e accuse. Era un anno fa, sembra un secolo: Marsala era senza Sindaco, e quel piglio anarchico sembrava un po’ rappresentare l’indole della città, in quel momento lì, la tentazione all’insubordinazione, quasi al governo del popolo. Eravamo pronti alla rivoluzione. 
Quest’anno, invece, la Processione del Giovedì Santo resterà agli annali come una delle più brevi della sua secolare tradizione. Uscita dalla chiesa di Sant’Anna all’una e un quarto, ne ha fatto ritorno poco dopo per un’improvvisa “botta d’acqua” che ha spaventato tutti così tanto da fare annullare la parata.
Solo che alle cinque c’era già il sole, su Marsala, e magari la processione sarebbe potuta uscire nuovamente, anche per ripagare le attese dei fedeli, dei marsalesi, dei “siminzari”, ma, soprattutto, dei tantissimi turisti che a Marsala vengono poco, e più che altro per un evento: questo. Io, per dire, ho un cugino che è venuto quest’anno dall’America apposta per vedere questa processione. L’aspettava a Porta Mazara. Ha preso solo acqua. Sottoscrivo per intero quanto già detto ieri dal direttore di questo giornale: è incredibile che una città che vuole vivere di turismo non sia in grado di programmare un piano B nell’eventualità della pioggia (ampiamente prevista, tra l’altro) durante l’evento più importante dell’anno.
Il fatto è che la Processione si ritira, perché anche Marsala si ritira. Questa città nostra, ormai, naviga sotto costa, ha paura dei campi aperti e delle sfide, così come degli imprevisti. Questa città oggi ha paura della pioggia, e non per il fenomeno atmosferico in sè (c’è pioggia nelle ossa dei marsalesi, tutta la pioggia assorbita dai nostri nonni contadini nelle campagne che oggi abbandoniamo…), ma perché ha perso ormai la fiducia nel fatto che dopo la pioggia possa tornare il sereno. Marsala è una città che ha paura della pioggia, perché non riesce più a sperare.
Ironia della sorte, sempre giovedì, ma a Trapani, si teneva un altro evento: l’inaugurazione del nuovo maxi aliscafo della Ustica Lines, che loro dicono essere “il più grande del mondo”. Forse il paragone è azzardato, tra le due cose (il sogno dell’imprenditore Morace a Trapani, e la paura della pioggia a Marsala) ma ho la sensazione che abbiamo perso tutti, in questa comunità, il gusto, la voglia, dell’accettazione del rischio.
Non rischia nulla, mai, ad esempio, il nostro Sindaco, Alberto Di Girolamo, che interpreta benissimo il suo ruolo e il suo tempo: medico in pensione, dirige con fare da notaio di provincia il Comune, attento a riparare i guasti e a ridurre gli sprechi. Tutto qui. Senza un’idea, un progetto per la città, che non sia la conservazione dell’esistente, il puntellamento delle crepe più pericolose, il continuo raschiamento di fondi dall’esausto barile delle casse comunali. Non è un caso che il più giovane e meno politico tra gli assessori, l’imprenditore del vino Antonino Barraco, ad un certo punto si dimetta, e lo dica chiaro e tondo: non c’è programmazione a Marsala in un settore cardine come quello dell’agricoltura. E il sindaco che fa? Prende atto, incassa, si tiene la delega. Poi si vedrà. Tiriamo a campare: se piove, ci ritiriamo.
Non rischia nulla la politica. Li vedete, no, gli animali della nostra fauna locale: a parte due o tre mosche bianche, sono tutti lì a fare il mucchione, a stare tutti dalla stessa parte, oggi è il Pd, domani chissà. Non propongono nulla per Marsala perché hanno paura dei fallimenti. Nella città famosa per il suo vino, le dimissioni dell'assessore all'agricoltura dovrebbero essere un fatto gravissimo, ma è come se non fosse successo nulla. Abbiamo un tribunale pronto ma vuoto, costato 12 milioni di euro. Nessuno fa nulla. Da mesi non abbiamo procuratore e presidente del Tribunale, in città. Nessuno parla. 
Non rischia la cultura, anche perché ha ben poco da rischiare, essendo praticamente morta. Credo che ormai faccia più ingressi in una sera uno dei tanti circhi Orfei e simili che viene in città (ma, a proposito: ma è regolare che il parco di Salinella si sia trasformato nel parcheggio dei circhi? Che vergogna...) che il teatro comunale tutto l’anno.
Non rischiamo, non rischiamo più. Calati junco, ca passa la china.
Ci fa paura la pioggia.

Eppure, pensate, poteva diventare quasi leggendaria una processione che fosse continuata nonostante la pioggia. Una cosa da tramandare ai nipoti. Mi si perdoni l’accostamento tra sacro e profano, ma le migliori partite di calcetto che uno si ricorda, solitamente, sono quelle sotto la pioggia battente e il campo pesante, all’inglese.
Una volta, in Ecuador, con padre Enzo Amato partecipammo ad una processione in barca risalendo un fiume, dentro l’Amazzonia. Cominciò a piovere (e a piovere come si conviene da quelle parti). Nessuno disse: torniamo indietro. Fu un’esperienza indimenticabile.


Siamo corpi.
Corpi che si ammalano, e poi guariscono. Corpi che invecchiano.
Corpi che si bagnano, e allora si spaventano.
Siamo corpi che si abbracciano, si sostengono, piangono.
Giovedì pomeriggio, il Comune di Marsala ad un certo punto ha comunicato la decisione ufficiale del ritiro della processione a causa della pioggia. A corredo di questa stringata informazione, c’erano alcune foto: attori, volontari, comparse, marie, cristi, rientrati in chiesa piangevano, disperati: mesi e mesi di prove, sacrifici, sfumati via così, un piccolo sogno che sfuma per un nonnulla, e senza altra possibilità di replica per tutti loro, come per le veronichette, i bambini vestiti da angioletto, gli apostoli, i romani, quelli a cavallo, il ragazzino con il gallo e i ladroni.

Guardatele bene, queste foto. C’è un Gesù con ancora addosso la sua maschera di agonia sorretto e consolato da un soldato romano che singhiozza. In un’altra, sempre Gesù tiene da solo la corda con la quale era stato trascinato in strada fino a poco prima, e abbraccia in un pianto incontenibile i soldati che erano in strada  i suoi aguzzini, circondati da veroniche in lacrime, altri centurioni affranti. Quattro donne cercano consolazione, e il fotografo li sorprende in un dolore intimo e coinvolgente, gli occhi gonfi, le smorfie di chi non trova requie.

E io, sarà stata la febbre, ho trovato queste foto bellissime.
Sono giorni di paura e terrore, di pane e attentati. Sono tempi di religioni in guerra. Il pianeta è un corpo con troppi lividi. Eppure chi si fosse aperto una specie di breccia (che poi è il significato della Pasqua, no?) e avesse sbirciato dentro la chiesa di Sant’Anna, in quel momento, avrebbe visto qualcosa di incredibile: un legionario che consola Gesù, un altro che gli asciuga le lacrime, ebrei e cristiani che si abbracciano, donne del popolo che piangono insieme a sacerdoti del tempio, Barabba appoggiarsi a San Pietro. Nemici che piangono insieme, come fratelli. Un universo parallelo e sospeso, un’altra storia. E vorresti che fosse quello, l’epilogo. Ogni anno, e per sempre. Corpi che sanno di essere corpi, sensibili alla pioggia e alla vita, corpi che cercano pace, in quell’unico messaggio universale, in quella pietà che non cede al rancore e che insegna a tutti noi l'amore.

Giacomo Di Girolamo



Editoriali | 2024-12-11 06:00:00
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