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07/11/2016 07:47:00

Il travestimento da donna di Matteo Messina Denaro

 “Il ricorso al travestimento di boss mafiosi, anche di peso è più diffuso di quanto si pensi ed è un frequente stratagemma per mimetizzarsi e scappare». Lo ha detto il magistrato Raffaele Cantone, attuale presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, nel corso di una intervista rilasciata a Klaus Davi,  nel corso della puntata de “Gli Intoccabili”. L’intervista, rilasciata quando il presidente era ancora magistrato di Cassazione, fino ad ora mai pubblicata, riporta: “C’è il caso del camorrista Aldo Gionta (arrestato a Pozzallo il 17 agosto 2014, usava camuffarsi con occhiali e parrucche, arrivando a travestirsi da donna. Quando fu catturato era mimetizzato da turista straniero, ndr) ma ce ne sono stati anche altri. Attribuire a questa scelta una valenza sessuale, non è scontato. C’è solo la necessità di non farsi riconoscere: se si nota un’autovettura con a bordo un maschio e una femmina, c’è meno attenzione da parte delle forze dell’ordine». Cantone rimarca poi come «i discorsi sessuali siano sempre stati utilizzati con una doppia morale nella camorra, ma sono stati ottimi argomenti quando si è trattato di liberarsi di qualcuno». Sono diversi gli esempi riportati dal magistrato, fra i quali uno riguardante il boss La Torre che rivelò di aver ucciso il suo luogotenente perché non gli disse di essere affetto da Aids, sebbene andassero spesso con le stesse donne. «Ma non è vero che lo ammazzò per questa ragione – ha spiegato Cantone – in quanto lì c’era una lotta di potere. Però fu questa la motivazione che La Torre diede all’interno del clan, per giustificare l’eliminazione di un personaggio che aveva una sua popolarità interna ed era ben voluto dagli affiliati. Una sfera sessuale ambigua, insomma, sotto tutti i punti di vista”.

Il programma “Gli Intoccabili” ha diffuso un identikit di alcuni super latitanti e di come potrebbero apparire vestiti da donna visibile al link https://www.youtube.com/watch?v=mEVHT3au2i8&feature=youtu.be. Si tratta di: Matteo Messina Denaro, 54 anni, detto “u siccu”, sparito nel nulla dal 1993, capo del mandamento di Castelvetrano e ritenuto il capo indiscusso di Cosa Nostra, dopo l’arresto di Bernardo Provenzano e oggi ricercato più importante d’Italia; Nicola Assisi, 58 anni, broker internazionale della droga fra i più influenti al mondo, appartenente alla cosca di ‘ndrangheta dei Marando di Platì e irreperibile per 7 anni (dal 2007 al 2014), salvo poi riuscire a fuggire di nuovo sfruttando un intoppo per le procedure di estradizione dal Portogallo; Rocco Morabito “u tamunga”, 50 anni, di Africo, figlio del più noto Giuseppe, alias “u tiradrittu” (per molti anni al vertice delle ‘ndrine calabresi), è ricercato dal 1994 e deve scontare una condanna a 30 anni di carcere; Giuseppe Giorgi “u crapa”, di San Luca, 55 anni, latitante dal 1995, deve scontare una condanna per omicidio, traffico di droga, associazione mafiosa e detenzione di armi. Secondo il pentito Fonti, sarebbe soggetto legato al traffico illegale di rifiuti tossici e radioattivi.