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26/11/2016 06:30:00

L'ultimo femminicidio di Paceco e la Giornata contro la violenza sulle donne

Centosedici, sono 116 le donne che sono state uccise dall’inizio del 2016 ad oggi. L’ultima vittima a Paceco, Anna Manuguerra, colpita con 23 fendenti. Lasciata a terra in una pozza di sangue dal marito. Poi il carnefice andrà a bere un caffè come fosse nulla, come se quelle pugnalate fossero la giusta punizione per una donna che voleva voltare pagina. E' una strage senza fine quella delle donne vittime di violenze. Vittime dei propri mariti, dei compagni, di uomini che uomini non sono.
Anna Manuguerra è stata uccisa nella sua casa di Paceco, dove aveva cresciuto i suoi tre figli con lo stesso uomo che poi l'ha accoltellata a morte.
Un omicidio, anzi, un femminicidio, per usare un neologismo troppo usato anche quest'anno, che arriva nei giorni in cui sono partite campagne di sensibilizzazione.
Ieri infatti si è celebrata la Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne. Si sono ricordate in tutta Italia le vittime della violenza. Le donne uccise, sfregiate, malmenate dai compagni. Da uomini possessivi, gelosi, uomini che hanno ancora impresso il concetto di donna come oggetto. Un concetto da estirpare, anche qui, soprattutto qui, in provincia di Trapani. Un territorio che ha conosciuto troppa violenza sulle donne. Anna Manuguerra, Maria Anastasi, Uwadia Bose, e altre donne che hanno perso la vita in questo territorio. Colpevoli di essere donne.
Da vent’anni a questa parte sono cambiate molte cose. La legislazione, intanto, così ad esempio la vittima può essere interrogata dagli inquirenti senza avere il marito-compagno davanti, e poi, finalmente, si parla del fenomeno che non è più visto come un tabù.
Le azioni di violenza, che possono culminare come gesto estremo nel femminicidio, infatti, maturano dentro le mura domestiche, la vittima ha difficoltà a raccontare gli accaduti per vergogna e per timore di un giudizio negativo e inopportuno.
Si è però passati dalla fase, lontana, della minimizzazione a quella, vicina, della continua emergenza, in mezzo c’è tutto un mondo sommerso di piccole violenze quotidiane, di maltrattamenti che non emergono.
I femminicidi insegnano che il corpo di una donna viene martoriato con la più inumana delle violenze: pugnalate, calci, pugni, colpi di pala, corpi bruciati. Gesti estremi , come estremo e malato è un amore che non è capace di rispettare il cambiamento di un sentimento.
La violenza non è solo fisicità, c’è quella subdola che logora, che scava, che consuma le vite fino ad annientarle, è quella psicologica.
Vite spezzate, umiliate, incapaci a reagire, sacrificate e messe in un angolino perché considerate non adatte, non idonee, non capaci ma guai a farle allontanare da quel nido, è lì che devono stare, braccate e legate.
Nella mattinata di ieri, all’Ente Mostra di Marsala, si è inaugurata la mostra fotografica “Rompiamo il Silenzio”, gli scatti provengono dalle varie scuole del territorio. Sono foto che hanno avuto il coraggio di andare “oltre” e in tutte si legge la prospettiva di una speranza e non la staticità del momento.
Sono foto di pagine di vita che descrivono una donna, anche, prigioniera di stereotipi difficili da superare, vite e immagini che racchiudono una parola: Lotta.
Lottare per se stesse e per o con altre donne, spesso le donne non sono capaci a essere solidali tra di loro.
E’ la determinazione mista all’autostima che farà di una donna una persona capace di scegliere, capace di decidere per se, capace di spiegare ai propri figli e nipoti o, più semplicemente, alunni che esiste una differenza di genere tra maschi e femmine, che questa differenza non è un ostacolo ma un guardarsi con occhi appartenenti a mondi differenti non in contrasto, iniziando ad utilizzare un linguaggio di genere senza per questo vergognarsi.
Amarsi e credere in se stesse, senza farsi sopraffare, senza farsi zittire, essere attrici principali di scelte di vita per emotività e sentimento e non per plagio sociale.
Tutte queste donne descrivono un cielo e un mare nel quale volare e nel quale nuotare, in un unico sistema che si chiama vita.
Se chi vi ama vi limita non vi ama, se chi vi ama vi bracca non vi ama, se chi vi ama vi imprigiona non vi ama, se chi vi ama vi umilia e mortifica non vi ama.
Scegliete chi vi rispetta, chi rispetta la donna che muta, che si distacca, che vuole percorrere altre strade, seppur nella sofferenza, rispettate chi ha deciso che quella esperienza è finita.
Scegliete chi non vi scalfisce, chi non vi rende vulnerabile, chi ha emotività da regalare senza fare fatica a praticarla.
L’elaborazione delle emozioni e della loro comunicazione è difficilissima da mettere in pratica ma il cammino si può e si deve tracciare a partire proprio dagli uomini a cui viene insegnato, inopportunamente, che un uomo non piange, non si emoziona, non si commuove non è sensibile.
Falso, rompere il silenzio vuol dire anche rompere le emozioni che vivono dentro gli uomini e farle fuoriuscire come un flusso, inarrestabili.
E allora le donne devono avere il coraggio e l’ambizione di mostrarsi con la forza necessaria, decidete per voi non per convenzione, siate lavoratrici, casalinghe o mamme se vogliate esserlo e non per imposizione sociale, non vi fate trincerare i pensieri e le azioni poi. Anche questa è violenza.
E quello che non può essere taciuto va detto, denunciato, perché le violenze, anche le più piccole, sono il preludio di un dramma annunciato.
Non vogliamo fiori su una lapide ma su un tavolo a ricordare il profumo della vita.

Rossana Titone