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18/03/2017 06:35:00

Alessandra Camassa/1: "Falcone e Borsellino magistrati con l'anima, non chiamateli eroi"

Pubblichiamo una lunga intervista in due parti ad Alessandra Camassa, presidente del Tribunale di Marsala. Ha conosciuto i Giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Si è occupata dei  vari aspetti di Cosa Nostra, sia sul piano giudiziario e sia su quello sociale. Ha interrogato collaboratori di giustizia e testimoni. L'intervista integrale è pubblicata da La Voce di New York. 

Alessandra Camassa

Alessandra Camassa, presidente del tribunale di Marsala

In magistratura dalla fine degli anni 80, ha cominciato come sostituto procuratore a Marsala con Paolo Borsellino. In DDA a Palermo fino al 1993 e successivamente passata in Tribunale come giudice a Marsala, ha continuato ad occuparsi prevalentemente di criminalità organizzata. Dall’anno 2000 al Tribunale di Trapani è stata giudice monocratico, in collegio e in Corte d’Assise, occupandosi anche di misure di prevenzione antimafia. Dal 2010 Presidente della Sezione penale del Tribunale di Trapani e dal Giugno del 2016 Presidente di Tribunale a Marsala.

Malgrado l’impegnativa attività professionale, il giudice Camassa ha comunque sempre tenuto un grande impegno nel sociale, intervenendo in varie scuole d’Italia per parlare di legalità e scrivendo brani e testi teatrali messi in scena in diverse località italiane.

Lei ha frequentato sia Paolo Borsellino che Giovanni Falcone. Addirittura Falcone lo conosceva bene fin da ragazzina.  Ci racconta come li ha conosciuti?

“Paolo l’ho conosciuto per ragioni di ufficio perché è stato il mio primo capo ufficio a Marsala. Io arrivai a Marsala nel settembre del 1989, da uditrice, insieme al collega Antonio Ingroia. Paolo era il procuratore. Invece, con Giovanni la situazione è stata diversa, con lui  non ho mai lavorato anche perché lavorava a Palermo e la mia prima sede è stata Marsala. Ma Giovanni lo conoscevo sicuramente molto meglio di Paolo perché prima di trasferirsi a Palermo lavorava a Trapani, la mia città. Poi verso il 1978-79 si trasferì nel capoluogo. In contemporanea al suo trasferimento io iniziai l’università a Palermo.   Giovanni, appunto, aveva vissuto 12 anni a Trapani ed era molto amico di mia sorella Paola e di mio cognato Ninni. Quando tornò a Palermo, le amicizie che aveva in quella città si erano molto diradate a causa di questa sua permanenza a Trapani, per cui tra i migliori amici con cui usciva di frequente, magari la sera, c’erano appunto mia sorella e mio cognato che nel frattempo si erano trasferiti nel capoluogo.  Giovanni, che già incominciava a istruire il processo Spatola, ma non era scortato,  non era ancora  il giudice Falcone che poi tutti hanno conosciuto;  mi veniva a prendere la sera – perché io vivevo in una casa con altre colleghe universitarie – e andavamo a cenare da Paola e Ninni. Mia sorella all’epoca stava iniziando la sua attività professionale, per cui, come accade alle giovani coppie, spesso non aveva qualcosa di pronto e quindi io e Giovanni andavamo a comprare qualcosa da mangiare e ci recavamo da Paola, quindi per me Giovanni era un carissimo amico di mia sorella che io conoscevo da sempre”.

Che carattere avevano?

“Giovanni molto istituzionale; ed era anche consapevole, a ragione, delle sue capacità, delle sue qualità e di avere una visione che gli altri Magistrati non avevano. Vi erano bravi giudici ma Giovanni aveva una visione diversa. Io dico sempre che era un “magistrato statista”. Un giudice che capiva perfettamente  come si deve modificare la legge per ottenere determinati risultati o che era particolarmente consapevole del modo in cui bisogna operare nel mondo giudiziario per ottenere risultati migliori. Una visione ampia. Infatti a lui dobbiamo tante innovazioni nel campo della giustizia: la legge sui collaboratori, quella sulle DDA e sulla DNA, sul coordinamento delle indagini. L’ intera struttura  dell’organizzazione della lotta alla mafia fu ideata da lui.

Anche Paolo era un uomo che aveva un alto senso del dovere, una grande capacità di sintesi,  una grande memoria, un grande acume investigativo e scriveva molto bene.  Aveva questo accento siciliano marcato che poteva non fare una bella impressione a chi non lo conosceva, invece era profondo e attento ai particolari ed era una “una bella penna”, scriveva benissimo.

Ma soprattutto Paolo e Giovanni, oltre alla preparazione, avevano una buona quantità di “anima” intesa sia come sensibilità che come passione.

Tra l’altro furono i primi a subire attacchi assai poderosi, seguiti anche successivamente in altri casi; attacchi critici che vennero poi estesi a tutta la magistratura e a cui nel tempo ci siamo, magari, abituati. Ma loro furono i primi bersagli, e questo, probabilmente, li ha in parte fortificati”.

Giovanni falcone e Paolo Borsellino

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino il 27 marzo 1992 al palazzo Trinacria di Palermo (Foto di Tony Gentile)

Ce l’ha un ricordo particolare del giudice Falcone?

 “Tanti sono ricordi molto personali e sono forse i più belli. Ricordi di un Giovanni meno istituzionale, diverso da quello che poi è diventato o è apparso nel tempo. Ho ricordi bellissimi di pranzi, di quando ero ragazzina, a casa sua a Trapani. E poi ricordi con Francesca. Conoscevo benissimo anche lei per vari motivi,  tante festività trascorse insieme a loro a casa di mia sorella.

Le racconto un episodio da cui si evince l’essenza sempre molto istituzionale di Giovanni.

Nel 1988 Paolo rilasciò delle interviste alla stampa, e sia lui che Giovanni finirono per essere chiamati davanti al Csm il 31 luglio del 1988. La vicenda riguardava le dichiarazioni di Paolo sull’allora Capo dell’ufficio istruzione.  Aveva sostenuto che il sistema del “pool” era stato distrutto da questa nuova organizzazione che aveva impostato il Consigliere Antonino Meli. All’esterno si mostrarono molto compatti nel difendere la loro impostazione del pool antimafia. E infatti, quando Giovanni venne sentito al Csm sostenne le dichiarazioni di Paolo. In realtà, ricordo che Giovanni, tempo dopo, riferendosi a quell’episodio, a casa di mia sorella mi disse: “Ma insomma glielo vuoi dire a Paolo che deve parlare poco?”. Perché  Giovanni era il tipo che, pur non essendo d’accordo con le  direttive  di Meli, si adeguava comunque. Il  suo pensiero era “Meli è il Capo dell’ufficio Istruzione, e  pur non essendo d’accordo con le  sue direttive, io comunque obbedisco”. Giovanni era questo. Non si sarebbe mai messo contro il capo dell’Ufficio Istruzione. Paolo invece, disse chiaramente ciò che pensava sulle nuove direttive imposte da Meli. E Giovanni, sentito al Csm, sostenne ciò che aveva esternato Paolo. In sostanza Giovanni era d’accordo con ciò che disse Paolo ma lui non l’avrebbe mai detto pubblicamente.  Ma questa sua “obbedienza” nei confronti dello Stato si era manifestata anche in altre occasioni. Quando Cossiga, a metà anni 80,  mandò i Carabinieri al Consiglio Superiore della Magistratura,  ci fu una riunione del nostro gruppo, Movimento per la Giustizia, e anche se ero molto giovane ricordo bene che molti di noi volevano scioperare e, invece, lui disse: “Non si sciopera contro il capo dello Stato, torto o ragione che abbia”. Giovanni non era facile, aveva le sue idee veramente, era quasi “tetragono” in queste cose, a volte  non sentiva ragioni”.

È vero che si arrabbiava moltissimo quando perdeva a scacchi con suo nipote Enrico?

 “Si arrabbiava tantissimo… e mio nipote lo chiamava “Erode”. Avvenne l’ultima estate che andarono in vacanza insieme alla famiglia di mia sorella in Grecia, e c’era anche mio nipote. In pratica Giovanni aveva insegnato ad Enrico, che aveva solo dieci anni, a giocare a scacchi ma spesso proprio lui, che gli aveva insegnato a giocare, perdeva. Comunque, in generale, non era molto paziente con i bambini”.

Il fatto di aver conosciuto Giovanni Falcone da ragazzina, ha forse influito nella sua scelta di studiare Giurisprudenza e poi tentare il concorso in magistratura?

“Assolutamente no. La mia scelta di studiare Giurisprudenza e poi fare il concorso in Magistratura è stata del tutto casuale senza nulla di glorioso. Io volevo iscrivermi in filosofia, anzi direi che stavo per iscrivermi. Tuttavia proprio l’estate della scelta universitaria mio marito, all’epoca soltanto fidanzato, aveva superato gli scritti del concorso in Magistratura e doveva prepararsi per gli orali, allora mi disse: “Alessandra ripeto qualcosa a te”. Un giovane che si iscrive all’università, in genere, non ha ancora le idee chiare, non sa esattamente cosa è e cosa non è il lavoro del Giudice. E io, ascoltando questi argomenti,  mi appassionai e da li partì la mia scelta professionale”.

Alessandra Camassa Borsellino

Alessandra Camassa con Paolo Borsellino durante i funerali di Giovanni Falcone

Parliamo della sua esperienza a Marsala. Lei arriva lì nel settembre dell’89, giovanissima. Che rapporto si instaura con il giudice Borsellino?

“Ottimo perché era una persona molto affettuosa e accogliente. Devo dire che io ero molto autonoma come persona e il dottore Borsellino privilegiava, dal punto di vista affettivo, i colleghi più fragili emotivamente. Io di certo non lo ero.  Era molto paternalista quindi “adottava” i colleghi che avevano più problemi personali. Con me, come con tutti, c’era comunque un rapporto eccellente.  Di me  apprezzava molto il fatto che avessi una certa capacità lavorativa ma non è che avessi un rapporto privilegiato rispetto agli altri. Poi sono una persona  molto diretta così come lo era lui e quindi c’era  una buona sintonia di carattere. Gli dicevo sempre quello che pensavo e Paolo faceva altrettanto. E questo era uno dei suoi maggiori pregi”.

1 - continua