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09/06/2017 07:25:00

Il caso Maria di Trapani, parlano i testi: "Maltrattamenti? Era trattata bene"

 Testimonianze favorevoli agli imputati nel processo che in Tribunale a Marsala (giudice monocratico Chiaramonte) vede alla sbarra, con l’accusa di maltrattamenti a “Maria di Trapani”, il 49enne Alberto Lipari, autore e conduttore del programma “Stranamuri Sicilianu”, e la 40enne marsalese Rosalba Platano.

A deporre a loro favore, nonostante citati dal pm, sono due titolari di locali notturni, Antonino Mazzara e Ketty Mele, che hanno sostanzialmente dichiarato: “Maria di Trapani veniva trattata bene. Era servita e riverita, nonché curata nell’abbigliamento e nel trucco”. A difendere i due imputati è l’avvocato Vincenzo Forti.

Nel processo (prossima udienza: 21 settembre), Maria Caruso si è costituita parte civile. Ad assisterla sono gli avvocati Donatella Buscaino e Natalia Dispinseri. Nel capo d’imputazione si legge che Lipari e Platano, “in concorso tra loro, dopo avere fatto acquistare a Maria Caruso detta Maria di Trapani una certa popolarità grazie a video dagli stessi girati e pubblicati su youtube, facebook, etc., dopo averla convinta a seguirli in giro per i locali della Sicilia per fare serate di promozione di tali locali con la falsa promessa di guadagni e popolarità, approfittando anche delle sue condizioni di deficit cognitivo, per un mese, la tenevano reclusa in una stanza presso un’abitazione di Marsala, dove la donna era costretta ad espletare i propri bisogni in una pentola, veniva mal nutrita e privata dei presidi igienici più elementari, fatta oggetto di dileggio e derisione e quotidianamente percossa dai figli della stessa Platano”. Ciò nell’agosto del 2013.

Poi, tra settembre 2013 e ottobre 2014, Maria di Trapani sarebbe stata ospitata in un’abitazione del villaggio Kartibubbo di Mazara, di proprietà della Platano, dove, oltre a subire analoghe “vessazioni”, avrebbe anche svolto le pulizie di casa. La sera, invece, “veniva agghindata e trascinata presso vari locali per le serate promozionali, per le quali non le veniva mai consegnato alcun tipo di compenso, che veniva sempre incassato dal Lipari e dalla Platano”. Maltrattamenti, scrive il gup Amato nel decreto di rinvio a giudizio, che a Maria Caruso “rendevano di fatto intollerabile la normale vita quotidiana”.