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21/07/2017 06:00:00

Se anche alle "Due rocche" di Marsala è partita la caccia al giovane immigrato...

 Ci sono silenzi pesanti come macigni. Omissioni che equivalgono a delitti efferati. Fatti che, se taciuti, deturperebbero per sempre la nostra stessa essenza umana. Ed io, per amore del popolo delle “Due Rocche”, non posso che narrarli, così come mi sono stati riferiti.

Sullo scoglio più affollato di quest’ultimo lembo d’Italia, e’ una giornata come tante altre. Sono le cinque del pomeriggio. Gli abituali frequentatori nuotano nelle placide acque di Capo Boeo o cazzeggiano prima dell’ultimo tuffo, mentre la nutrita colonia di giovani rifugiati , quelli che noi affettuosamente chiamiamo Nivurincioli che, dall’inizio della bella stagione popola il sito, attende ai suoi giochi: esibendosi in acrobatici tuffi, lanciandosi scherzosi improperi, canzonandosi a vicenda nel loro indecifrabile idioma materno.

D’improvviso, però, l’atmosfera da rilassata, diventa elettrica. Il clima di tolleranza e d’accoglienza, tratto distintivo di questo luogo dell’anima (ove gente proveniente da ogni parte del mondo ha sempre intrecciato relazioni improntate alla gentilezza e trasformato le diversità – etniche, linguistiche, religiose – in ricchezza) pare irrimediabilmente deteriorato. Tre energumeni piombano sul gruppo di giovani adulti – ospiti di una delle comunità disseminate nel territorio lilibetano – inveendo e agitandosi, quasi in preda al ‘ballo di San Vito’. Il più esacerbato, accusa i ragazzi africani di avergli rubato la bicicletta: ma pare solo un pretesto. Pretende gliela restituiscano immediatamente, promettendo sfracelli, in caso contrario. Gli intima di lasciare, seduta stante, gli scogli: quasi fosse ‘U sinnac’a Citta. Minaccia rappresaglie, se oseranno farvi ritorno: “ ‘un c’aviti a passari cchiù mancu ra strata!”.

Quelli, sbigottiti, cascano dalle nuvole. Tentano di spiegare, nel loro stentato italiano, che non capiscono nemmeno di cosa stia parlando. Che nulla sanno: né di bici né d’altro. Che sono lì, per prendere un bagno. Per allentare un po’ la tensione, dopo le peripezie del lungo e periglioso viaggio che li ha portati in quest’estrema propaggine d’Europa. Per sfuggire alla guerra. Alla persecuzione politica. Alla miseria nera. Qualche indigeno s’avvicina. Tenta di mettere fine alla tragicomica pantomima. Di calmare gli animi, ormai surriscaldati. Uno dei ragazzi di colore, lo ringrazia. Riconosce ad Alfonso e ai suoi amici, comportamenti da persone civili. Con delicatezza, però, lo invita a tornare al suo posto. Loro sanno sbrigarsela da soli. Purtroppo, così non accade. L’esagitato continua nella sua brutale condotta e la maggior parte degli sventurati ragazzini è costretta a sloggiare. Senza manco avere il tempo di cambiarsi. Fuggono via, così come sono: seminudi. La maglietta tra le mani. I sandali slacciati. Il costume bagnato. Ora, sugli scogli, restano solo in tre. L’ipercinetico, riprende fiato. “Va fazzu veniri eu, a ‘ntisa a viatri!”, urla in faccia ‘e poviri tuicchi. Che scappano a gambe levate. I tre rappresentanti della Sicilia perbene, in auto, li inseguono, tentano di raggiungerli. I malcapitati, riescono a dileguarsi e a tornare, spaventati ma indenni, in comunità. A Capo Boeo, però, non li si vede più, mancu cu bbinnoculu!

La vicenda conferma una volta di più il monito di Tolstoj: “Vuoi essere universale? Parla del tuo villaggio”. Le tensioni suscitate dall’incandescente problema dei Migranti – priorità assoluta dell’agenda politica europea – sono approdate anche sullo scoglio più cosmopolita d’Italia. Tensioni che montano ogni giorno di più, anche perché la crisi economica non accenna a finire, rendendo così sempre più impetuoso il vento che soffia in direzione contraria all’accoglienza e all’integrazione. Anche a causa dell’informazione ‘malata’ veicolata dai social, cui attinge la maggior parte della persone. Che prendono per buone le minchiate raccontate dai media. Che non hanno tempo, volontà e strumenti per valutarle criticamente. Che trovano comodo addossare ‘e nivurincioli, i loro problemi economici ed esistenziali. Che, pur dicendosi cattoliche, restano sorde alle sagge parole che Papa Francesco ripete ad ogni occasione. Che, magari esse stesse, un tempo, costrette a lasciare la loro terra per fame, ora ignorano le sofferenze di coloro che son costretti ad abbandonare radici e affetti, per strappare un po’ di gioia ai giorni futuri. Mettiamoci il cuore in pace:l’esodo biblico che caratterizza il nostro tempo, continuerà per altri vent’anni. L’italia, la sua parte, bene o male, la sta facendo. E’ l’Europa, semmai, a mancare all’appello. E’ l’informazione a non aver capito che occorre un ‘surplus’ di responsabilità. E’ la politica a non aver compreso che, la complessità, non si può affrontare con gli slogan acchiappa – voti. Continuando così, non potremo più cianciare di “invasione dei barbari”: perché barbari lo diventeremo noi.

G. Nino Rosolia