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17/08/2017 06:05:00

A Castelvetrano c'è l’Urban Center fantasma

 E’ così che si campa nelle zone depressionarie del sud: la caccia al finanziamento è l’imperativo categorico del pubblico e del privato. “Intercettare i fondi”. E’ così che si dice. E più ne intercetti, più sei bravo. Non importa se le opere da realizzare sono inutili o addirittura inopportune, l’importante è fare arrivare i soldi dall’Europa. Un modo come un altro per mostrare i muscoli, dando opportunità di lavoro e creando consenso elettorale.

Ecco che allora vengono pedonalizzate intere piazze senza dei seri piani di viabilità alternativa; realizzate palestre tenda date in pasto ai vandali ed al maltempo; installati totem informativi “touch screen” di ultima generazione che smettono di funzionare dopo poche settimane e che nessuno aggiusta.

In fondo però è come se la cittadinanza percepisse questi nonsense come l’effetto collaterale di una sorta di welfare parallelo, anche se per pochi. Quasi come se l’obiettivo finale non fosse un totem funzionante usato dai turisti, o una palestra frequentata dai ragazzi, ma i soldi che girano attorno alla realizzazione delle opere stesse che, una volta fatte, esauriscono la loro funzione. Anche perché, per la manutenzione ci vogliono i fondi comunali, che spesso non ci sono o vengono usati per altro.Ma ci sono casi in cui “ci si porta avanti col lavoro” e ciò che viene realizzato non funziona già dall’inizio.

E’ il caso dell’Urban Center nel sistema delle piazze.  Costato quasi 270 mila euro, sarebbe dovuto essere uno spazio multimediale, interattivo e ipertecnologico dentro la secentesca Collegiata dei Santi Pietro e Paolo, ritornata visitabile nel 2007, dopo un lungo restauro che mise in luce i pregevoli stucchi di scuola serpottiana che la caratterizzano.

A lavori ultimati, buona parte della tecnologia non funzionava. E allora, prima di regalare l’Urban Center alla “pubblica fruizione”, termine che ha sempre riempito di gioia qualsiasi amministratore pubblico, ecco disporre la prima riparazione.
In un provvedimento dirigenziale del febbraio scorso, fu previsto l’intervento di due tecnici per due giornate. Un lavoro delicato, costato 650 euro, al quale vennero aggiunte 1.500 euro per “eventuale sostituzione di componentistica hardware” e 473 euro di iva al 22%.
Insomma, ancor prima dell’inaugurazione, c’è già un danno (burocraticamente, una criticità) costato ai cittadini 2.623 euro.

Ma l’opera, anche se “fruibile”, non è stata inaugurata. “Abbiamo scelto di non inaugurarla per evitare qualunque tipo di strumentalizzazione – aveva affermato l’allora sindaco Felice Errante nell’aprile 2017 - stante la delicata situazione che stiamo vivendo”. Già dal marzo scorso, infatti, gli ispettori ministeriali stavano passando al setaccio centinaia di atti amministrativi che avrebbero poi portato al commissariamento per mafia del Comune.

Insomma, l’Urban Center ha aperto i battenti senza inaugurazione. Ma, nonostante le riparazioni, il pubblico non ha avuto modo di “fruire” granché, perché buona parte delle installazioni multimediali hanno continuato a non funzionare.
L’architetto progettista (e coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori, con un ribasso del 68,22%) il marsalese Giovanni Renato Maria Nuzzo aveva descritto il cammino del visitatore, dall’ingresso all’area presbiteriale. Un percorso scandito da 4 “exhibit” in cui si ha “un progressivo passaggio da un tipo di informazione divulgativo-tradizionale fino a giungere ad un sistema evocativo-emozionale, grazie all’uso di sistemi interattivi uniti ad un’ambientazione magica”.

Qualche giorno fa abbiamo visitato gli spazi della Collegiata. All’ingresso ci siamo trovati di fronte al primo exhibit, il “Front desk” che, da progetto, dovrebbe servire “a fornire al visitatore le informazioni di prima accoglienza”. Un tavolo elissoidale e una parete curva in cartongesso che funge da quinta al tavolo. “L’intervento – si legge nel progetto - dovrà permettere all’amministrazione comunale di comunicare al visitatore/cittadino varie informazione legate al territorio”.

L’unica informazione che però era possibile visualizzare nei touch screen incastonati sul piano del tavolo era: “Impossibile avviare il computer, ripristino dell’avvio”. Un avvio che però non si ripristinava mai.
Nella parete curva invece c’erano tre monitor (acceso solo quello al centro) dove scorrevano delle immagini spot del territorio, dal parco archeologico di Selinunte alle immagini della città vista dall’alto. Secondo il progetto dovevano esserci anche delle registrazioni sonore che, neanche a dirlo, non c’erano.

Subito dopo il front desk, ecco il secondo exhibit: il “Tavolo delle mappe”, per “un volo interattivo sulla provincia di Castelvetrano e sulle sue ricchezze storico-architettoniche e socio-culturali”. Basta accarezzare il tavolo e partono le immagini sparate da un proiettore montato vicino al tetto ed inizia il racconto che si può ascoltare anche in lingua inglese. O meglio, si dovrebbe. Purtroppo la parte del tavolo relativa all’inglese, non è molto sensibile alle carezze e la proiezione non parte. Oppure parte dopo che i turisti se ne sono già andati.

Il terzo exhibit è composto da una grande parete curva di forma absidale e da uno “scriptorium”. Toccando un monitor touch da 42 pollici incassato in questo scriptorium, sulla parete dovrebbero essere proiettate delle immagini in modo da approfondire l’archeologia e l’architettura del territorio. Questo, sempre secondo il progetto. Nella realtà però è tutto spento: non funziona.

Il quarto exhibit è composto da due “acquasantiere” che, se accarezzate sul bordo ricevono delle immagini ed un sonoro. “In quest’ultimo exhibit – si legge nel progetto - l’utente potrà avventurarsi in una conoscenza approfondita dell’area e del territorio circostante, soprattutto sotto il profilo storico antropologico, culturale, sociale e di percorsi legati alla tradizione popolare”. Le immagini però sono i visi di due storici locali che raccontano egregiamente le tradizioni, ma senza alcun filmato di supporto e soltanto in lingua italiana.
Ecco, per esserci, il sistema evocativo – emozionale c’era. Ma ciò che evocava, in quel momento, era ben lontano da sentimenti positivi.

Ma che cos’è davvero un urban center? Una cosa è certa: non è un insieme di “futuristici” totem tecnologici per informazioni turistiche. Ce l’ha anche Desio, in provincia di Milano. Ed è descritto come un “punto di raccordo tra l’Amministrazione e la cittadinanza attorno ai temi e ai percorsi di trasformazione della città”.

Si dirà: fantasociologia per una città come Castelvetrano. E invece no. Perché nel relativo progetto la definizione è simile. Anzi, è molto più completa, perché prevede una maggiore partecipazione ai cambiamenti urbanistici da parte dei cittadini, spiegando pure come ottenerla: “Aumentando la trasparenza, ossia consentendo loro di accedere facilmente e in maniera comprensibile alle informazioni, avviando una discussione costruttiva che porti a miglioramenti sostanziali dei singoli progetti, delle linee d'indirizzo per quartieri e per le intere città in merito alla conoscenza del territorio”.

Certo, non fa una piega. Soprattutto se sono cose che rimangono sulla carta. Però, come si dice, un passo alla volta. Uno dei primi temi da affrontare potrebbe essere proprio come rendere funzionale l’urban center, dal momento che non c’è aria condizionata d’estate, né riscaldamento d’inverno. Difficile avviare “discussioni costruttive”, prigionieri dell’afa estiva e del gelo invernale. Un altro punto potrebbe essere quello di far funzionare tutti gli “exhibit”, se non si vuole sostituirli con dei tavoli da ping pong. E un altro punto ancora: preoccuparsi per gli stucchi serpottiani del seicento che, a vederli, non sembrerebbero proprio tutelati come si dovrebbe: basta guardare il cappellone e quelle profonde crepe che lo attraversano, per rendersi conto che forse, più che dell’urban center c’era bisogno di un serio intervento conservativo per l’immenso patrimonio artistico che lo avvolge.

Chissà, basta aspettare che si muova qualcosa anche per quello. In termini di fondi europei, ovviamente.

Egidio Morici