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05/01/2018 04:30:00

Il titolo professionale

di Leonardo Agate - Antonio, al tavolino del caffè di Piazza della Repubblica, stava con gli amici comuni che, incontrandosi saltuariamente in due o tre, decidevano a un certo punto di andare dentro a sedere per stare più comodi sulle poltroncine. Tra l’altro, quella mattina piovigginava, e l’ora del pranzo non era ancora arrivata. Scelsero un tavolino ad angolo, così sarebbero stati meno disturbati dal chiacchiericcio degli altri avventori, e avrebbero potuto parlare meglio.

 Antonio raccontò del maresciallo Mario Inglisano, ormai defunto, che fu continuamente molestato da una vicenda di titoli professionali, e sempre se ne dispiacque fino a quando, ormai anziano, finì di dispiacersi passando a miglior vita.  Il maresciallo era stato suo compagno di classe alle scuole medie superiori, ai tempi in cui la riforma della scuola, negli anni ’60, divise gli studi classici nel Liceo Classico e nel Liceo Scientifico, con la nota conseguenza che, dopo la riforma, il numero dei maturi all’esame di maturità divenne pressappoco uguale al numero degli aspiranti maturandi. Magia delle riforme!

 Ma non allontaniamoci dal nucleo del racconto di Antonio sul maresciallo Inglisano.  Costui non era maresciallo, per la semplice ragione che dopo il diploma di maturità classica si era iscritto a Giurisprudenza  e, diventato dottore, aveva iniziato a fare la pratica notarile, anche quella di procuratore legale e a svolgere l’incarico di professore di diritto negli Istituti Tecnici. Era un giovane intelligente  e studioso. Partecipò anche al corso per aspiranti segretari comunali presso l’Università degli Studi di Cagliari, e, avendolo superato, ebbe l’incarico di segretario comunale in un comunello della Barbagia, in Sardegna. Quest’incarico si sarebbe poi trasformato nel suo lavoro definitivo. In quel piccolo Comune, tra i monti allora infestati di latitanti e sequestratori, il maresciallo – non maresciallo Inglisano era naturalmente diventato amico del maresciallo della locale Stazione dei Carabinieri, come capita in tutti i piccoli Comuni dove sempre stringono amicizie i maggiorenti funzionari, professionisti e politici.

  Il portamento del dott. Inglisano era  autorevole nell’incedere. Si notava, sotto l’abito civile, una certa ben messa struttura fisica. Tanto che, sceso dalla corriera nella piazza principale del paese, per prendere servizio al Comune, i soliti sfaccendati, guardandolo dal bar, pensarono che potesse essere il nuovo vice maresciallo, o anche il nuovo maresciallo, che avrebbe sostituito il vecchio, desideroso da tempo di essere trasferito in una sede più agiata.

 Accertato infine nel paese che il nuovo arrivato era il nuovo segretario comunale, per il tempo che stette in quel Comune, fu chiamato correttamente “segretario”. Quando, però, fu trasferito in un Comune di maggiori dimensioni, dove non c’era più solo la piazza e la breve via principale, ma molte piazze e vie, non tutti potevano conoscerlo, anzi lo riconosceva solo la ristretta minoranza dei dipendenti comunali, degli amministratori e di coloro che, per un motivo o per un altro, gravitavano sul Comune. Successe allora che, andando il segretario per gli affari fuori di casa o degli uffici, entrando per esempio in un bar o in un negozio, si sentiva apostrofare con il titolo non suo di “maresciallo”, per via del suo portamento probabilmente, o per il suo modo autorevole di chi è abituato a comandare.

 Al nostro uomo non è che dispiacesse la qualifica scorretta nel suo caso, che anzi gli richiamava al pensiero l’amico maresciallo, ormai chissà dove. Ma era persona precisa, il nostro, e desiderava essere riconosciuto per quello che realmente era. Gli dava fastidio da non dire, avere attribuito un titolo non suo, mentre il suo titolo veniva dato a chi segretario comunale non era, come ebbe modo di capire un giorno che passava per il corridoio degli uffici comunali, e ascoltò per caso che un cittadino si rivolgeva al “segretario” che era invece l’addetto allo sportello dell’Anagrafe.

 Anche se tra segretario comunale e maresciallo il prestigio del titolo poteva in un certo senso equivalersi, sia pure il primo nel campo amministrativo e il secondo nel campo della prevenzione e repressione dei reati, il disappunto del segretario si acuiva quando sé stesso veniva equiparato a un dipendente di basso livello. Aumentava ancora di più la sua contrarietà quando, entrando in un negozio, si sentiva dire: “In cosa posso servirla, ragioniere?” No! Questo titolo proprio non gli andava. Non che avesse qualcosa contro i ragionieri, persone molto utili al consorzio umano, e precise  nel fare le operazioni contabili, e pure le percentuali e le divisioni con i decimali. Il fatto è che per un laureato sentirsi chiamare ragioniere è un demansionamento evidente  e ingiustificato. Il dottore se ne rodeva. Non riusciva nemmeno a sfogarsi, rispondendo: ”Guardi che sono dottore, mi chiami così per favore.” Era, infatti, rispettoso dell’altrui ignoranza, ed evitava di rimarcarla tacendo, ma, silente, non si sfogava in qualsiasi modo, accumulando dentro si sé un astio che aumentava nascostamente di più le altre volte che gli capitava che un non conoscente si rivolgesse a lui con il titolo di “maestro”. Siamo sempre là, nemmeno questo titolo era il suo, e il segretario pensò che sarebbe stata una buona legge quella che imponesse a ognuno di portare la propria targhetta con il rispettivo titolo, che avrebbe attribuito a ognuno quello di sua spettanza.

 Il nostro segretario comunale era un ottimo funzionario pubblico, ma la sconoscenza degli altri delle sue funzioni fece lievitare il suo disappunto quando divenne, per sviluppo di carriera, segretario generale di Firenze.

 L’enormità della città lo faceva disconoscere sempre più fra la gente nel mare magnum delle vie e delle piazze e dei portici, delle trattorie, dei bar, dei negozi e dei pubblici locali. Talvolta lo chiamarono persino “geometra”. Il colmo per lui che era convinto, come Moro, che due parallele possano a lunga distanza avvicinarsi e convergere in un’unica riga: concetto quanto più distante si possa immaginare dalla corretta geometria.

 Avvenne pure che l’amministratore del grande condominio in cui il segretario aveva comprato l’appartamento, gli spedì una lettera per invitarlo a versare certi oneri condominiali, e indirizzò la missiva al “Per. Agr. signor Mario Inglisano”. A leggere l’indirizzo, il segretario restò di stucco. Pure “Perito Agrario” adesso! E gli sorse nella mente più forte e sostenuta l’idea di una legge che prescrivesse il cartellino con il titolo da esibire sul vestito dalle parti del petto.

 Ormai il segretario generale era sul punto di andare in pensione, dopo una lunga e onorevole carriera, in cui proficuamente si era battuto, come aveva potuto, contro gli ostacoli posti dalla burocrazia ai cittadini. Questa battaglia, nel suo piccolo, per ciò che dipendeva soprattutto da lui, l’aveva vinta, e ne era giustamente orgoglioso. L’altra guerricciola, intima e inespressa, tendente a essere chiamato con il suo giusto titolo, si poteva considerare, invece, persa. Anzi, gli sembrò definitivamente persa con l’arrivo della lettera dell’amministratore del condominio. Ma , come a volte capita nelle ore estreme e più turbinose dell’esistenza, venne al segretario l’idea corroborante di scrivere questa definitiva risposta alla superficialità delle persone, come sua unica e ultima protesta ufficiale al malvezzo, come l’ultimo ruggito del vecchio leone che si allontana dal branco. Si sedette allo scrittoio, prese carta e penna e scrisse all’amministratore: “Egregio Dottore – perché era davvero dottore, laureato in Economia e Commercio, come risultava dall’intestazione della lettera ricevuta - , La informo che non sono Perito Agrario, ma laureato in Giurisprudenza. Ho fatto l’insegnante di diritto negli Istituti Tecnici dopo la laurea, poi il segretario comunale; negli ultimi venti anni il segretario generale. Poiché non tengo ai titoli, mi basta che mi chiami “signore” semplicemente. Se, però, vuole proprio darmi un titolo, si ricordi di quello che ho scritto sopra.” Saluti e firma.

 Il segretario generale, dopo meno di quindici giorni, ricevette la lettera di risposta dell’amministratore del condominio, che gli porse le sue scuse, indirizzando stavolta la risposta all“Egregio Prof. Mario Inglisano”.

 Letta la risposta, pervenuta tra l’altro pochi giorni prima di essere collocato a riposo per raggiunti limiti d’età,  il segretario non ebbe più la forza d’animo di replicare. Quello stesso giorno andò a versare in banca il dovuto sul conto corrente del condominio. Negli anni che gli restarono prima di essere pensionato per l’eternità, ricordava ripetutamente agli amici del Circolo, per ammazzare il tempo, le gioie che gli avevano procurato certe alzate d’ingegno per la soluzione di problemi comunali, per altri funzionari irrisolvibili. Rammentava anche, con parole meno esplicite ma più accorate, le difficoltà insuperabili di essere riconosciuto fra la gente con la giusta sua qualifica.

 Essendosi fatta l’ora di andare a pranzo, Antonio si alzò, seguito dagli amici. Dalla porta del bar videro che il segretario  generale della Città, Felice Bertolino, attraversava la piazza in direzione di via Garibaldi. Ma erano gli ultimi giorni che poteva essere chiamato ancora segretario, perché la riforma Madia della pubblica amministrazione  ha eliminato la gloriosa figura di quel funzionario, che ebbe in Machiavelli il suo splendido esemplare, ma veniva più da lontano nel tempo. Presso gli egizi il Faraone aveva il segretario della Corte.

 Sic transit gloria mundi. Restò però nell’animo del defunto segretario Inglisano l’marezza di non essere sempre stato riconosciuto per quello che era.