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12/01/2018 09:00:00

La dislessia, un disagio silente. Ecco la mia storia

Ci sono numerosi ragazzi con d.s.a. con dietro famiglie silenziose, a loro vorrei dire che la loro storia è come la mia, la storia di quei genitori che inghiottono grossi rospi, che lottano per quei figli “speciali” e “ non diversi” solo perché non ricordano i mesi o le stagioni o le tabelline o le formule o la grammatica, che confondono il mezzogiorno con il pomeriggio, che inventano parole quando non le ricordano...
La dislessia è un disagio silente, non per le sue caratteristiche e per le limitazioni che impone, ma per la mancanza di conoscenza e il pregiudizio che suscita nella gente,”gli ignoranti” nel senso di persone che ignorano, non conoscono e non approfondiscono ma giudicano e scherniscono chi è senza colpa, chi è già di suo, vittima di uno stato di difficoltà. Essere genitore è un lavoro complesso per tutti. Ma quando lo si è di un ragazzo con disturbi di apprendimento ancora di più. .
Questa è la mia storia.
Quando inizia il percorso scolastico non sempre ci si accorge del non “allineamento” agli standard di apprendimento di tuo figlio, che entra alla scuola primaria : ripetute note sui quaderni , pagine costellate di correzioni a penna rossa, continui richiami delle insegnanti per la pigrizia, il disinteresse e la superficialità, materiali tenuti in maniera indecorosa, dimenticanze, oltre che ovviamente a distrarsi con estrema facilità, il tutto, però, correlato da una buona capacità espressiva, da una sensibilità, da un’intelligenza che non consente poi di bollarlo come bambino poco sveglio.
Maestre sempre più colpevolizzanti che da subito etichettano apertamente come svogliato, e che fanno maturare la silenziosa consapevolezza che non avrebbe mai fatto niente di buono se non si fosse dato una grande regolata.
Con l’ingresso alla scuola media , poco cambia, giorno dopo giorno , l’ingenuità dei quei genitori che si affidano alle competenze dei docenti , allo loro professionalità, fa crescere la consapevolezza che in realtà il “ figlio - studente” non è un amante dello studio, è poco attento ed interessato, “ ci si ritrova a sentirsi dire “ fatelo studiare di più” anche se sai che è seguito giornalmente da un tutor pomeridiano con cui riesce a far tante cose; però il suo rendimento è in calo, la pagella deludente, per poi concludere il corso di studi dei tre anni con una valutazione davvero scadente : non aver raggiunto le competenze di base; come può non aver raggiunto alcuna competenza dopo tanto impegno ? e perché non è anche la scuola a chiederselo?
Con l’inizio della scuola superiore le cose non vanno tanto bene, si aggiunge la crescita adolescenziale, il rifiutarsi di continuare gli studi, osservi quella mancata voglia di farcela, percepisci che il tuo ragazzo si sta arrendendo, allora pensi che qualcosa non va (sarà l’adolescenza?) per la scuola continua ad essere svogliato , disinteressato, quasi un incapace , ti senti dire, nei chilometrici e mortificanti colloqui con i docenti, di tutto tranne il sospetto di un disturbo specifico dell’apprendimento. Nessuno e nulla ti indica una strada per capire, allora con molta umiltà, quando nulla è ancora così ricorrente, cominci ad informarti.. leggere e a formarti su cosa e come affrontare quella stessa condizione, decidi di portare il tuo ragazzo in un centro specializzato dove, dopo una valutazione con un neuropsichiatra e una serie di test, emerge una diagnosi e la certificazione di “DSA con comorbilità”… difficile e dura da accettare.
Fino ad allora era riuscito ad utilizzare tutte le sue “strategie compensative” , (tali rimangono a questa età, perché non potenziate nel momento giusto) , ma di fronte alla crescente complessità che lo studio richiede, non si riesce più a farlo ed inizia ad esplodere la sensazione di disagio, a lungo celata, generando ansia e nervosismo e bassa autostima, lasciando spazio a quell’emozione chiamata “ sconfitta.”
Il “ tuo “ ragazzo, educato ,allegro, curioso , la scuola lo ha spento, è così … perché spegne quella luce che prima di allora era una costante della sua personalità.

 A scuola preparano un PDP (piano di studio personalizzato) ma nei fatti nulla cambia . Si, perché l’applicazione di un piano personalizzato è difficile da eseguire nella pratica, si crede che un ragazzo usando gli strumenti compensativi e dispensativi diventi come per magia un piccolo Einstein.. Ci saranno sicuramente casi isolati e felici, ma non accade su larga scala. Invece occorre empatia, capacità di immedesimazione, attenzione per il singolo dislessico, perché ognuno è diverso, per mettere in campo non solo gli strumenti compensativi previsti dalla legge e quelli indicati per ogni caso ma le buone pratiche di un insegnamento attento a come funziona il cervello del dislessico,( i dislessici a volte dicono cose all’apparenza insensate..) e a quello che sente , vive e che tiene per sé. Di insegnanti che davvero ci mettono anche il buon senso se ne incontrano pochi, preziosi e decisivi, ma davvero pochi. Oggi si parla molto di una cultura e una didattica inclusiva, in realtà io non la vedo, ma sono resiliente

P.S.T.



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