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06/03/2018 08:06:00

Mafia, operazione Ebano. Slitta la sentenza: il giudice vuole vedere le carte...

 Salta l’attesa sentenza nel processo abbreviato, davanti al gup di Palermo Roberto Riggio, per i sei imprenditori di Castelvetrano ritenuti “vicini” al boss Matteo Messina Denaro coinvolti nell’operazione antimafia dei carabinieri “Ebano”.

Il giudice, infatti, per poter decidere su condanne o assoluzioni vuole leggere le carte dei tre appalti oggetto dell’indagine di Dda e carabinieri. Carte che il giudice ha chiesto al pubblico ministero Carlo Marzella, che per questo rinvio ha chiesto la sospensione dei termini di custodia cautelare per il principale imputato, Rosario Firenze, 46 anni, accusato di associazione mafiosa, fittizia intestazione di beni e turbata libertà degli incanti. E per il quale è stata chiesta la pena più severa: 12 anni di carcere.

Per la Direzione distrettuale antimafia, infatti, sia Firenze che gli altri personaggi alla sbarra sarebbero stati dei precisi punti di riferimento di Messina Denaro per appalti milionari banditi in varie città siciliane. “Saro Firenze – ha spiegato il defunto ‘dichiarante’ Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del superlatitante - è il compare di Anna Patrizia Messina Denaro, la sorella di Matteo. A lei consegna i soldi”. Queste le altre richieste della pubblica accusa per gli altri imputati: tre anni di carcere per Salvatore Sciacca, 44 anni, geometra, il faccendiere considerato tuttofare e accusato di turbativa d’asta (secondo la Dda, avrebbe intrattenuto i contatti con i funzionari “infedeli” del Comune di Castelvetrano), due anni per altri quattro imprenditori accusati di turbativa d’asta. E cioè Giacomo Calcara, di 39 anni, Benedetto Cusumano, di 69, Fedele D'Alberti, di 42, e Filippo Tolomeo, di 39. Ad essere arrestati, il 14 dicembre 2016, furono Firenze e Sciacca. A difendere gli imputati sono gli avvocati Vito Signorello, Roberto Mangano, Francesco Messina e Roberto Tricoli. Firenze e Sciacca furono arrestati dai carabinieri del Ros all’alba del 14 dicembre 2016. L’indagine, condotta dai carabinieri del comando provinciale di Trapani, ha svelato che Firenze, in questi ultimi anni, è stato il “ras” degli appalti al Comune. L’uomo di Messina Denaro, secondo gli investigatori, razziava soldi pubblici destinati a lavori piccoli e grandi, con affidamenti diretti o subappalti, una buona percentuale dei guadagni l’avrebbe recapitata al latitante attraverso la sua famiglia. Firenze gestiva il suo potere sui lavori pubblici del Comune di Castelvetrano attraverso le imprese dei fratelli. Due aziende edili di famiglia, il cui valore è stato stimato in sei milioni di euro, gli sono già state sequestrate. Fra i lavori al centro dell’inchiesta, quelli per la realizzazione della condotta fognaria, per la manutenzione ordinaria di strade e fognature, per la demolizione dei fabbricati fatiscenti all’interno dell’ex area dell’autoparco comunale. Il divieto di esercizio di impresa scattò per Calcara, Cusumano, D'Alberti e Tolomeo. A due fratelli di Rosario Firenze (Giovanni e Massimiliano, di 44 e 41 anni) e a due dirigenti del Comune di Castelvetrano, sospettati di avere aiutato Cosa Nostra ad aggiudicarsi gli appalti, fu invece notificato un avviso di garanzia. Per gli inquirenti è documentata la "persistente vitalità della famiglia mafiosa di Castelvetrano".