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13/03/2018 08:05:00

Tunisino processato per stalking contro ex moglie marsalese. Chiesti due anni

 Ancora un matrimonio tra un cittadino tunisino e una marsalese finito male che approda in un’aula di giustizia. Sotto processo è ancora una volta l’uomo.

In questo caso, però, non perché è fuggito con la prole, ma perché avrebbe voluto incontrare, di tanto in tanto, la figlia, ma per questo, a seguito delle telefonate (secondo l’accusa, troppe e anche minacciose) all’ex moglie, è finito sotto processo per stalking.

E per questo, il pm ne ha chiesto la condanna a due anni di carcere. Al centro della vicenda c’è Riadh Dhaoui, di 39 anni, processato davanti al giudice monocratico Lorenzo Chiaramonte per stalking.

L’ex moglie è la marsalese L.B., di 38 anni. La donna ha accusato l’ex coniuge di averla tempestata di telefonate, con insulti e minacce. Aggiungendo che quando l’uomo tornava a Marsala l’avrebbe anche seguita nei luoghi in cui si recava. L’uomo, legalmente separato da L.B. dal 16 maggio 2013, al telefono avrebbe minacciato sia la donna che i suoi genitori. Sempre secondo l’accusa, nei brevi periodi in cui ha fatto rientro a Marsala avrebbe più volte seguito l’ex moglie, appostandosi nei luoghi in cui questa si recava. Epoca dei fatti: febbraio 2014/marzo 2015. “Il padre – afferma, però, l’avvocato difensore Francesco Vinci – ha soltanto reclamato il proprio diritto a vedere la figlia. Non ci sono gli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori. Telefonava dalla Francia, dove lavorava. E poi, al punto 3 dell’accordo di separazione consensuale tra i coniugi, è scritto che il padre avrà facoltà di telefonare alla figlia in qualsiasi giorno della settimana”. E in proposito, il legale ha parlato della “sindrome della madre malevole”. Frase che l’avvocato Vinci ha ripetuto anche nella sua arringa, sottolineando che il gip, quando la donna ha denunciato l’ex marito per sottrazione di minore, ha osservato che Dhaoui aveva solo “l’intenzione di instaurare un seppur breve contatto affettivo con la figlia”. E anche la stessa Procura, in quel procedimento, poi archiviato, ha sottolineato che il 39enne tunisino, attualmente tornato nel suo Paese, si è “limitato a cercare un contatto con la figlia”. In questo processo, l’avvocato Vinci ha, perciò, affermato che il suo assistito “ha temuto di poter perdere l’affetto della propria figlia (che adesso ha 8 anni, ndr) e ha lottato per il riconoscimento dei sui diritti”. Riadh Dhaoui, quindi, ha sostenuto l’avvocato Francesco Vinci nella sua arringa, “non ha mai perseguitato nessuno e nelle relazioni degli assistenti sociali è scritto che l’uomo ha telefonato più volte lamentando di non poter riuscire a parlare telefonicamente con la figlia”. Gli assistenti sociali, inoltre, dicono che nel corso degli incontri avuti con la figlia il padre “è sempre stato puntuale e rispettoso delle indicazioni ricevute” e infine “ha collaborato pienamente, insieme al suo avvocato, non mostrando mai atteggiamenti di aggressività o comportamenti che potessero far pensare ad un soggetto violento”. Nel processo, L.B. si è costituita parte civile.