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04/04/2018 06:00:00

L'Europa vuole mettere una tassa sui link (avete capito bene, sui link...)

 L'Europa vuole mettere una tassa sui link. Avete capito bene: sui link. Cioè su tutte le segnalazioni di articoli fatte da Google o su Facebook. Avete presente quando condividete un articolo di Tp24.it sui social?

Ecco, l'Unione Europea vuole che Google, o Facebook o Twitter paghino una tassa ogni volta che lo fanno. Il principio è buono: si tratta di pagare una sorta di diritto d'autore, dato che Facebook, giusto per fare un esempio, crea traffico grazie alle condivisioni che gli utenti fanno degli articoli che piacciono. Ma in realtà utilizza "creatività" e opere d'intelletto altrui.

Il fatto è che però se si introduce questa tassa, come hanno fatto in Spagna, ad avere la peggio non sono i colossi come Google e Facebook, che si adeguano, e sticazzi.

Vengono rovinati i siti medio - piccoli, come Tp24.it, che verranno cancellati dai social e da Google News, che genera i due terzi del traffico, grazie al passaparola e agli aggregatori.

La vicenda è stata denunciata in tempi non sospetti da Anso, l'Associazione Nazionale della Stampa Online. E oggi il vice presidente di Anso, Matteo Rainisio, interviene su Wired per spiegare cosa sta accadendo.

Al Parlamento Europeo si sta discutendo da oltre un anno la proposta di riforma del copyright. Questa riforma, proposta dalla Commissione Europea per aggiornare le norme sul diritto d’autore e renderle al passo coi tempi dell’evoluzione tecnologica e dei social network, se passasse così com’è creerebbe diverse criticità.

Tra i diversi punti caldi c’è appunto l’articolo 11, ribattezzato Link Tax, la tassa sui link, o meglio sugli snippet, le anteprime degli articoli che i social e gli aggregatori di news creano quando pubblicano un link, composti da titolo, immagine e un paio di righe di riassunto.

L’articolo 11 vuole creare un nuovo diritto per gli editori che permetta loro di negoziare con Google (News), Facebook e simili per costringerli a pagare una licenza per pubblicare i link ai loro articoli.

La premessa di questa scelta è che secondo alcuni editori i social network guadagnerebbero dalla condivisione dei loro contenuti senza dividere la torta. Inoltre, la diffusione dei link porterebbe gli utenti dai social a non leggere gli articoli, accontentandosi dei soli titoli e dell’immagine degli snippet.

Protagonista della lunga battaglia contro l’articolo 11 è Julia Reda, europarlamentare del partito dei pirati, che proprio ieri ha pubblicato l’ultima bozza proposta da Alex Voss, bozza definita addirittura peggiore della proposta originale della Commissione.

“Innumerevoli esperti, accademici e stakeholder hanno evidenziato come questa legge metta in pericolo diritti fondamentali e minacci internet stessa, i piccoli editori, piattaforme aperte come Wikipedia e l’intero sistema open source. Una delle sue proposte sulla tassa sui link è di adottare la stessa proposta che in Spagna ha fallito clamorosamente. Vuole obbligare i siti di news a farsi pagare una licenza per essere linkati, che lo vogliano o no. Questo comporterebbe la chiusura di servizi innovati e piccoli editori, visto il calo di traffico registrato in Spagna e sarebbe una catastrofe per la garanzia del pluralismo dei media in Europa“, scrive l’europarlamentare.

Un assaggio delle possibili conseguenze all’approvazione dell’articolo 11 c’è già stato in Spagna dove Google non ha accettato di pagare e ha quindi chiuso Google News con un conseguente calo di traffico stimato tra il 6 e il 14%. A rimetterci di più sono stati i siti di notizie locali e quelli meno conosciuti. L’impressione è che questa norma invece di aiutare gli editori finirebbe per danneggiarli, soprattutto i piccoli.

Se poi Facebook e Google hanno la forza contrattuale per non cedere a patti, questa forza non ce l’hanno le startup come gli aggregatori di news che ospitano solo poche righe di una notizia aiutando a indirizzare traffico soprattutto verso quelle testate editoriali che altrimenti sparirebbero dal radar. Con la riforma queste dovrebbero pagare una licenza su cui non possono contrattare sul prezzo e per cui la sola scelta è: paga o chiudi.

Da ultimo, non tutte le news sparirebbero da social e aggregatori, ma soltanto quelle dei giornali europei, togliendo molta concorrenza a quelli fuori dall’Europa.

 Uno dei problemi evidenziati da ong e mondo accademico è l’impatto che quest’articolo avrebbe sulla libertà e il diritto ad una libera informazione. Se Google, Facebook, Twitter, etc. non pagano, i loro utenti non saranno liberi di condividere le notizie sui loro profili.

 Se uno dei colossi tech non paga non potrà ospitare link alle news. Quindi il piccolo editore che anche volesse condividere i suoi articoli come si è sempre fatto finora non potrebbe farlo. Allo stesso modo la startup dovrebbe contattare tutti gli editori esistenti nell’Unione Europea per trovare un accordo economico. Impraticabile.

A confermarlo è Matteo Rainisio, vicepresidente dell’Associazione Nazionale della Stampa Online (ANSO): “Per i piccoli editori, editori locali e di nicchia, Google News non ha un’importanza marginale. Ma l’applicazione del modello spagnolo sarebbe un vero dramma. La maggior parte del nostro traffico infatti viene dalla condivisione dei link ai nostri articoli su aggregatori di notizie, blog e social network. In Spagna però tutti questi servizi sono stati resi illegali o quasi, basti pensare che non esistono più aggregatori di notizie. Ma siamo preoccupati anche di cosa accadrà ai link condivisi su Facebook dove cerchiamo di costruire delle comunità di lettori affezionati. Come impatterà la nuova direttiva sulla libertà di condivisione?“