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16/05/2018 06:00:00

Ecco il "sistema" Montante. Ma le accuse di mafia sono cadute...

Ha creato grande scalpore l'arresto di Antonello Montante, imprenditore ed ex numero uno di Confindustria in Sicilia, accusato di aver messo su un "sistema" di dossieraggi, talpe, informatori privilegiati per proteggersi dalle indagini che lo riguardavano. Ma, a leggere bene tutto il "fattaccio", emerge qualcos'altro, che va spiegato bene.  L'inchiesta principale, infatti, sui rapporti di Montante con la mafia nissena, è arrivata ad un punto morto. Tramite questa è stato scoperto il "sistema" di protezione messo su da Montante, ma l'imprenditore, benchè tirato in ballo da quattro collaboratori di giustizia, non ci sono prove che abbia aiutato la mafia. Scritto dai giudici: «Occorre doverosamente rappresentare - scrivono i magistrati - che le complessive risultanze procedimentali, pur consentendo di raggiungere significativi approdi, non sono dotati, allo stato, della necessaria soglia probatoria e non sono pertanto idonee a un proficuo e utile esercizio dell’azione penale». Insomma, gli stessi pm non ritengono che ci siano le condizioni per processare Montante per mafia, perché non si sono le prove. C'è una "vicinanza" a Cosa nostra, ma ciò non significa, automaticamente, concorso in associazione mafiosa. 

Ma allora chi è Antonello Montante? Il paladino della legalità di Confindustria? Un imprenditore mafioso? Un corruttore? Non è una vittima, sicuramente, è un imprenditore vicinio alla famiglia mafiosa di Serradifalco, come raccontato dai pentiti Dario Di Francesco e Pietro Riggio. Ma accuse dirette non ce ne sono.  Non solo: «Di Francesco, in ogni caso - è sempre la Procura nissena a scriverlo - non ha mai avuto rapporti diretti, per le vicende descritte, con il Montante e ha riferito circostanze che sulle stesse aveva appreso da Vincenzo Arnone», capomafia di Serradifalco e testimone di nozze di Montante.  Ed è ben vero che l’industriale ha fatto di tutto «per ostacolare le indagini sul suo conto», ad esempio facendo sparire documenti dalla sede di Confindustria Caltanissetta o avvicinando testimoni. È certo che l’indagato volesse «nascondere circostanze compromettenti», ma neppure questo prova il reato. Salvatore Ferraro poi fa riferimento a rapporti societari di fatto tra l’imprenditore e i boss: ma si tratta di dichiarazioni generiche. E le ricerche dei riscontri nei «flussi finanziari delle società hanno patito un’ulteriore impossibilità, in virtù del lasso di tempo trascorso, di verificare puntualmente il dichiarato del collaboratore".

Ieri intanto Montante è tornato a Caltanissetta da Milano per essere interrogato dal Gip. Sostiene che la documentazione riservata sequestrata nella villa di Serradifalco, dentro la stanza segreta, fosse lì a sua insaputa. Sostiene che i suoi accusatori sono tutti inattendibili: innanzitutto, i pentiti; poi, i suoi amici della prima stagione di Confindustria oggi diventati i grandi accusatori, Marco Venturi e Alfonso Cicero.

Gli contestano di essersi barricato a casa per un’ora la notte dell’arresto, lui rilancia: «Ho aperto io alla polizia. Se non l’ho fatto subito era perché avevo timore che fossero malintenzionati. Gli viene fatto notare che dicevano: «Apra, polizia». E mostravano il tesserino. Ma insiste nella
sua versione. La notte dell’arresto, Montante ha distrutto una trentina di pen drive, che ha poi infilato dentro uno zaino e lanciato dal balcone, ma i poliziotti hanno recuperato tutto.

All’interrogatorio, si difende su tutta la linea, e dice: «Con la scelta di legalità ho stravolto la mia vita, non torno indietro. E sono sicuro che Cosa nostra mi farà pagare prezzi ancora più alti». Interrogatorio fiume, è terminato alle 22,45.

Montante non sta zitto come invece è stato Diego Di Simone, ex sostituto commissario della squadra mobile di Palermo e attuale responsabile della Security di Confindustria nazionale, che si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Per l'accusa Montante aveva un sistema di spionaggio per difendersi dagli avversari politici e dentro l'associazione industriali e per carpire notizie sull'inchiesta per concorso in associazione mafiosa che la procura aveva aperto nel 2014 su di lui. Ma l'ex uomo forte della politica economica siciliana, si scopre dalle carte dell'inchiesta, aveva anche una 'talpa' in commissione Antimafia che gli avrebbe riferito il contenuto dell'audizione, secretata, dell'imprenditore Marco Venturi, l'ex amico poi diventato il suo più grande accusatore.