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03/06/2018 12:10:00

I potenziali sovrani dell’art. 3 costituzionale. Un mondo per i "bi-sogni"

 Un viaggio senza partire. È immerso in questa ambigua espressione linguistica e logica che l'Io di János vuole tuttavia provarsi a riflettere per svolgere il suo tema preferito, il mondo per i "bi­sogni"; così il suo è un viaggio corporeo-mentale come un procedere biforcante o un andare che è la via e la via che è l'andare come nei versi del poeta spagnolo Antonio Machado.

Questo il tema su cui János confronta il suo essere al mondo con la complessità che lo struttura e lo accoglie, dandogli consistenza di pensieri e passioni. E il suo, un Io quasi nomade (il nomade è colui che si sposta da un punto ad un altro dello stesso luogo senza abbandonarlo mai per un altro), allora andava avanti e indietro su quel breve tratto di confine - "-"- che, unendoli, divideva gli elementi materiali e spirituali del mondo cui pensava: un mondo per i "bi-sogni".

Tutti i giorni il suo cammino si esercitava nell'andirivieni consumato su quel piccolo trattino che modifica la morfologia della parola bisogno. Trasformatola in "bi-sogni" era diventata una zona residenziale utopica. La parola piuttosto che essere una semplice parola era diventata, cosi, "un mondo" differenziale rispetto al mondo della sua quotidianità e, insieme, una transizione in dissolvenza; quel "-" cioè giocava come un soglia che stabiliva un passaggio continuo dai bisogni materiali ai sogni immateriali e viceversa. L'utopia, l'idealità e il sogno sembrava però avessero una preminenza di valore. Quasi un propellente cromatico brillante per vivificare il grigiore della realtà umana e storica delle fatiche e delle sfide circostanti e contingenti.
La quotidianità era il luogo delle necessità materiali come il mangiare, il dormine, il difendersi dall'­intemperie, dagli infortuni e dalle intolleranze di vario tipo, ma anche il pensiero di un progetto di vita che, in tempi di precarietà e flessibilità lavorativa, allontanasse sempre di più gli spettri della fame e delle povertà per ognuno e tutti. Un progetto di formazione individuale e sociale responsabile ma non privo di preoccupazioni per i conflitti e le competizioni individualistici quanto egoistici che il tempo delle crisi produttive e finanziare contemporanee comportava come regola e rischio inaggirabile. Perché il quotidiano del mondo storico attuale (non meno di ieri) ha anche le sue condizioni inaccettabili, se è vero che milioni di persone (bambini e adulti) soffrono i limiti della sopravvivenza e gli stenti della miseria e della fame, mentre pochi sguazzano nell'agio e nelle ricchezze spropositate. Il rapporto Oxfam (Oxford committee far Famine Relief) del 2017, e solo per citare qualche dato, riporta che dal 2015 l'l% più ricco dell'umanità possiede più ricchezza netta del resto del pianeta e che otto individui più ricchi possiedono un patrimonio netto di 426 miliardi di dollari, corrisponde cioè a quanto posseduto dalla metà più povera dell'umanità.
La zona utopica rappresentava invece la sfera del sogno e si configurava come la negazione dei conflitti e dei bisogni esasperati e violenti. In questo luogo creativo, l'immaginazione, facoltà non meno reale e viva, lavorava invece notte e giorno per un mondo che non praticasse il cinismo, la volgarità e la violenza dei rapporti umani e sociali. In questa parte dell'anima o della mente nasceva un mondo che non fosse il paradiso dei pochi e una palude per i molti; nelle sue radici materiali una comunità di uomini e cose, nazionale e internazionale senza poveri, miseria, razzismi risorgenti e guerre democratiche e umanitarie.
Le guerre umanitarie! C'è cosa più triste e beffarda?
L'utopia sognate, l'Io di János, la sentiva come una cara compagna di vita allorquando a casa del nonno materno - una figura su cui già l'inverno aveva posato le sue mani bianche sul volto e i capelli - spesso si incontrava con la sorgente degli undici articoli fondamentali della Costituzione repubblicana italiana, La Carta politica democratica nata dalla lotta partigiana contro la dittatura nazi-fascista italiana del Novecento. In particolare l'entusiasmo saltava all'apice davanti al dettato dell'articolo tre (3) della Carta costituzionale, che recita: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". E, invero, la bellezza dei tratti di questo articolo si coagulava nella speranza che, a suo modo, si visualizzava in quel trattino - " - '"che materializzava, dividendola, la simbiosi tra sogni e bisogni.


E il trattino che la rappresentava come un luogo unico di "sogni" e "bisogni" per lui era il tratto di strada preferito. Una specie di passaggio alla star gate di certi film di fantascienza. L'andare cioè su una soglia che teneva in mutua comunicazione i due mondi della sua giovane immaginazione, il mondo del tempo reale (duro e inflessibile) e quello del volare idealizzato (leggero e fluido). Al suo Io bastava, come si dice nello studio delle scienze climatiche o delle turbolenze caotiche dei fluidi e dei gas, il semplice battito d'ali di una farfalla altrove per suscitare una tempesta di pensieri e riflessioni qui. E questa straordinaria avventura vitale (necessaria per non essere sopraffatti dalle tristezze del tempo quotidiano e precario) gli succedeva tutte le volte che quel trattino, che metamorfosizza il bisogno in bi-sogni, gli parlava dai muri della casa del vecchio con la lingua dei quadri d'arte affìssi alle pareti e i libri che si affacciavano dai numerosi scaffali.


Era la lingua del tempo creativo, la temporalità flessibile e plastica della cultura individuale e sociale autonoma e responsabile, la cura per "Un mondo dei bi-sogni" e già suggerita e auspicata da quei principi fondamentali della nostra Costituzione repubblicana che, nonostante gli attacchi distruttivi, resiste, insiste e alimenta le speranze di chi vuole vivere e convivere in un modo diverso dall'attuale.


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Siamo noi - scrive il poeta - "a far bella la luna / con la nostra vita / coperta di stracci di vetro e di sassi. / Quella vita che gli altri ci respingono indietro / come un insulto, / [...] /Ma [...] / riprendiamoci la vita / la terra, la luna e l'abbondanza" (Claudio Lolli, Ho visto anche degli zingari felici).
Tutto questo è puro sogno? Se per altri è solo impossibile, che a me sia lasciato il diritto di tenerlo, nutrirlo, condividerlo e diffonderlo senza essere insultato, deriso e messo all'indice... !

János