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30/07/2018 07:06:00

"Vai via, sporco negro". Partinico, trovato uno degli aggressori del giovane senegalese

 E' stato rintracciato dal carabinieri di Partinico e portato in caserma uno dei tre aggressori del 19enne senegalese che tre giorni fa era stato picchiato e insultato mentre stava lavorando in un bar di piazza Caterina nel comune in provincia di Palermo. E’ un uomo di 34 anni di Partinico, un disoccupato con precedenti per lesioni e minacce che è stato denunciato dai carabinieri per lesioni con l'aggravante dell'odio razziale. Il ragazzo senegalese, che ha chiesto asilo politico ed è ospite da due anni di una comunità, stava servendo ai tavoli del locale, quando un gruppo di persone l'ha aggredito, insultato e malmenato. "Vattene via sporco negro", gridavano i tre mentre lo picchiavano. "Non ho reagito perché non alzo le mani - ha raccontato la vittima - Mi potevo difendere, ma gli educatori della comunità mi hanno insegnato che non si alzano le mani". Secondo una ricostruzione al vaglio dei carabinieri ci sarebbe stato anche l'intervento di qualcuno che ha cercato di fermare gli aggressori. Subito dopo l'aggressione, il giovane immigrato ha sporto denuncia ed è stato portato al pronto soccorso, dove sono state medicate le ferite al labbro e alle orecchie, giudicate dai medici guaribili in 7 giorni. Le indagini dei carabinieri hanno portato a identificare e denunciare uno degli aggressori.

"Esprimo la solidarietà della Chiesa di Monreale nei confronti di questo fratello senegalese che è stato aggredito, come esprimo la più ferma condanna nei confronti di quest'atto di razzismo, di xenofobia". Lo ha detto l'arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi.
"L'atteggiamento dei cristiani e di tanti uomini di buona volontà in Sicilia è caratterizzato dall'accoglienza, dalla protezione umanitaria, dalla promozione della persona umana, dall'integrazione nel territorio e nella nostra cultura. Basti pensare ai soccorsi agli immigrati da parte dei pescatori, dei militari, dei medici, dei volontari, della Caritas, delle associazioni - scrive il prelato in una nota - A coloro che sono sbarcati nelle nostre coste il nostro compito di cristiani è quello dell'accoglienza, del prendersi cura, vincendo il muro dell'indifferenza, con lo stile del buon samaritano. Siamo chiamati a farci prossimo degli altri, chiunque egli sia e da qualsiasi parte arrivi, qualsiasi problema porti, qualsiasi sia la difficoltà; siamo chiamati a fare sempre il primo passo verso uno stile di accoglienza e di misericordia, a guardare chiunque bussa alla nostra porta con quello che ho detto Gesù: 'Ero straniero mi avete accolto'".

Sulla vicenda e sull’allarme per l’aumento delle aggressioni a sfondo razziale il ministro Salvini non si dà per vinto: «Aggredire e picchiare è un reato, a prescindere dal colore della pelle di chi lo compie, e come tale va punito. Ma accusare di razzismo tutti gli italiani ed il governo in seguito ad alcuni limitati episodi è una follia. Ricordo che i reati commessi ogni giorno in Italia da immigrati sono circa 700, quasi un terzo del totale, e questo è l’unico vero allarme reale contro cui da ministro sto combattendo».

Commenta Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera:

Si può purtroppo commentare come uno dei tanti casi di razzismo, ma l’episodio di Partinico ha un retrogusto particolare. Perché Partinico è il paese tra Palermo e Trapani in cui dal 1954 si impegnò il sociologo, scrittore, poeta, attivista della non violenza Danilo Dolci, che a Trappeto aveva fondato una comunità chiamata «Borgo di Dio» pronta a promuovere manifestazioni e digiuni per combattere sul campo le resistenze della tradizione feudale e del potere. Oltre all’animazione sociale e al lavoro sul fronte educativo in una zona culturalmente depressa, sarebbero state le denunce contro la pesca di frodo attuata dal banditismo a rendere sempre più sgradito il «sovversivo» Dolci alle istituzioni: specie quando la popolazione si mobilitò per uno «sciopero alla rovescia» con centinaia di disoccupati impegnati a riattivare le strade comunali abbandonate. Da quell’esperienza, nel novembre 1955, sarebbe uscito per Laterza un libro eccezionale, Banditi a Partinico (riproposto nel 2009 da Sellerio), che fece conoscere anche fuori dai confini italiani le pietose (e illegali) condizioni di vita in certe zone della Sicilia.

Le prime trenta pagine sono un referto sociologico sulla comunità (le scuole, le parrocchie, il lavoro dei braccianti, lo stato della sanità, il «luridume», la vigilanza) con la proposta di soluzioni pratiche quali, per esempio, la costruzione di una diga sul fiume Jato per avere un’«acqua democratica». Segue un corpo centrale in cui i racconti «bruti» in prima persona dei poveri di Partinico si alternano con le considerazioni crude dell’autore: i «banditi» non sono solo i fuorilegge dei «motopescherecci» ma sono anche i «vinti» messi al bando dallo Stato. Nella prefazione, Norberto Bobbio illustrava la «rivoluzione dal di dentro» di Dolci, rendendo omaggio al combattente che denunciava la fame, la follia e la protervia in un angolo d’Italia non ancora sfiorato dal boom economico. In prima edizione, il volume avrebbe dovuto contenere le fotografie di Enzo Sellerio, che per un problema tecnico-editoriale furono eliminate. L’uscita del libro-inchiesta colpì intellettuali stranieri, come Sartre, l’Abbé Pierre e Bertrand Russel, ma la lotta di Dolci culminò nell’arresto e nel rinvio a giudizio degli altri organizzatori.

Il recente episodio di razzismo non può che rimandare a quella battaglia non violenta di Dolci e della sua comunità intesa a debellare il sopruso e la povertà. Sessant’anni dopo scopriamo che gli stessi strumenti evocati allora, istruzione e autocoscienza civile, sarebbero indispensabili oggi per garantire convivenza e armonia sociale. Non meraviglia che oggi sono gli immigrati africani a subire la violenza degli eredi diretti di quei disgraziati che Dolci voleva «salvare» dall’emarginazione. Colpisce eccome, invece, che il giovane cameriere senegalese aggredito abbia usato parole che sembrano suggerite da Danilo Dolci: «Non ho reagito perché non alzo le mani, mi potevo difendere ma gli educatori della comunità mi hanno insegnato che non si alzano le mani».