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28/12/2018 06:00:00

110 anni fa il Terremoto di Messina e Reggio Calabria che sconvolse l'Italia e il mondo

Il terremoto di magnitudo 4.8 registrato con epicentro tra Viagrande e Trecastagni in provincia di Catania il 26 dicembre, la scossa più violenta da quando è cominciata l'eruzione dell'Etna, la vigilia di Natale, si è verificato a due giorni dal centodecimo anniversario del Terremoto di Messina, considerato uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo.

Il sisma, di magnitudo 7.1 della scala Richter avvenne alle 5:20'27'' del 28 dicembre. Messina, Reggio Calabria e i territori intorno alla zona dell’epicentro, lo stretto di Scilla e Cariddi, furono quasi totalmente distrutte. Il sisma uccise fra 90 e 120 mila persone sulle due coste dello stretto.

"IL TERREMOTO DI MESSINA E REGGIO CALABRIA" - Il più potente sisma della storia italiana colse le due regioni nel sonno, interrotto tutte le vie di comunicazione, strade e ferrovie per Palermo e Siracusa, tranvie per Giampilieri e Barcellona, telegrafo, telefono), danneggiato i cavi elettrici e le tubazioni del gas, e sospeso così l'illuminazione stradale fino a Villa San Giovanni e a Palmi. Con lo strascico di un maremoto, l'evento devastò particolarmente Messina. Il 90 per cento della città fu rasa al suolo: case, chiese, caserme, ospedali, strade, ferrovie. Ma la sorte di Reggio Calabria non fu da meno. Generalmente si usa definire la tragedia del 1908 come "terremoto di Messina", mentre per il rispetto dovuto alle enormi sofferenze e distruzioni della costa dirimpettaia, dovrebbe essere "terremoto di Messina e Reggio Calabria".

I segnali dei simografi - La tecnologia dell’epoca era molto limitata e i sismografi che si trovavano nell’Italia centrale ma anche in altri Paesi dell’Europa, misero in evidenza solo la grande intensità delle scosse senza consentire agli specialisti di individuare con certezza la specifica localizzazione. Si potevano solo immaginare i danni provocati da un sisma così forte. Gli addetti all'osservatorio Ximeniano di Firenze scrissero:
«Stamani alle 5:21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave.»

L’allarme arrivò a Roma nel pomeriggio del 28 con i giornali in edizione straordinaria.  I titoli cauti ma anche angoscianti. "Le Calabrie isolate, si parla di un forte terremoto".  Verso le diciassette, infine, arrivò un primo telegramma, spedito dalla stazione telegrafica di Marina di Nicotera. Era il comandante Belleni, che annunciava che un forte terremoto aveva danneggiato visibilmente la città di Messina, e i morti si potevano calcolare a centinaia. Il messaggio era clamorosamente riduttivo nel suo contenuto, e non dava - come si seppe l'indomani mattina - una visione reale della situazione. Ma bastò lo stesso a creare subito un vasto allarme a Roma e nel resto d'Italia. Poco più tardi arrivò un altro telegramma, molto più drammatico, spedito dall'ufficio di Gerace Marina, paesino calabrese sulla costa ionica: "In seguito ad una violentissima scossa di terremoto la città di Reggio è stata quasi completamente distrutta. Vi sono parecchie migliaia di morti. La prefettura ed altri edifici sono crollati. Occorrono urgenti soccorsi, viveri, soldati e medicinali poichè la città nulla offre. Il telegrafo e la ferrovia non funzionano. Anche centinaia di soldati sono morti e degli agenti della forza molti sono feriti e alcuni morti". Il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti non appena la notizia ebbe conferma incaricò il ministro dei lavori pubblici, Bertolini, di partire per Napoli, e lì di imbarcarsi in serata con destinazione Messina. 

La distruzione di Messina - A Messina sono crollati miseramente gli edifici della Questura, della Camera di Commercio, del Tribunale, della Dogana, delle Poste, della Stazione, del Museo, dell'Università; inoltre scuole, uffici, chiese, conventi, orfanotrofi: il palazzo del Municipio, che sembrava aver resistito abbastanza alle scosse, fu distrutto dall'incendio, giorni dopo. La bella Cattedrale con l'originale campanile, era un ammasso di rovine. La facciata era per metà ancora in piedi, ma all'interno era tutto un cumulo di macerie. Nella piazza antistante, alquanto ampia, si radunarono ben presto gli sventurati, che costruirono a poco a poco della capanne di fortuna, e delle tende.

LA PALAZZATA - La Palazzata, da secoli orgoglio di tutti i messinesi (era una teoria ininterrotta di palazzi con colonne e frontoni eleganti, che si estendeva lungo il mare per più di un chilometro e mezzo) appariva sbocconcellata e parzialmente rovinata, anche se il grosso aveva resistito. Era stata ricostruita nel secolo XIX, dopo le distruzioni del precedente sisma del 1783.

Il maremoto, Reggio Calabria e Palmi rase al suolo - Improvvisamente le acque si ritirarono e dopo pochi minuti almeno tre grandi ondate aggiunsero altra distruzione e morte. Onde gigantesche raggiunsero il litorale spazzando e schiantando quanto esistente. Nel suo ritirarsi la marea risucchiò barche, cadaveri e feriti. Molte persone, uscite incolumi da crolli e incendi, affogarono trascinate al largo. Alcune navi alla fonda furono danneggiate, altre riuscirono a mantenere gli ormeggi entrando in collisione l'una con l'altra, ma subendo danni limitati. Il villaggio del Faro a pochi chilometri da Messina andò quasi integralmente distrutto. La furia delle onde spazzò via le case situate nelle vicinanze della spiaggia anche in altre zone. Le località più duramente colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga e Paradiso, Sant'Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane. A Reggio andarono distrutti diversi edifici pubblici. Caserme e ospedali subirono gravi danni: 600 le vittime del 22º fanteria dislocate nella caserma Mezzacapo; all'Ospedale Civile su 230 malati ricoverati se ne salvarono solo 29. A Palmi la scossa fu altrettanto rovinosa, causando circa 700 morti e un migliaio di feriti. Il centro abitato era composto da 2221 case (molte delle quali con pessimi sistemi di costruzione) delle quali 445 crollarono, 1189 restarono gravemente danneggiate e in 387 si ebbero danni lievi. Andarono distrutte inoltre la chiesa di San Rocco, il Duomo e diversi edifici pubblici.

Perché crollarono quasi tutte le case di Messina e Reggio Calabria - Già tre anni prima, e anche nel 1907, c'erano stati dei sismi nella Calabria meridionale, che avevano lesionato o fatto crollare diverse abitazioni nei paesi di Ferruzzano e Bruzzano.
Le case di Messina e di Reggio erano state costruite in gran parte in economia, facendo uso delle cosiddette "ciache", cioè di grossi massi arrotondati, che si potevano prendere liberamente nelle fiumare, il cui letto rimaneva asciutto nei mesi estivi. Queste pietre non squadrate, unite oltretutto fra loro da una malta non ottimale, erano soggette a scivolare e a non formare un tutt'uno omogeneo e resistente. Alle scosse violente, 11° grado della scala Mercalli, i muri cedettero facilmente sotto le vibrazioni del sisma, e le case si accartocciarono su loro stesse. Ecco perché gran parte delle case di Reggio e Messina vennero distrutte, ed ecco perché un numero impressionante di persone persero la vita e molte altre rimasero invalide.

La poesia Al Padre di Salvatore Quasimodo - Il futuro premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo (che all'epoca aveva 7 anni) si trasferì a Messina tre giorni dopo il terremoto, perché il padre capostazione fu chiamato a dirigere il traffico ferroviario lì. Per mesi visse su due vagoni merci, e successivamente rievocò l'esperienza nella poesia Al Padre:
«Dove sull'acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d'uragani
e mare avvelenato.»

(Salvatore Quasimodo, Al Padre)


LA GARA DI SOLIDARIETÀ.
Il re Vittorio Emanuele III e la regina Elena partirono per la città distrutta, dove arrivarono la mattina del 30. Mentre il sovrano sbarcò, a bordo della nave Slava la regina approntò un ospedale dove furono ricoverati moltissimi superstiti. Anche diverse navi straniere che si trovavano nel Mediterraneo per motivi militari e commerciali si diressero verso lo stretto per prestare aiuto. Inglesi e russi furono i primi ad arrivare, anche prima degli italiani. Poi fu la volta di tedeschi, americani, francesi e spagnoli.

Nei giorni successivi al sisma, il mare dello stretto si riempì di centinaia di navi che portavano viveri, coperte, legname, generi di conforto di ogni tipo e braccia per scavare sotto le macerie, dove erano ancora intrappolate centinaia di persone. Dalle zone terremotate i feriti furono trasportati nelle città vicine, ma anche a Napoli e a Roma.

LE BARACCOPOLI. «Una volta diffusa la notizia iniziò, per la prima volta nella Storia, una corsa all’aiuto per i terremotati». Ma ci fu anche un’altra novità. «In tutta Italia si crearono centinaia di comitati spontanei per portare soccorsi, sia in denaro sia in generi di prima necessità». In molte città e paesi del regno, nelle prime settimane del 1909, furono organizzate le cosiddette “passeggiate di beneficenza” (raccolte itineranti di fondi), lotterie, spettacoli teatrali per raccogliere denaro. Le città più vicine, come Catania e Siracusa, ospitarono nei propri ospedali, ma anche nelle scuole e nelle case private, centinaia di feriti. Furono in molti, personaggi noti e persone comuni, a partire alla volta di Messina per prestare il loro aiuto. In pochi giorni, a Messina, apparvero le antenate delle baraccopoli cui ci hanno abituati i terremoti italiani del secondo dopoguerra: le “michelopoli”. A farle costruire fu il giovane deputato emiliano Giuseppe Micheli che, con i soldi donati dalla Cassa di risparmio di Parma, costruì alcune casupole in piazza Cairoli. Non solo, fondò anche Ordine e notizie, primo quotidiano pubblicato a Messina dopo il terremoto.

La solidarietà e gli aiuti dall'estero - Non si mobilitò solo l’Italia per aiutare i terremotati. Quando la notizia raggiunse le capitali europee, in molti rimasero sconvolti. «Messina era allora una città conosciuta, vivace e ricca intellettualmente. Con un sistema economico basato sul commercio marittimo ospitava, già da qualche generazione, comunità inglesi, svizzere e tedesche». Numerosi stranieri visitavano la città, ricca di chiese e capolavori medioevali e barocchi. Anche americani. Roosevelt, presidente degli Stati Uniti, convocò d’urgenza il Congresso. All’unanimità si decise di stanziare 50 mila dollari dollari e di mandare 16 navi della flotta americana nelle zone terremotate. Tra i più solerti ci fu il kaiser di Prussia e Germania, Guglielmo II. Entusiasta visitatore abituale di Messina (ci era stato, prima del terremoto, ben 4 volte) Guglielmo aveva un amico, ex console tedesco a Napoli allora ormai in pensione e residente in Germania con la famiglia, che aveva sposato la figlia di un mercante inglese residente a Messina. Nella città siciliana aveva dunque molti conoscenti. Venuto a sapere del terremoto, il kaiser inviò un telegramma all’ex diplomatico per avere altre informazioni. Finì con una gaffe: il console non ne sapeva ancora nulla. Forse per rimediare, il sovrano inviò navi, viveri e sei casette in legno che vennero erette in piazza Indipendenza a Palermo, dove molti profughi furono trasferiti. Il kaiser non fu l’unico a regalare baracche.

Il terremoto negli scritti di letterati e giornalisti - A 110 anni del terremoto del 28 dicembre 1908, sono diversi e significativi i contributi dei tanti letterati e giornalisti che parteciparono con dolore e solidarietà. Gli articoli della Gazzetta del Sud di Antonino Sarica - per i numeri speciali delle riviste letterarie dell’epoca (come «Scilla e Cariddi», «Il Marzocco», «Natura e Arte») o i preziosi memoriali e gli articoli dei tantissimi inviati nazionali e internazionali (raccolti dal Mercadante nel 1968).

L’elenco delle firme illustri è davvero notevole. Basti ricordare lo sguardo malinconico della stazione piena di profughi di David Herbert Lawrence in Mare e Sardegna, l’intensa testimonianza presente nelle memorie del futuro Nobel Elias Canetti Il frutto del fuoco (che descrive un modellino della Messina distrutta presente al Prater di Vienna), il reportage narrativo Le terre infrante del giornalista francese Jean Carrère; e ancora, il romanzo breve della scrittrice svedese Astrid Ahnfelt Foglie al vento, che riporta la toccante storia di un’orfana, lo sguardo diretto e vibrante del medico-scrittore svedese Axel Munte in La storia di San Michele, le «parolibere» dei futuristi, i testi pirandelliani (ricordiamo la novella «Il professor Terremoto» e l’omaggio al poeta Boner, che verrà rievocato il 29 dicembre alla Basilica di Sant’Antonio di Messina in un evento promosso dall’Associazione «Antonello da Messina», insieme alle Lettere dei Marinai russi, con gli attori Irene Muscarà e Gianni Di Giacomo); fino alla toccante superstite ferita che «sorride al medico e parla di adottare uno degli orfanelli», immortalata a Roma da Grazia Deledda («Pare l’immagine dell’Italia, in questi giorni di miseria e di grandezza»), e al poema I morti di Messina della poetessa austriaca Edith Salburg (ancora inedita, alcuni versi sono tradotti da Patrizia Ledda).Tra i rari testi che evocano il dramma vissuto sulle coste dello Stretto di Messina ci piace ricordare quello dello scrittore americano ma francese d’adozione Julien Green.



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