Soccorsi altri 100 naufraghi nel Mediterraneo. Ma verranno riportati in Libia. Una cosa terribile, dato che in quel Paese le persone vengono seviziate, torturate e violentate. Un dossier di Human Rights Watch ricorda a tutti la grande ipocrisia dell’Europa: fingere che la Libia offra condizioni dignitose ai migranti. Invece è un inferno senza uscita.
Dopo che venerdì scorso, al largo di Tripoli, un gommone con 120 persone a bordo è affondato causando la morte di 117 persone, ieri mattina un nuovo barcone in avaria con 100 migranti è stato segnalato dal call center di volontari Alarm Phone a 60 miglia delle coste di Misurata.
Le telefonate del premier Conte a Tripoli hanno avuto effetto: le autorità libiche, che avevano già salvato due gommoni con 150 migranti a bordo, prima hanno sostenuto di non avere a disposizione motovedette, poi si sono decise a mandare sul posto il mercantile Lady Sharm battente bandiera della Sierra Leone. In base alle telefonate partite dal gommone prima del salvataggio, a bordo dovrebbero trovarsi diversi cadaveri, tra cui quello di un bambino.
Scrive La Stampa:
«Il picco di partenze degli ultimi cinque giorni è dovuto alla ripresa delle attività dei trafficanti spinti dalla necessità di rifare cassa dopo un lungo periodo di difficoltà legato al contrasto delle forze libiche. Anche ieri sarebbero partite almeno 200 persone sebbene circa 160 siano state intercettate e riportate a terra, spiegano fonti locali.
La ripresa della partenze è sostenuta da due fattori, le condizioni meteo favorevoli e la crisi istituzionale che indebolisce le attività di controllo. È ormai chiaro, infatti, che il premier del Governo di accordo nazionale è sempre più solo dopo la presa di distanza dei tre vice Ahmed Maetig, Fathi al Majbari e Abdel Salam Kajman contrariati dalle scelte compiute in completa autonomia da Sarraj e in violazione agli accordi di Skhirat che prevedono la consultazione imprescindibile di tutti i membri del Consiglio presidenziale per scelte di carattere istituzionale».
Mohamed Ben Khalifa, fotografo libico freelance che dal 2014 lavorava per l’agenzia di stampa Associated Press, è morto a Tripoli, in Libia, durante scontri violenti tra milizie rivali. Khalifa è stato colpito da un proiettile vagante mentre stava scattando foto al seguito di un gruppo armato. Lascia una moglie e un figlio di sei mesi.