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20/05/2019 18:40:00

Di Matteo: "Il boss Messina Denaro latitante grazie ai segreti sulle stragi"

La lunga latitanza di Matteo Messina Denaro, l’ultimo dei grandi boss di Cosa nostra, potrebbe essere frutto di un ricatto. Quello derivante dai segreti che si porta dietro e che farebbero paura a pezzi dello Stato. Uno scenario inquietante quello che lascia intravedere Nino Di Matteo, il pm che ha sostenuto l’accusa nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Qualcosa che per certi versi ricalca lo stesso schema di ricatti tra mafia e pezzi delle istituzioni già emerso ai tempi della caccia a Bernardo Provenzano.

L’anniversario di Capaci - Di Matteo parla a pochi giorni dall’anniversario della strage di Capaci in una lunga intervista ad Andrea Purgatori che dedica una puntata del suo programma «Atlantide» alla strage in cui morirono Falcone, la moglie e gli uomini di scorta. «Messina Denaro — ragiona Di Matteo — è a conoscenza di segreti legati a quelle stragi. E quelle sono stragi assolutamente anomale in cui Cosa nostra sembra in qualche modo eterodiretta... Un boss di quella caratura, in possesso ancora delle sue piene facoltà mentali, che conosce quei segreti è potenzialmente in grado di ricattare parte dello Stato... Ed è per questo che la sua latitanza è veramente grave e vi si deve porre fine al più presto, perché non si ingeneri nemmeno il sospetto che questa latitanza sia frutto della potenzialità di ricatto che quest’uomo è in grado ancora di esercitare».

Chi copre la latitanza - Purgatori lo incalza: quindi qualcuno lo copre? «Non si può concepire una latitanza così lunga soltanto come il frutto dell’abilità del fuggiasco — dice il magistrato —, c’è una copertura di esterni alla mafia che ha assicurato e continua ad assicurare questa condizione di latitanza. Quel mafioso non va sottovalutato, lui è certamente conoscitore di segreti legati a una fase stragista di cui è stato fra i principali protagonisti». Dei presunti segreti di cui sarebbe tenutario Matteo Messina Denaro aveva già parlato il pentito Nino Giuffrè, secondo il quale il boss di Castelvetrano conserverebbe addirittura «l’archivio di Totò Riina». Rivelazioni ora in qualche modo avvalorate dalle parole del sostituto della Direzione nazionale antimafia che rendono ancora più imbarazzante la latitanza del capomafia al quale forze dell’ordine e servizi segreti danno la caccia ormai da 26 anni.

«Il dovere della verità» - Per il resto nell’intervista (in onda questa sera su LA7 a partire dalla 21.15) Di Matteo ripercorre i tanti misteri che ruotano attorno alla strage di Capaci. A partire dalle cosiddette «entità esterne» alla mafia. «Non lontano dal cratere di Capaci è stata trovata documentazione, sono stati trovati dei foglietti di carta riferibili, senza ombra di dubbio, a esponenti del servizio segreto civile dell’epoca... inoltre alcuni testimoni hanno messo a verbale che nell’immediatezza della strage finti operai in tuta lavoravano proprio in corrispondenza del luogo dove l’indomani Falcone sarebbe saltato in aria...». E poi l’impegno morale nei confronti delle vittime: «Abbiamo il dovere di non rassegnarci allo sterile esercizio retorico del ricordo. Dobbiamo completare il percorso di verità già avviato da anni».