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14/06/2019 07:00:00

Tragedia di Casteldaccia, sindaco e dirigenti comunali accusati di omicidio colposo

Il segnale che in contrada Dagali di Cavallaro, a Casteldaccia, prima o poi sarebbe finita in tragedia, era arrivato con l’alluvione del 2009. I danni c’erano stati e, in quel caso, erano partite le ordinanze di demolizione. Anche la villetta in cui morirono il 3 novembre scorso in nove tra zii, cugini e nonni della famiglia Giordano, era da buttare giù. Ma quell’ordinanza non venne mai eseguita.

Come non venne dato seguito a ben cinque segnalazioni tra il primo e il tre novembre di allerta meteo e di predisporre un piano di protezione civile proprio nelle zone particolarmente «vulnerabili» come era la contrada di Casteldaccia: area sottoposta a vincolo paesaggistico e a rischio esondazione del fiume Milicia.

Adesso amministratori e funzionari del Comune finiscono sotto inchiesta dopo l’avviso di richiesta di incidente probatorio da parte della
procura. Si tratta dell’attuale sindaco Giovanni Di Giacinto, del sindaco pro tempore dal 2013 al 2018 Fabio Spatafora, di Maria De Nembo, responsabile della protezione civile di Casteldaccia, di Rosalba Buglino, Alfio Tornese e Michele Cara Pitissi, tutti e tre dell’ufficio comunale con
competenze in materia di sanatoria, demolizioni e acquisizioni al patrimonio comunale degli immobili abusivi non demoliti. Infine, nel registro degli indagati ci sono anche Antonino Pace e Concetta Scurria, proprietari della villetta. Tutti sono accusati, in concorso tra loro, di omicidio colposo. Di Giacinto e De Nembo sono accusati anche di rifiuto di atti d’ufficio. L’indagine dei carabinieri è coordinata dal procuratore capo
di Termini Imerese Ambrogio Cartosio e dai sostituti Luisa Vittoria Campanile e Carmela Romano.

Quella casa costruita su un terreno pieno di pericoli era stata affittata dai Pace a Giuseppe Giordano, commerciante di moto, nonostante
i vincoli, i rischi e la demolizione che incombeva. Il sindaco Di Giacinto e la De Nembo avrebbero potuto rimediare, secondo le indagini della
procura di Termini Imerese, i giorni immediatamente precedenti e anche lo stesso giorno in cui invece persero la vita anche i piccoli Rachele
Giordano di un anno e il cugino di tre anni, Francesco Rughoo. Bastava mettere in atto il piano di protezione civile dopo i cinque messaggi
di allerta da parte della protezione civile regionale, dall’ufficio circondariale marittimo e dalla sala operativa
regionale integrata siciliana.

Tutto cadde nel silenzio. I pm scrivono che Di Giacinto «non ha adottato alcun provvedimento né ordinanza urgente per prevenire e eliminare
i gravi pericoli che minacciavano la sicurezza dei cittadini». Per la procura il sindaco e la dirigente della protezione civile, poi, non attivarono
nemmeno il Coc, cioè il centro operativo comunale che entra in azione durante le emergenze. L’accusa per il sindaco e gli altri indagati
dell’ufficio comunale che si occupa delle demolizioni è quella di non aver buttato giù quella villetta gialla. Ma avevano un’altra possibilità:
quella dello sgombero. Non fecero nemmeno quello. La sera del 3 novembre i Giordano stavano ballando quando l’onda di fango alta sette
metri entrò in casa e spazzò via i sorrisi dei bambini, dei nonni, dei genitori.


 



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