Quella di mercoledì 25 settembre 2019 è destinata a diventare una data storica, sia sotto il profilo giuridico che sotto l’aspetto ad esso strettamente collegato di un’etica finalmente affrancatasi da direttive moralistiche: la Consulta ha difatti approvato, motivandola in maniera ineccepibile, la liceità del ricorso al suicidio assistito in caso di irreversibilità di una malattia cronica o degenerativa giunta al suo stadio terminale. Naturalmente, come la stessa Consulta ha opportunamente sottolineato, vige ancora in materia un vuoto legislativo che spetterà al Parlamento colmare.
Da Oltretevere, naturalmente, non hanno tardato a far pervenire un parere di cui, credo, il mondo laico non avvertiva la necessità: il cardinale Giovanni Angelo Becciu, accodandosi in questo al parere della Conferenza Episcopale Italiana, ha inteso esprimere il proprio “sconcerto” (sic!) dinanzi a questa decisione del supremo organo giurisdizionale italiano.
Naturalmente, il dibattito non viene portato sull’unico terreno legittimo, quello giuridico, bensì trasposto su quello in cui da sempre sguazzano porporati e benpensanti, quello di una morale che scade in becero e saccente moralismo.
Le ragioni invocate (sempre che così le si possa definire) sono sempre quelle di un’astratta “difesa della vita”, intesa alla stregua di un principio e non di una concreta esistenza che, in determinate circostanze, può assumere i connotati tragici dell’assenza di dignità, rispetto alla quale ciascuno è chiamato a tracciare i personali ed insindacabili limiti. Dal Vaticano, invece, giungono dichiarazioni che falsano completamente la realtà, attribuendo, a chi ha portato avanti una battaglia per l’estensione di un diritto, una volontà di morte che è semplicemente falsa e che viene messa al centro di un impianto accusatorio dal sapore inquisitoriale che non sta in piedi in alcun modo.
L’auspicio, che sta via via trasformandosi in pia illusione in chi scrive, è che il mondo cattolico si ribelli e incominci a sdoganarsi da un principio d’autorità la cui imposizione dovrebbe indignare quante e quanti ne vengono fatti oggetto da parte di un’istituzione retriva e dispotica, che di fronte al dissenso, specie se argomentato, adotta, di volta in volta, la tecnica della diffamazione o quella dell’insabbiamento. Le ingerenze reiterate operate dalle gerarchie cattoliche nei confronti delle distinte istituzioni stanti a fondamento della democrazia parlamentare sono inaccettabili e andrebbero accolte con la medesima indifferenza che le autorità vaticane destinano alle istanze che promuovono lo sviluppo di un pensiero adulto e responsabile perché laico.
Lo stesso cardinale Becciu, in un’intervista rilasciata al quotidiano
La Repubblica, fa appello alla possibilità richiamata da alcuni medici cattolici di fare ricorso all’obiezione di coscienza: ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere, pensando al fatto che chi ha l’ardire di richiamarsi alla coscienza è il rappresentante di un’istituzione che la coscienza l’ha sempre svilita, ostacolandone l’insorgere, perseguitandone la libertà ed impedendone l’esercizio. Il Vaticano, in tutta onestà, la coscienza non sa nemmeno dove stia di casa: che ci risparmi, almeno, il triste spettacolo di richiamare in vita un termine che entro i ristretti perimetri del proprio austero dogmatismo esso ha sempre bandito e lasci che ad utilizzarlo sia quell’universo laico grazie al quale, soltanto, è stato possibile compiere qualche passo in direzione di una più profonda comprensione della dignità umana.
Alessandro Esposito, pastore valdese
(26 settembre 2019)