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03/11/2019 06:00:00

La vicenda Saguto e la sua rete e gli amministratori giudiziari sotto inchiesta

 Silvana Saguto è definitivamente fuori dalla magistratura. La Corte di Cassazione ha confermato nei giorni scorsi la sanzione disciplinare della rimozione dalla magistratura della ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, a processo a Caltanissetta con l’accusa di aver gestito illecitamente le procedure di designazione degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e confiscati alla mafia. Con la sentenza depositata, la Suprema Corte ha ritenuto in parte "inammissibile" e in parte "infondato" il ricorso di Silvana Saguto.

Il sistema Saguto - Un vero e proprio sistema, teso all'arricchimento illecito, tramite una rete di favori, quello che ruotava attorno al magistrato Silvana Saguto, "papessa" dei beni sequestrati a Palermo. La Saguto era molto cosciente dei suoi poteri, tanto che aveva deciso di mettere mano su tutti i beni sequestrati di importanza tra Palermo, Trapani, e Agrigento. Chiamava questa mezza Sicilia "il triangolone". Piazzava giudici e amministratori di fiducia, così come emerse dalle indagini della procura di Caltanissetta e del nucleo di polizia tributaria di Palermo. 

 Ad aprire la lista degli indagati è lei, Silvana Saguto. Asssieme alla giudice in concorso sono imputati l’avvocato Cappellano Seminara e il marito Lorenzo Caramma. I pm nisseni parlano di un “rapporto di somministrazione corruttiva fra Saguto e Cappellano, per commettere una serie indeterminata di delitti di corruzione, peculato, falso materiale, falso ideologico e truffa aggravata”.

Le mazzette  - Gli inquirenti ritengono in particolare di aver trovato la prova di due mazzette, da 20.000 e 26.500 euro, pagate dall’amministratore al giudice, fra il novembre 2014 e il giugno 2015.

La rete della Saguto - Dentro l'inchiesta Saguto c'è di tutto: il giudice che raccomanda il figlio per farlo nominare amministratore giudiziario, l’ex prefetta di Palermo che puntava a sistemare il nipote di un suo collega in un’altra amministrazione giudiziaria, il professore della Kore che piazzava i suoi familiari. I punti di riferimento del sistema Saguto erano da un lato Cappellano Seminara (l'amministratore giudiziario). Le  e dall'altro lato Carmelo Provenzano, giovane docente dell'Università Kore di Enna. Quest'ultimo, che si vantava di fare da direttore strategico dell’amministratore Roberto Santangelo (anche lui indagato), aveva avviato una vera e propria parentopoli nella gestione dei beni sequestrati. E così la moglie, psicologa, Maria Ingrao, era stata incaricata di gestire un’azienda di surgelati sequestrata alla mafia. La cognata, Calogera Manta, professoressa di Lettere, si occupava di alcuni immobili dei boss. Hanno intascato dei compensi con un incarico per il quale non avevano neanche il titolo e non facendo comunque nemmeno un giorno di lavoro. Così come il cugino della moglie Giuseppe Ingrao, e la moglie Maria Lia Mantione, assunti nel gruppo surgelati Vetrano. O i nipoti acquisiti Carmelo e Antonio Canalella, anche loro dipendenti della ditta Vetrano.

La spesa gratis - Diversi gli episodi emersi passando al setaccio le oltre cinquanta amministrazioni giudiziarie finite nel giro della Saguto. Un caso singolare, che era già emerso e che trova ulteriore conferma: Saguto faceva la spesa gratis nei supermercati Sgroi, sotto sequestro, imponendo all'amministratore giudiziario, Alessandro Scimeca, di pagare 12 mila euro di debiti da lei fatti. 

L'ex Prefetto di Palermo - L’ex Prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, anche lei imputata nel processo, ha reso nei giorni scorsi delle dichiarazioni spontanee in aula. Ha raccontato ai giudici il rapporto con la Saguto, un rapporto di amicizia, forse troppo stretto per i pm. «La dottoressa Saguto mi disse che bisognava dare quanti più incarichi possibili a persone di fiducia senza alcun collegamento con i preposti - ha dichiarato -. Io non conoscevo nessuno una sola persona mi venne in mente ed era Richard Scammacca». Cannizzo ha raccontato quando era arrivata la notizia di un possibile progetto di attentato nei confronti dell’ex magistrato Saguto, una circostanza che avrebbe unito ancora di più le due donne. «Io mi occupavo della tutela della sua sicurezza - ha continuato l'ex prefetto - la notizia accrebbe in me non solo preoccupazione ma anche solidarietà». Il rapporto si interruppe il giorno della notizia delle indagini a carico della Saguto. «Le dissi che da quel giorno i nostri rapporti si dovevano interrompere».

Secondo gli inquirenti c'era un «accordo criminoso» fra la Saguto e Francesca Cannizzo, ai tempi prefetta di Palermo, oggi indagata per il reato di concorso. Cannizzo voleva sistemare il nipote di un ex collega prefetto, Stefano Scammacca, nell'amministrazione giudiziaria dell'Abbazia Sant'Anastasia (fra tutti, forse, il caso di sequestro più amaro....) e avrebbe fatto pesanti pressioni all'amministratore giudiziario, sempre Alessandro Scimeca "con modi bruschi e pressanti", scrivono i giudici. Scimeca tra l'altro è stato interrogato, insieme a decine di altre persone, e a verbale è finita una sua frase che racconta bene il clima imposto da Saguto: "Questi mi schiacciavano come fossi uno scarafaggio".

La vicenda Miserendino, altro protagonista dell'Antimafia - La vicenda di Silvana Saguto non può, non farci ricordare, altre vicende analoghe nella gestione dei beni confiscati e nella fattespecie del ruolo degli amministratori giudiziari. Tra questi c'è anche quella di una vera star nella gestione delle aziende sequestrate alla mafia, Luigi Miserendino, arrestato nel 2017.  Dopo la clamorosa denuncia di un Direttore commerciale, che non ha voluto rendersi complice nella mala gestione di un bene confiscato, la Guardia di Finanza e su mandato della Procura di Palermo arrestarono l'imprenditore Ferdico, i suoi complici ed l'amministratore giuduziario Miserendino.
L'intervento indebito di Ferdico nella gestione del centro commerciale di Carini avveniva sfacciatamente alla luce del sole e il Direttore, che aveva anche subito richieste estorsive, non trovando l'appoggio dell'Amministratore guidiziario si rivolse a LiberoFUTURO Palermo e Castelvetrano che  lo accompagnarono a denunciare. Agli arresti finirono l'amministratore nominato dal tribunale Luigi Miserendino,  l'imprenditore Giuseppe Ferdico. Secondo gli investigatori, anche grazie alla complicità dell'amministratore giudiziario, Ferdico, noto in zona come il "re dei detersivi", avrebbe continuato ad avere il controllo sull'esercizio, nonostante i sigilli posti al suo patrimonio dai giudici palermitani a marzo scorso: immobili, società e conti dal valore di 450 milioni di euro. In manette sono finiti anche Francesco Montes, il gestore di fatto della società a cui l’amministratore giudiziario aveva affittato ufficialmente il centro commerciale, Pietro Felice e Antonino Scrima, factotum di Ferdico.

 L'arresto di Lipani che favoriva il figlio del boss Mariano Agate - Ed è di qualche settimana fa l'arresto dell'amministratore giudiziario Maurizio Lipani, accusato di peculato e autoriciclaggio, per essersi intascato in pochi anni 355 mila euro provenienti dalla gestione delle aziende ittiche sequestrate al boss mazarese Mariano Agate. Denaro che avrebbe ottenuto attraverso prelevamenti di contante e bonifici ai propri conti personali. La Dia sta controllando anche i conti bancari delle altre decine di società ed aziende che gli erano state affidate in amministrazione giudiziaria. E soprattutto sta indagando su altre eventuali collusioni con soggetti sottoposti a misure di prevenzione. Ma al di là del denaro di cui si sarebbe appropriato indebitamente il Lipani, avrebbe permesso a Epifanio Agate, figlio del boss Mariano e della moglie Rachele Francaviglia di continuare tranquillamente a gestire le loro attività. Marito e moglie continuavano a compiere atti di gestione dell’impresa – si legge nell’ordinanza - sia riscuotendo i crediti vantati, sia intraprendendo nuove operazioni commerciali. E per queste nuove operazioni commerciali, utilizzavano come deposito merci un magazzino di un’azienda che si occupa di produzione del ghiaccio e conservazione del pesce, proprio di fianco alla Glocal Sea Fresh, l’azienda “amministrata” da Lipani.

Le somme prelevate da Lipani - Tramite i prelevamenti, si è appropriato di 203.900 euro. Di cui 171.000 durante l’amministrazione giudiziaria della Moceri Olive Società Agricola e 32.800 in seguito alla confisca della società e alla sua devoluzione all’Agenzia nazionale dei beni confiscati. Da gennaio del 2017 a giugno 2019 ordinato 35 bonifici sul conto corrente dell’amministrazione giudiziaria per complessivi 114.080 euro. Di cui 76.500 sul proprio conto personale e 37.580 su altri conti ancora in corso di accertamento. In tutto, si è appropriato di 317.980 euro, di cui non poteva disporre senza l’autorizzazione del giudice delegato alla procedura. Soldi che sono stati sottratti al patrimonio della Moceri Olive Società Agricola, poi sottoposta a confisca.

Insomma, le imprese sequestrate, di fatto erano gestite dai vecchi proprietari. E su questa particolare impostazione riguardasse anche altri amministratori giudiziari, rischieremmo di trovarci di fronte ad uno strano fenomeno: quello dell’amministrazione giudiziaria di facciata. Per tutta la durata del sequestro non ha mai redatto un rendiconto, non ha mai avanzato richieste di liquidazione di compensi e non ha effettuato le consegne a favore degli amministratori nominati dal Tribunale di Trapani, una volta che la confisca ha trasferito la società all’Agenzia nazionale dei beni confiscati;