Egregio Sig. Sindaco di Marsala,
questa emergenza ci costringe a rinunciare a una serie di libertà, poiché la rinuncia stessa risulta essere la miglior “arma” contro il contagio di un virus che ha già causato troppi lutti. Ma, stando alle più aggiornate divulgazioni scientifiche, le libertà di pensiero ed espressione non implicano in alcun modo contagi e infezioni, quindi mi avvalgo di questa libertà per rivolgermi a Lei pubblicamente: mi riferisco al suo appello alla cittadinanza, e quelli del Presidente della Regione Siciliana e di tanti altri sindaci del sud dell’Italia.
Appelli che, in un momento come quello che stiamo vivendo, non si possono che condividere con autentica partecipazione e senso di responsabilità. Che ogni cittadino debba, in questi giorni, dare il massimo in termini di autodisciplina e rispetto delle indicazioni che ci provengono da chi, come lei, è deputato a farlo, è fuori dubbio. Il senso di responsabilità è figlio del senso civico che a sua volta è figlio del livello culturale. E se, alla richiesta da parte delle istituzioni di assumere un atteggiamento adeguato ad uno stato di emergenza, la risposta di alcuni cittadini non risulta soddisfacente, è segno che il livello culturale generale non è sicuramente eccellente. E in questo, mi si perdoni l’irriverenza, ritengo ci siano responsabilità che non sono imputabili al cittadino, ma a chi è delegato il compito di “educare” la cittadinanza, attraverso tutti gli strumenti di cui una società democratica del ventunesimo secolo può (aimè dovrebbe) disporre. Marsala non è una città degli Stati Uniti d’America, terra in cui la concezione di “sviluppo” è di tipo assolutamente privatistico e liberale. Marsala è una città italiana, la nostra Costituzione non è stata scritta né da cow boy né tantomeno da cercatori di pepite; in questo paese lo sviluppo, in tutti i suoi aspetti, è e deve essere interesse generale, ed è vergognoso che per via di un’epidemia si arrivi a paventare l’impatto con una squallida realtà di inadeguatezza delle strutture, un’inefficienza che fa addirittura più paura del virus stesso.
Per noi marsalesi, doverci recare al pronto soccorso è un’esperienza da trauma a prescindere da qualunque coronavirus di sorta. In data primo marzo, quando il covid19 non era ancora sbarcato in Sicilia, un uomo di 36 anni è deceduto proprio al pronto soccorso dell’ospedale Paolo Borsellino. A quanto pare l’infarto che lo ha stroncato non ha rispettato il codice verde assegnatogli al triage. Cose che capitano, come quelle di cui io stesso, più di una volta, sono stato testimone oculare negli ultimi tre anni. E, onde evitare ogni equivoco, ci tengo a precisare che la mia non è una critica alla professionalità di medici e paramedici, anzi, visto che in questi giorni ricevono il plauso di tutti gli italiani per i sacrifici che stanno facendo e per i rischi a cui eroicamente si espongono, aggiungo il mio, ma distinguendolo con una precisazione: non è il covid19 a rivelare il valore di questi eroi, ma la loro resistenza in un sistema pubblico depredato da sciacalli della politica che per venticinque anni non sono stati neanche capaci di prevedere un evento come “un virus asiatico”. Mica sono sbarcati gli alieni, sono secoli che i virus influenzali partono dall’Asia per venirsi a fare il giro in Europa.
Il covid19 è stato preceduto da altre forme di coronavirus che hanno mietuto vittime, ma ciò non ha allarmato chi doveva scegliere come distribuire il denaro pubblico. E taglia oggi, taglia domani, si arriva a doversi pietrificare dinnanzi all’immagine del covid che sbarca trionfante mentre la sanità sventola bandiera bianca. Si, i nostri medici stanno dimostrando una disponibilità che va parecchio oltre il dovuto, ma lo facevano già dieci anni fa quando in ospedali come il Paolo Borsellino di Marsala, erano costretti a effettuare turni stretti per mancanza di personale, e in dieci anni la situazione è solo peggiorata. Poi non c’è da scandalizzarsi se al pronto soccorso c’è chi muore. Io non sono in grado di valutare la qualità della professionalità, ma che il personale sia abbondantemente sotto numero (e mi riferisco a una situazione generale e non solo marsalese), questo non c’è bisogno di un esperto per decretarlo. Ecco Sig. Sindaco, concludo dicendo che tutto questo non è imputabile ad un virus. I virus sono sempre esistiti, e quello che devono fare lo fanno bene. Gli uomini esistono da un po' meno, e a quest’ora dovrebbero aver imparato cos’è un virus, e soprattutto che ci saranno sempre. I cittadini della Repubblica democratica Italiana esistono da un settantennio, e forse è troppo poco, perché, a quanto pare, non hanno ancora capito che chi riveste ruoli istituzionali ha il dovere di pensare anche alle probabili emergenze che può riservarci il futuro quando improvvisamente diventa un presente ostile. La reclusione ai domiciliari come atto di responsabilità finalizzato a salvare vite umane è una cosa. E’ necessaria. E ognuno di noi deve sentire il dovere di sacrificarsi in questo senso. Ma chiudersi in casa col terrore che, oltre al virus, anche il frutto velenoso di una politica scelerata perpetratasi per decenni possa condannarci a morte… quella è un’altra cosa! Un giorno l’emergenza terminerà e ciò che mi auguro è che quel giorno avremo sviluppato, nella nostra persona, non uno bensì due anticorpi. Il primo contro il coronavirus, il secondo contro il malgoverno.
Massimo