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15/11/2020 06:00:00

Fuga di un narcos. Chi ha aiutato Bigione/3. Il primo anello, il pacco bianco, fine della latitanza

Vito Bigione, il narcos mazarese, arrestato nell’ottobre 2018 in Romania aveva alle sue spalle una serie di persone che lo hanno aiutato nella sua breve latitanza.

Circa due mesi da fuggitivo, per non scontare 15 anni di carcere per traffico internazionale di stupefacenti. Un tipo, Bigione, che è riuscito negli anni a sfruttare il suo “stare al mondo”. A mettere insieme diversi pezzi, diversi tipi di persone pronte a dargli una mano. Il tutto con la consapevolezza che le oranizzazioni mafiose siciliane e calabresi avevano magari qualche favore da ricambiare. E così, la lunga catena di fiancheggiatori che parte da Mazara e arriva in Romania è stata individuata nelle scorse settimane. L’ultimo anello si trovava in Romania. Ma il primo, la radice di tutto sta dove sono le radici di un uomo che pure di strade ne ha percorse, dall’Africa al Sud America: a Mazara. Concludiamo oggi il nostro viaggio nella rete dei fiancheggiatori di Vito Bigione partendo da lì dal primo anello. Finendo in Romania, con il pacco bianco.

Il primo anello
Il primo anello della catena di favoreggiatori di Vito Bigione non può che trovarsi nella sua città, Mazara del Vallo. E’ qui che è nata quella che gli investigatori definiscono “la catena di condotte che hanno consentito a Bigione di trovare rifugio sicuro all’estero ed è nella stessa cittadina che veniva recuperato il denaro destinato a Bigione”. Bigione durante la sua latitanza aveva tenuto rapporti diretti e indiretti con soggetti mazaresi tutti riconosciuti organici a Cosa Nostra. Il tutto attraverso l’aiuto di Giuseppe Armata e Vincenzo Pisciotta.
Armata aveva costanti rapporti con Nino Cuttone ma anche con Giovan Battista Giarratano.
Quest’ultimo veniva informato sulla situazione di Bigione. Giarratano, ex carabiniere, è stato condannato in via definitiva nel 1996 a dieci anni di reclusione per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, reato commesso a Mazara, in Sicilia e in Brasile dal 1990 al 1994. Nel 1999 il Tribunale di Milano lo condanna per associazione mafiosa. In particolare viene accertato che Giarratano, nell’ambito della ‘ndrina calabrese dei Morabito-Bruzzaniti-Palamara, aveva curato i collegamenti tra i calabresi e Cosa nostra trapanese, nonchè organizzato diversi traffici di eroina, cocaina e hashish, anche insieme a Bigione. Giarratano è tornato libero nel febbraio 2009.


 

Il pacco bianco e blu

C’è una valigia grigia e un pacco bianco con una scritta blu nel furgone guidato da Nelutu dall’Emilia Romagna alla Romania. Li lascia ad Elisabeta Halasz. E’ lei l’ultimo anello della catena di fiancheggiatori di Vito Bigione. Gli investigatori dopo aver pedinato il trasportatore rumeno osservano in Romania, ad Oradea, la donna. Individuano il suo appartamento che si trova in un edificio di una zona residenziale della città. La donna si reca anche in un edificio adiacente al suo appartamento. Gli investigatori appostati la osservano. La donna esce a gettare la spazzatura, e fra le altre cose c’è una scatola bianca con delle scritte blu. E’ la stessa prelevata da Nelutu dal B&B di Imola, la stessa caricata sul furgone e trasportata in Romania. La polizia rumena, insieme a quella italiana arrivata sul posto il 2 ottobre, preleva la scatola, e i rifiuti gettati via dalla donna. Trovano dei pezzettini di carta che ricomposti davano il numero di un’utenza telefonica italiana della Lyca Mobile. Un’utenza che era stata utilizzata fino al 9 luglio a Mazara e poi dal 10 luglio aveva ricevuto telefonate solo dalla Romania.
La mattina del 4 ottobre 2018 c’è una telefonata tra Monica Deserti e Vito Bigione. Il narcos racconta alla donna di essersi preoccupato per non essere riuscito a mettersi in contatto con lei e le raccomandava di non utilizzare più una determinata utenza telefonica. La donna gli risponde che aveva già ricevuto disposizioni in tal senso.

 

La cattura
Poco dopo la telefonata, alle 9.30, la polizia appostata nota uscire dall’edificio sorvegliato un uomo. E’ lui, è Vito Bigione. Viene arrestato. Nella casa in cui passava la latitanza vengono trovate delle schede telefoniche, tutte risultate in contatto con gli indagati nel periodo della latitanza, 8640 euro in contanti. C’è anche la valigia grigia che Pino Armata aveva prelevato dall’abitazione di Monica Deserti, portato a Tardino, e da quest’utlimo consegnata all’autista che ne aveva curato il trasporto e l’affidamento alla Halasz.

Dopo la cattura
Bigione viene arrestato e portato in Italia. Nel frattempo la donna che gli dava riparo, Halasz, viene sentita dalla polizia. Dichiara di essere stata contattata proprio dall’amica Adriana Viorica Muscan, che le aveva chiesto la disponibilità a ospitare tre uomini italiani, tra questi c’era Bigione. Muscan e Halasz si messaggiavano spesso anche via Facebook per raccordarsi su spedizioni di soldi e pacchi. Nell’appartamento della donna dove a Oradea la polizia ha trogvato una carta d’identità, una patente e una tessera sanitaria a nome di Matteo Tumbiolo, ma con la foto di Bigione. Erano i documenti falsi utilizzati dal Narcos per gli spostamenti.

“Mi sono fatto Natale e Capodanno”
Passa un po’ di tempo dalla cattura di Bigione. Armata e la moglie, Rosaria Bigione, sono in macchina insieme, è il 30 dicembre 2018. I due coniugi parlano e per gli investigatori la conversazione è “emblematica della finalità perseguita dall’Armata nell’ausilio prestato a Vito Bigione, evidentemente per conto dell’associazione mafiosa, il cui scopo, fra gli altri, è quello dell’assistenza nell’ipotesi in cui uno dei suoi componenti venga catturato. E infatti, l’Armata rileva alla moglie di aver ricevuto ‘automaticamente’ il ‘regalo di Natale’”. Armata però era stupito di essere rimasto immune alle investigazioni nei propri confronti dopo la cattura di Vito Bigione, definendo questa circostanza addirittura “un miracolo”. Poi dice sempre alla moglie “se fai la comparsa è un’altra cosa. Qua tutte cose le ho gestite io, tutte le cose, non è che è niente…”. I due coniugi però constatano che non bisogna gioire, che il rischio di essere sottoposti a indagine fosse ancora concreto. Infatti ecco che anche per lui arriva la perquisizione e l’obbligo di dimora. Il cerchio si chiude. Il narcos Bigione si trova già in carcere. I suoi fiancheggiatori sono riusciti a tenerlo fuori dalla cella per poco.

Il “ragioniere” che viveva a cavallo tra mafia e ndrangheta, il narcos tra più mondi, aveva alle sue spalle una rete di persone disposte a farsi in quattro per lui. Una catena di fiancheggiatori spezzata.

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