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30/01/2022 06:00:00

Crimini, articoli, interrogazioni. Come si scioglie un Comune per mafia / 7

29 dicembre 2017. L’avvocato e curatore fallimentare Adriana Quattropani si trovava al Bar New Sporting, in piazza Indipendenza a Pachino. Si apprestava alla restituzione della stazione di carburanti a Salvatore Sallemi della “Sallemi Carburanti srl” che nel 2017 rivendicava la proprietà a seguito della procedura fallimentare a carico della di Franca Corvo, moglie di Giuseppe Vizzini.  La sua auto verrà danneggiata da una bomba carta lasciata esplodere in corrispondenza del vano motore, nel lato anteriore destro della sua Tiguan. In sede di denuncia, indicherà tra i sospettati dell’attentato Simone Vizzini, figlio di Giuseppe, avvistato sul posto prima dell’esplosione. Ad alimentare timori per la propria incolumità, le minacce che Giuseppe Vizzini avrebbe avanzato all’avvocato Quattropani alla fine di febbraio dello stesso anno, cioè quando veniva consegnata alla moglie, Franca Corvo, la sentenza dichiarativa di fallimento. In quell’occasione, l’avvocato Quattropani non aveva potuto apporre i sigilli di chiusura a causa delle resistenze della famiglia Vizzini al completo e del loro legale, l’avvocato Salvatore Lucenti, stando alle dichiarazioni rese dall’avvocato Quattropani al Commissariato di Pachino. Nel corso di quell’incontro Giuseppe Vizzini avrebbe domandato all’avvocato Quattropani “se avesse figli”  e informandola che nella medesima situazione in cui si trovava egli stesso in quel momento era stato ucciso suo cognato, Serafino Corvo. 

Mentre il giornalista Paolo Borrometi su “LaSpia” ricostruirà l’evento criminoso puntando i riflettori su Giuseppe Vizzini e Franca Corvo, e tirando in ballo il clan Giuliano - concludeva infatti il servizio con “I mafiosi di Pachino, da Giuliano a Marcuotto, questa volta potrebbero averla fatta davvero grossa”-, il senatore Beppe Lumia presenterà una nuova interrogazione. Non lo farà subito, però. Aspetterà il 23 marzo 2018. 

Un’interrogazione come atto di fede

Alla data del deposito dell’interrogazione a risposta scritta il senatore non era più in carica e, per questo, diversi dubbi sono stati sollevati dai soliti malpensanti circa la legittimità dell’atto stesso. 

Sgombriamo il campo ai dubbi. L’interrogazione presentata dal senatore è legittima. Con decreto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella del 28 dicembre 2017 venivano sciolte le Camere e il 4 marzo 2018 gli italiani venivano chiamati alle urne per il rinnovo dei rappresentanti alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica. Il senatore Lumia non viene riconfermato ma, alla data del 23 marzo 2018 non erano stati convocati gli eletti della nuova legislatura e, pertanto, il Parlamento della legislatura uscente, secondo la prassi, era in stato di proroga, condizione che ammette la presentazione di interrogazioni a risposta scritta per la loro particolare natura procedurale. A differenza di tutti gli altri strumenti di sindacato ispettivo, comporta soltanto un rapporto scritto e diretto tra singolo parlamentare e Governo, senza incidere sull'attività delle Camere. Quindi, l’atto presentato dal senatore era ed è assolutamente legittimo e regolare. 

La preoccupazione del senatore Lumia era di lasciare un ultimo atto di fede nei confronti del Comune di Pachino. Ribadendo quanto già riportato nella precedente interrogazione, ovvero lo stato di «emergenza per una seria recrudescenza criminale e mafiosa, ultimamente balzata agli onori delle cronache per le inchieste giornalistiche del giornalista Paolo Borrometi, sulla testata on line “LaSpia”», illustrava al ministro Angelino Alfano le novità che si erano registrate sul territorio a cominciare dall’attentato con autobomba all’avvocato Quattropani, rinnovando le proprie preoccupazioni circa il passato di «Salvatore Giuliano (detto Turi sdentato), già condannato ai sensi dell'articolo 416-bis del codice penale e con precedenti per traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni ed usura, oggi nuovamente a processo per le minacce di morte e tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso nei confronti del giornalista Paolo Borrometi» e, soprattutto, informando il Ministero del passaggio in maggioranza al Consiglio Comunale di Pachino dei consiglieri Salvatore Spataro e Massimo Agricola come a volere avvalorare le ipotesi investigative del 2014 riportate nella relazione del 2015 dell’ex Prefetto, il dott. Gradone rimbombate sulle pagine di Borrometi. «A causa di un cambio di maggioranza, pratica a giudizio dell'interrogante discutibile, ma molto in uso nelle amministrazioni locali - scriveva l’ex sen. Lumia - oggi i due consiglieri eletti nelle file dell'opposizione Spataro e Agricola sarebbero ripetutamente in maggioranza e determinanti (come durante il voto sulla delibera del piano di riequilibrio del Comune) per gli atti dell'attuale Giunta: i due consiglieri sarebbero a processo (insieme al capomafia Salvatore Giuliano ed all'ex sindaco, Paolo Bonaiuto) per il reato di concussione in concorso». Pertanto, sollecitava il Ministero alla verifica della regolarità delle elezioni amministrative del 2014 e di vigilare sullo stato dell'apparato amministrativo: detta in soldoni, chiedeva l’avvio dell’iter di scioglimento del Comune di Pachino con l’invio dei commissari prefettizi. Inoltre, sollecitava ulteriori misure «per supportare e tutelare dalle continue e gravissime minacce di morte il coraggioso giornalista Paolo Borrometi». 

L’attentato con autobomba, gli arresti… e la mafia che non c’è

Il 10 aprile 2018, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catania, agenti della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di Pubblica Sicurezza di Pachino eseguivano quattro ordinanze di custodia cautelare emesse dal GIP del Tribunale di Catania nei confronti di Giuseppe Vizzini e dei suoi figli, Simone e Andrea, nonché di Giovanni e, in un secondo momento, anche di Claudio Aprile e altri, ritenuti responsabili a vario titolo dell’attentato con autobomba ai danni dell’avvocato Quattropani, ovviamente e neanche a dirlo, aggravato dal metodo mafioso finalizzato ad agevolare l’associazione mafiosa denominata Clan Giuliano attiva nel territorio di Pachino e Portopalo di Capo Passero.

«Qualcuno continua a dire che “la mafia a Pachino non c’è”. Ecco una prima risposta», commentava Paolo Borrometi pubblicando il comunicato stampa della Procura di Siracusa.

Ma nelle motivazioni che accompagnano la sentenza di condanna con rito abbreviato a Giuseppe Vizzini e ai suoi figli Simone e Andrea del 21 dicembre 2018, viene esclusa la circostanza aggravante del metodo mafioso contestata “sia nei termini di finalità agevolatrice del clan Giuliano, sia con riguardo alle modalità esecutive della condotta”. 

Borrometi, però questo particolare rilevante non lo riporterà ai suoi lettori nell’aggiornamento della notizia su “La Spia”. E il motivo è presto detto.

Dal 10 aprile 2018, giorno dell’arresto e momento in cui vengono rese note le intercettazioni degli inquirenti, salta fuori il suo nome in un dialogo tra Giuseppe Vizzini e Salvatore Giuliano. “Sto lurdu!”, appuntava Vizzini sulla campagna di discredito della loro reputazione e dei loro familiari con i servizi di Borrometi. “Lo so. Ma questo, ma che cazzo di p.i. è, ma perché non si ammazza, ma fallo ammazzare, ma che cazzo ti interessa”, rispondeva Giuliano. In un momento diverso, mentre Giuseppe Vizzini discuteva con i suoi figli, fantasticava un’eclatante azione omicidiaria: “Lo sai che ti dico, Peppe? - raccontava Vizzini come se quelle parole fossero state pronunciate da Salvatore Giuliano - Ogni tanto un murticeddu (fonico), vedi che serve! Per dare una calmata a tutti! Un murticeddu, sai, così. Un muriticeddu, c’è bisogno… così si darebbero una calmata tutti gli sbarbatelli, tutti mafiosi, malati di mafia! Un murticeddu”. Non sapremo mai se questa affermazione fu realmente pronunciata da Salvatore Giuliano, né se effettivamente il clan Giuliano stesse organizzando un attentato al giornalista. E, nonostante il GIP, la dott.ssa Giuliana Sammartino, in quelle affermazioni abbia intercettato propositi criminali, nessuna imputazione fu mai espressa in quella sede per tentato omicidio e nemmeno per minacce di morte nei confronti di Paolo Borrometi. 

Minacce di morte che, senza un’imputazione, non sussistono. E ricordiamoci sempre che nel caso dell’avv. Quattropani è esclusa l’aggravante del metodo mafioso, quindi l’attentato è stato eseguito senza mafiosità.

Eppure, tale fu il clamore reso al fatto ricostruito artificiosamente che la solidarietà è stata enorme, soprattutto tra le istituzioni e le principali rappresentanze politiche del Paese, sindacati e associazioni, dall’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, a Rosy Bindi e all’allora leader del M5S Luigi Di Maio, dal segretario allora reggente del PD Maurizio Martina al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, da Stefania Prestigiacomo a Gianfranco Micciché e Nino Minardo, dalla CGIL alla UIL, Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Unci, Stampa Romana, Fnsi-Odg-Usigrai… e persino Ficarra e Picone, il Papa!

Ovviamente, nella cortina di solidarietà schierata a protezione e a sostegno di Paolo Borrometi la Fondazione Antonino Caponnetto presieduta da Salvatore Calleri, il senatore Beppe Lumia (PD) e l’allora responsabile per la legalità, Giuseppe Antoci (PD).

Il senatore Lumia, in particolare, parlava addirittura di un attentato omicidiario ordito da Cosa nostra per uccidere il giovane giornalista e sventato grazie al lavoro della Procura antimafia di Catania: “Il suo lavoro di inchiesta – faceva sapere Lumia riferendosi a Borrometi – sta svelando i diversi contesti politico-mafiosi in territori su cui raramente si sono accese le luci della conoscenza e della denuncia della presenza mafiosa. Si tratta di una mafia feroce e affarista, collusa e invasiva, a cui da’ fastidio il giornalismo serio e documentato di Borrometi. Il clan mafioso dei Giuliano a Pachino - che nulla aveva a che fare con l’attentato con autobomba all’avv. Quattropani - legato alla mafia dei Cappello di Catania, vanta una presenza devastante sul territorio, come ho avuto modo di denunciare in un’interrogazione parlamentare. Da tempo segnalo, inoltre, la pericolosità dei cosiddetti ‘fine pena’, come Salvatore Giuliano. Essi rappresentano l’ossatura su cui la mafia ricostruisce la propria organizzazione quando viene indebolita dall’azione delle forze dell’ordine e della magistratura. Per questo bisogna monitorare le loro attività e bloccarle sul nascere, senza escludere ulteriori aumenti di pena per i recidivi”.

Les jeux sont faits: il 23 aprile 2018 Paolo Borrometi stesso annunciava l’avvio dell’iter che avrebbe portato l’anno successivo, il 15 marzo 2019, allo scioglimento del comune di Pachino. 

- CONTINUA -