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02/03/2022 06:00:00

 Le giovani donne del vino in Sicilia: la storia di Federica Fina

Da noi, gli homini dovrebbero nascere più felici e gioiosi che altrove, et però credo che molta felicità sia agli homini che nascono dove si trovano i vini buoni…” – Leonardo de Vinci

L’enoturismo in Sicilia è davvero fondamentale. Assaporare, sentire, imparare, capire, conoscere: qui, del vino, è radicata una vera e propria cultura.

Ed è proprio in questo luogo, a metà strada tra Trapani e Marsala, sulla collina della Contrada Bausa, che sorgono le Cantine Fina: una realtà vitivinicola a conduzione familiare fondata da Bruno Fina nel 2005 e portata avanti da lui e dai suoi tre figli, Sergio, Marco e Federica.

Fina ha lavorato per anni fianco a fianco con Giacomo Tachis, padre della moderna enologia siciliana, colui che ha cambiato il modo di pensare la vigna e ha suggerito i procedimenti di vinificazione più efficaci: ed ha saputo far fruttare al meglio ogni preziosissimo insegnamento del suo maestro.

In pochissimi anni è riuscito infatti, con il duro lavoro in vigna, con la dedizione e l’amore per la terra e per la sua famiglia, a diventare una realtà conosciuta, importante, apprezzata ed affermata in un territorio in cui la cultura del vino è fondamentale.
Inoltre, l’amore per questo territorio ha fatto sì che la famiglia Fina abbracciasse appieno l’agricoltura biologica, nel pieno rispetto per l’ambiente: le attrezzature all’interno della cantina sono infatti tra le più moderne e innovative.

Si tratta dunque di realtà piuttosto recente, certo, ma già ricca di storie. Storie che vengono abilmente narrate, con passione ed un sorriso costantemente stampato sul viso, proprio da Federica, la più piccola dei figli di Bruno: una donna solare, vulcanica, con una naturale inclinazione alle relazioni con il pubblico.
È infatti lei che si occupa dell’enoturismo, dell’accoglienza e della comunicazione. E riesce a farlo in un modo così coinvolgente da incantare orecchie e palato: talento che è stato riconosciuto anche dalla delegazione siciliana delle Donne del Vino, per cui cura le attività di comunicazione web e le pagine social.

Federica, ci racconti il suo primo ricordo legato al mondo del vino

Ero davvero piccolissima, non esisteva ancora la cantina e neppure il nostro marchio: i miei genitori già si occupavano di vino, lavoravano nel settore producendo vino sfuso. Ovviamente mi hanno trasmesso sin da subito la loro immensa passione. Ricordo in particolare il periodo della vendemmia: i miei genitori ed i miei fratelli lavoravano nelle cantine fino a tarda notte, e spesso io mi addormentavo in auto. Volevo star con loro, non vedevo l’ora di poterli aiutare, passavo le ore ad osservarli ammirata. Poi siamo passati all’imbottigliato, ed è nato il marchio Fina: ero così orgogliosa della mia famiglia!
Ero già più grande quando è arrivato il successo: in quel momento io e i miei fratelli non capivamo bene cosa stesse accadendo. Poi c’è stata la costruzione della cantina di vinificazione, le attività di comunicazione per affermare i nostri prodotti sul mercato. Quello è stato un periodo intenso, fatto di tantissimi sacrifici ma anche di momenti felici trascorsi tutti insieme: ricordo che dovevamo organizzare eventi, girare per locali raccontando in giro la nostra storia, la nostra avventura. È stato uno dei periodi più belli della mia vita.

Quando ha iniziato a sentir questo mondo “suo”?

Da sempre: ho sempre percepito questo mestiere come parte del mio “destino”. Oggi non lo considero neppure un lavoro, è la mia vita. Sono tornata a Marsala a ventiquattro anni, dopo aver conseguito la laurea in marketing e comunicazione ed aver trascorso un periodo di formazione a Londra: ero finalmente pronta, desiderosa di dare il mio contributo all’azienda. All’inizio è stato difficile ritagliarmi uno spazio tutto mio: ho iniziato affiancando i miei fratelli, Sergio, enotecnico, e Marco, nel settore amministrazione e commerciale. Poi ho scoperto che quello che davvero mi appassionava era il contatto con le persone, raccontar loro la nostra storia.

Ed oggi di cosa si occupa in azienda?

Enoturismo, comunicazione, accoglienza. Amo in particolar modo l’enoturismo, perché mi consente di star con le persone, di raccontare, attraverso il vino, una storia: la nostra storia. Spesso mi chiedono se per me sia noioso raccontar sempre la stessa cosa, ma la risposta resta, ancora oggi, la stessa: assolutamente no. Anzi, è una storia che diventa ogni giorno più bella, che mi rende ogni giorno più fiera ed orgogliosa. Non potrebbe mai stancarmi.

Ci parli dei vostri prodotti.

Noi amiamo raccontare la Sicilia, questa terra ricca, complessa e meravigliosa, attraverso il vino: puntiamo sui vitigni autoctoni, sul Grillo, il Nero d’Avola, il Perricone e lo Zibibbo, però crediamo molto anche nel concetto di “Sicilia Continente”. La Sicilia è un vero e proprio continente vitivinicolo che, grazie alla vastità e complessità del suo terroir, si presta benissimo alla coltivazione dei vitigni internazionali. Quasi tutti i nostri bianchi sono vini di collina che beneficiano della notevole escursione termica, tra il giorno e la notte, che caratterizza il tratto di costa in cui viviamo. Non a caso vini come il Traminer, il Caro Maestro, il Sauvignon Blanc, il Petit Verdot ed il Merlot sono alcuni dei nostri punti di forza più importanti.

Ci racconta qualche aneddoto sui nomi, particolari ed evocativi, dei vostri vini?

Uno di quelli a cui son più legata è senza dubbio il Kebrilla. Si tratta del Grillo delle Cantine Fina, un vino strutturato, ottenuto da uno dei vitigni più antichi della Sicilia. È forse il più difficile da produrre, poiché l’uva va raccolta al “momento perfetto”. Abbiamo deciso di dargli questo nome in onore di una canzone di Jovanotti, “Kebrillah” appunto, una speciale dedica a mia madre, venuta purtroppo a mancare troppo presto. Poi c’è il Kiké, nome nato dal vezzeggiativo con cui mi chiamava mia madre da bambina: “Chichetta”. Ovviamente gli sono particolarmente legata. Si tratta di un vino bianco composto da Traminer Aromatico e Sauvignon Blanc. Particolare menzione merita anche il Caro Maestro, nome affettuoso in onore di Tachis: è un vino rosso, un misto tra Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot che affina per due anni in barrique di rovere.
Questo è il vino più complesso, un grande tributo, qui si assapora la reale generosità dei vitigni siciliani. Al palato risultano note minerali, un sapore leggermente amaro, ma ampio e coinvolgente. Il bouquet è speziato, e sa di cacao, di chiodi di garofano, di noce moscata e di frutta.
Infine, il Vola Vola, il Viognier della casa, bianco tipico del sud della Francia, il cui nome nasce da un gioco che io ed i miei due fratelli facevamo da bambini.

Ci sono in questo ambiente difficoltà ed ostacoli che è stata costretta ad affrontare “in quanto donna”?

Nella mia famiglia e nella mia azienda fortunatamente no, non ho mai ricoperto un ruolo, o dovuto far qualcosa, “in quanto donna”. Al contempo però so di essere una privilegiata, devo considerarmi tale, perché per moltissime altre donne la situazione è ben diversa. Nel mio viaggio in America, durato un mese e dieci giorni, ho riflettuto tantissimo proprio su questa problematica. Il ruolo della donna come imprenditrice dovrebbe esser naturale, anzi, lo è. Certe differenze non dovrebbero esistere in nessun campo, figuriamoci in questo: come se competenza e bravura potessero essere giudicate in base al genere di una persona. Mi auguro che presto discorsi simili possano essere debellati per sempre, è assurdo che nel 2022 si parli ancora di differenze tra sessi in campo imprenditoriale. Per fortuna oggi siamo tantissime a ricoprire ruoli al vertice: enologhe, manager, imprenditrici. Prendiamo ad esempio un’Associazione fondamentale come “Le Donne del Vino”, nata nel 1988, di cui faccio parte, e le cui socie sono vere pioniere. Siamo donne vulcaniche, forti, con tanta voglia di metterci in gioco, e lo facciamo ogni giorno. Ne sono orgogliosa, e spero che una mentalità del genere possa aprire la strada anche alle nuove generazioni.

Ecco, a proposito delle nuove generazioni: secondo lei è possibile un “ritorno alla terra”?

Si, sta finalmente ritornando l’interesse per la terra, per questo settore meraviglioso. I giovani hanno capito che la vera ricchezza proviene da qui.

Qual è la sfida più grande che deve affrontare il mondo del vino oggi, secondo lei?

Senza dubbio il cambiamento climatico. “Mamma terra”, come amo chiamarla, è la nostra “direttrice” e sta cambiando: dobbiamo rendercene conto e fare qualcosa, iniziare a cambiare le nostre abitudini, iniziare a rispettarla davvero. Senza di Lei, non saremmo nulla.

Osservazioni giustissime. Per concludere: qual è il suo vino preferito?

Li amo un po’ tutti, fanno parte di me, raccontano la mia storia. Ma sono legata in modo particolare al Mammarì, il nostro Sauvignon Blanc, dedicato a mia madre: è un vino buonissimo, che ha ricevuto importanti riconoscimenti come la Gran Medaglia d’Oro al Concorso enologico internazionale "Città del vino". Credo sia proprio il mio preferito!