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07/06/2022 06:00:00

Becchina story/2. La storia delle armi per uccidere Ciaccio Montalto

I ponti con la Sicilia e con Castelvetrano Becchina non li ha mai tagliati.

Neanche quando ha fatto fortuna in Svizzera, con il traffico di opere d’arte. E i ponti con la mafia, secondo alcuni collaboratori di giustizia, sarebbero stati ben saldi. Però lui, Becchina, che nelle scorse settimane ha subito la confisca dei beni per 10 milioni di euro, una condanna per mafia non l’ha mai avuta. Di lui hanno parlato in tanti. Da 30 anni a questa parte collaboratori di giustizia, mafiosi accertati, altri sedicenti, hanno fatto il suo nome per confermare o smentire il suo legame con la famiglia Messina Denaro. Dichiarazioni ritenute attendibili, altre meno. Come quelle di due collaboratori molto discussi dalle parti di Castelvetrano. Becchina viene tirato in ballo anche per l’omicidio del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto. Continua il nostro viaggio a puntate nelle vicende che riguardano il mercante d'arte di Castelvetrano (qui la prima puntata).

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Nel 1992 Rosario Spatola e Vincenzo Calcara iniziano a raccontare cose sulla mafia trapanese. Parlano anche di Gianfranco Becchina. Ma hanno visioni opposte. Per Spatola, Becchina è un mafioso. Per Calcara no.

Spatola addirittura inquadra il mercante d’arte come uomo d’onore della famiglia mafiosa di Castelvetrano e uno dei maggiori trafficanti europei di opere d’arte. Secondo i racconti di Spatola “il traffico di reperti e opere d’arte gestito da Becchina era funzionale agli interessi della locale cosca mafiosa”. Era risaputa, infatti, la passione dei Messina Denaro per i reperti.
A sua volta Calcara riferisce nell’ambito dello stesso processo che Becchina avrebbe dovuto consegnare alcuni reperti archeologici provenienti da scavi clandestini per conto di esponenti della famiglia mafiosa di Castelvetrano, allora capeggiata da Francesco Messina Denaro. Ma pur legandolo alle vicende di cosa nostra, Calcara non inquadra Becchina nella consorteria mafiosa. “Non mi è stato presentato come uomo d’onore anche perchè a quel tempo forse non lo ero ancora neppure io”, racconta Calcara in un interrogatorio del febbraio 1992. Emerge la contraddizione tra le dichiarazioni di Spatola e Calcara. Differenze “non di poco conto” rileva il giudice. Mentre per Spatola Becchina è un “uomo d’onore”, per Calcara no: “conosco come trafficante di reperti archeologici un tale Becchina che operava in Svizzera, non mi risulta sia uomo d’onore”.

Però entrambi collocano Becchina nel traffico illecito di beni archeologici a livello internazionale, traffico attraverso il quale - scrive il giudice nel decreto di confisca - “favoriva gli interessi della famiglia mafiosa di Castelvetrano”. Spatola lo riteneva addirittura invischiato anche nel traffico di stupefacenti con collegamenti con il Sud America. Una circostanza mai riferita, però, da Calcara.

Due anni dopo si chiude il procedimento e la posizione di Becchina viene archiviata perchè “non sono stati acquisiti elementi di riscontro idonei a corroborare le accuse mosse da Calcara e da Spatola”.

Ma fa notare il giudice nel decreto di Confisca di queste settimane che le dichiarazioni dei due collaboratori “hanno trovato riscontro in diverse e successive indagini”. I 

 

La pistola per uccidere Ciaccio Montalto
Nel 1983 viene ucciso a Valderice il giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto. Un omicidio avvenuto in piena notte. I sicari bersagliano l’auto del giudice a colpi di mitraglietta e pistole.
Per quel delitto, grazie alle dichiarazioni di Calcara, Spatola, e Giacoma Filippello (moglie del boss Natale L’Ala) vennero rinviati a giudizio i boss mafiosi Salvatore Riina, Mariano Agate, Mariano Asaro (ritenuto l'esecutore materiale) e l'avvocato massone Antonio Messina, che avevano ordinato il delitto perché il trasferimento ormai deciso del magistrato alla Procura di Firenze avrebbe minacciato gli interessi mafiosi in Toscana. Nel 1998 Riina e Agate vennero condannati all'ergastolo in primo grado mentre l'avvocato Messina e Mariano Asaro vennero assolti; la sentenza venne anche confermata nei successivi due gradi di giudizio.
In quell’inchiesta Spatola riferì che a fornire una delle pistole per uccidere Ciaccio Montalto sarebbe stato proprio dai fratelli Becchina. “L’arma utilizzata per commettere l’omicidio del giudice Ciaccio Montalto fu data a Mariano Asaro da Natale L’Ala. Questa pistola ritengo che fosse una delle due che Calogero Becchina, uomo d’onore di Castelvetrano, aveva fatto avere ad altre armi. Calogero Becchina le aveva ricevute dal fratello Gianfranco, anche lui uomo d’onore”. Dichiarazioni, queste di Spatola, che per il giudice sono coerenti e credibili “sul piano logico” oltre che “riscontrate” da dichiarazioni di altri collaboratori. Ma il della Corte d’Assise di Caltanissetta in cui si era svolto il processo, giudicò le dichiarazioni “inverosimili” perchè ritenne che Spatola e Calcara non fossero realmente affiliati a cosa nostra e non potevano aver ricevuto “confidenze” riguardanti fatti eclatanti come l’omicidio di un giudice. Spatola, tra l’altro, non poteva aver ricevuto quelle confidenze da Natale L’Ala perchè era stato già “posato” dalla famiglia mafiosa di Campobello proprio per i dissidi con i corleonesi.

Non c’è prova che sia mafioso
Per il giudice dalle dichiarazioni di Spatola e Calcara si rileva con certezza solo la circostanza che Becchina fosse molto conosciuto a Castelvetrano, e che si era trasferito in Svizzera dove aveva creato un florido traffico di opere d’arte. Traffico che riguardava anche beni archeologici di provenienza illecita, la cui vendita “favoriva anche gli interessi della famiglia mafiosa di Castelvetrano”. Non si può però dire che Gianfranco Becchina fosse organico a cosa nostra, anche perchè le dichiarazioni dei due collaboratori sono difformi e mancano elementi di certezza sulle “condotte illecite attribuibili a becchina in favore di cosa nostra”.


Un altro personaggio, molto discusso anche lui, che entra nella vicenda di Becchina è Tonino Vaccarino. Anche lui parlò di Becchina. Lo vedremo nella puntata di domani.