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14/07/2022 06:00:00

Mafia: trent'anni fa l'omicidio del boss Vincenzo Milazzo. Disse no alle Stragi

 Tra gli omicidi di mafia che avvennero nel periodo delle stragi del 1992, sottovalutato da sempre, ma cruciale, oggi, per capire le ragioni della guerra allo Stato da parte di Cosa nostra, vi è quello del boss di Alcamo, Vincenzo Milazzo, avvenuto il 14 luglio del 1992.

Milazzo, boss emergente, grande esperto raffinatore di eroina, era vicinissimo al capo dei corleonesi, Totò Riina, ma fu ucciso dallo stesso Riina quando aveva 37 anni. L’omicidio di Milazzo, poco prima della strage di via D’Amelio, è strettamente collegato a quest’ultima.

Per anni si è creduto che l’uccisione di Milazzo, fosse legata al controllo del traffico di droga che da Alcamo arrivava in tutta Italia, e quindi alla gestione e alla spartizione degli enormi guadagni. In realtà il periodo tra le due stragi di Capaci e via D’Amelio, la partecipazione all’omicidio di Matteo Messina Denaro, amico di Milazzo, e di tutti i giovani rappresentanti delle altre famiglie di Cosa nostra, e poi l’uccisione, della compagna Antonella Bonomo, fatto unico nella storia di mafia, danno una connotazione totalmente diversa a quell'omicidio che è, invece, collegato, proprio all'azione stragista intrapresa da Cosa nostra.  Vediamo come e perché si è arrivati all'omicidio Milazzo. 

Messina Denaro controllore di Cosa nostra, voluto da Riina –  Il figlio di Francesco Messina Denaro nel 1992 ha 30 anni, è il capomafia di Castelvetrano, comanda sulla provincia di Trapani, ed è vicinissimo e pupillo di Riina che, dopo che la Cassazione ha confermato, a Gennaio, le condanne del maxiprocesso, affida a Messina Denaro il delicato di vigilare sull’unità di Cosa nostra nella partecipazione a quel folle piano di attacco allo Stato. Insomma deve evitare tentennamenti nell’organizzazione, diserzioni. E sparare a chi fugge. la Commissione regionale di Cosa nostra non lasciava spazio ad alcun dibattito interno. Quindi, bisognava solo obbedire.

A Marsala, Riina aveva chiesto di eliminare Paolo Borsellino, in quel momento procuratore in città. I boss marsalesi, invece, dissero: “Ma noi qui siamo tranquilli”. Riina aveva suggerito di piazzare una bomba proprio davanti al Tribunale, e gli fu risposto rispondere che in quel modo ci sarebbero stati molti morti. Per i loro a Riina i due capimafia di Marsala, Francesco D’Amico e Francesco Caprarotta, rapiti il 12 Gennaio, i loro corpi non furono più ritrovati.

Il No di Milazzo alle Stragi, pagato con la morte - Sparare alle spalle di chi fugge. E’ questo il compito di Matteo Messina Denaro. Ed è così che si spiega l’eliminazione di Vincenzo Milazzo, che era un astro nascente, come il suo amico di Castelvetrano, della mafia siciliana. Ma ha pagato con la vita il suo no alle stragi, la ricerca di una via di fuga.Solo recentemente c'è stata la conferma di questo movente per l'omicidio Milazzo.   Nel processo - attualmente in Appello - che vede proprio Matteo Messina Denaro imputato come mandante esterno delle stragi del ‘92. A dire chiaramente che Vincenzo Milazzo è stato ucciso per questo motivo è anche il pentito Andrea Di Carlo, ex boss di Altofonte: “in quel periodo bastava una parola fuori posto per diventare nemici di Riina”. E parole fuori posto Milazzo ne diceva parecchie. “Lui vedeva sempre traditori in Cosa nostra, perché aveva paura e chi non era vicino a lui lo uccideva” continua Di Carlo, riferendosi a Riina e alla sua ossessione.

Vincenzo Milazzo, coinvolto nella Strage di Pizzolungo, divenne contrario alle stragi - In primo grado, Milazzo, era stato condannato all’ergastolo per aver ucciso, Barbara Rizzo, e due suoi figli di cinque anni, Giuseppe e Salvatore Asta. Per i giudici Vincenzo Milazzo era l’organizzatore della strage e il principale responsabile della gestione della raffineria di eroina di Alcamo. La strage sarebbe stata decisa per proteggere la fabbrica della droga dall’azione investigativa di Carlo Palermo. Nel processo di secondo grado, però, Milazzo viene assolto. Nel ‘91 la Cassazione, nonostante il Pg avesse chiesto la riapertura del processo, aveva confermato l’assoluzione. Presidente della Corte era il giudice Corrado Carnevale, “l’ ammazzasentenze”. Milazzo andava dicendo a tutti che gli attentati avrebbero portato solo guai: “Vi voglio vedere, poi, quando pioveranno gli ergastoli”. Dopo la strage di Capaci Milazzo cerca allora di attivarsi per bloccare gli attentati e il piano di Riina. “Chisti su foddri”, questi sono pazzi, gli scappa in più di un’occasione.

La trattativa personale di Milazzo con uomini dei servizi - Milazzo nel suo tentativo di opporsi cerca non solo di parlare con i boss ma anche con “persone che dicevano di far parte dei servizi segreti”, afferma Armando Palmeri, autista di Milazzo in quegli anni (era latitante) e suo amico, poi diventato anche lui collaboratore di giustizia. Incontri segretissimi. Almeno tre. In ville di medici, imprenditori e politici del luogo che si offrono come mediatori. Per uscire dal tunnel di Riina, però, Milazzo si infila in un gioco più grande di lui.

Il racconto dell'autista di Milazzo - Palmeri racconta che Vincenzo Milazzo era quasi “affascinato” da quei signori che gli erano stati presentati, e che aveva cercato di pedinare, ma senza successo. Ed poi sempre più convinto che il piano di Riina fosse una follia, e che da solo non avrebbe potuto fermarlo. Milazzo raccontò che quelle persone influenti avrebbero risposto alle sue preoccupazioni in una maniera per lui imprevista: non erano intenzionati a fermare le stragi, ma gli avevano chiesto se c’erano margini per spostare gli atti terroristici fuori dalla Sicilia, suggerendo anche alcune modalità, ad esempio inquinando gli acquedotti “per mettere lo Stato in ginocchio”. Un racconto inquietante, perché l’anno successivo, nel 1993, effettivamente, la mafia porterà la guerra allo Stato fuori dalla Sicilia. “Noi siamo dei burattini nelle loro mani, loro sono la vera mafia” commentava Milazzo, spaventato, prendendo atto che a rischiare, comunque, era sempre Cosa nostra. E che lui si era messo in un doppio guaio: non poteva dire di no a Riina, ma adesso doveva delle risposte pure a questi suoi nuovi interlocutori. “Sapeva di rischiare la vita” aggiunge Palmeri. Ne aveva parlato pure con Gioacchino Calabrò, che oltre che suo braccio destro (carrozziere, era rimasto anche lui coinvolto nella strage di Pizzolungo) era, ancora di più, fedelissimo a Riina.

La trappola di Riina per Milazzo - Calabrò tende la trappola. Il 14 Luglio Milazzo ha un appuntamento con lui in un casolare, utilizzato come laboratorio per la lavorazione dell’eroina. Milazzo crede di trovare solo lui. Invece appena scende dalla sua Clio Bianca si accorge della presenza di Giovanni Brusca, Giuseppe la Barbera, Antonino Gioè e Matteo Messina Denaro.
E’ Antonino Gioè, l'artificiere della strage di Capaci e suo grande amico, a sparargli un colpo in testa con la sua P38. Altri avrebbero voluto prima torturarlo, ma è Gioè che chiede la “grazia” di una morte veloce. Leoluca Bagarella gli dà comunque il colpo di grazia con la sua 357 Magnum. Matteo Messina Denaro pensa invece a occultare il corpo in una fossa.

Cosa nostra decide di uccidere anche la donna di Milazzo, Antonella Bonomo - Per la prima volta, poi, la mafia decide di uccidere deliberatamente una donna. La compagna di Vincenzo Milazzo è disperata, perché il suo fidanzato da due giorni non dà notizie. Calabrò la tranquillizza e qualche giorno dopo la va a prendere a casa, per accompagnarla da Milazzo. All’ora concordata, Calabrò va avanti con la sua auto, Antonella Bonomo segue con la sua. Arriva al casolare. E’ un luogo che conosce, e non si meraviglia di trovare Gioè e gli altri. Sono amici del suo compagno, e quindi anche suoi amici. Invece, una volta entrata, la attende la morte. Le regole di Cosa nostra impongono che alle donne non si spara. Pertanto, viene strangolata. Aveva 23 anni. Le sue ultime parole furono disperate: “Vi prego, sono incinta”.

Antonella Bonomo aveva un parente nei servizi segreti - Dopo la morte di Milazzo è Riina che chiede che venga uccisa anche la donna, perché, come dice un altro pentito, Giuseppe Ferro “questa ragazza conosceva tutti i nostri posti”. Del parente nei servizi segreti si ha conferma solo 25 anni dopo, era un cognato di uno zio materno, un uomo del Sisde.