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26/08/2022 18:00:00

Pantelleria: un’isola dai diritti sospesi

Più vicina all’Africa che all’Italia: 110 i chilometri che la separano dalla Sicilia, 65 quelli dalla Tunisia. Meta sempre più frequente di sbarchi di persone migranti che, vista la breve distanza, riescono ad arrivare in canoa. Eppure, quasi completamente priva di copertura mediatica quando si parla di arrivi via mare. Come se l’unica isola interessata agli approdi di richiedenti o profughi in quel tratto di mare sia Lampedusa.

Pantelleria è di fatto una porta d’ingresso all’Unione europea. Una porta di cui si parla poco. Nonostante nel 2021 abbia visto arrivare 2.555 persone attraverso gli sbarchi. Un numero in aumento rispetto all’anno precedente, in cui erano arrivate 1.858 persone, meno anche di quest’anno, in cui se ne contano già 2.166.

Per questo motivo, per approfondire una realtà poco raccontata e per denunciare le prassi lesive dei diritti di chi arriva in un luogo difficilmente monitorabile, l’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) ha redatto un report dal titolo La frontiera di Pantelleria: una sospensione del diritto.

Un rapporto che nasce dopo il sopralluogo di una delegazione composta da dodici socie e soci Asgi, che si è recata sull’isola, alla fine del maggio scorso, per acquisire informazioni sulla gestione e funzionamento di quello che, dal 2 agosto di quest’anno, è diventato un “centro di crisi”, dove occorreva monitorare le procedure applicate alle persone migranti in arrivo.

Un sopralluogo, quello all’interno dell’ex caserma Barone che, per motivazioni collegate alla prevenzione alla pandemia, che di fatto era già fuori emergenza, la prefettura di Trapani ha fatto saltare, negando l’accesso alla struttura. Per cui il report mette insieme le informazioni avute durante gli incontri con lo Sportello di consiglio e supporto ai migranti Busy, le associazioni locali di Trapani, la Caritas, il giudice di pace e il capo dei carabinieri di Pantelleria.

L’ex caserma

È dall’inizio di agosto che, visti i numeri, a Pantelleria è sorto il primo centro accoglienza in (come accade solitamente) un’ex caserma dismessa. In questa isola, dove prima non esisteva alcuna struttura di hotspot, come invece è a Lampedusa, il luogo scelto ha subito cambiato utilizzo d’uso, trasformandosi da posto di accoglienza e cure sanitarie, di fatto, a un vero e proprio hotspot. Qui le persone dovrebbero rimanere 24 massimo 48 ore, nei mesi estivi invece si è rimasti bloccati fino a trenta giorni.

In questo ex luogo militare che dovrebbe essere di breve transito, di fatto chi arriva viene recluso e privato della possibilità di poter accedere alle informazioni che gli consentirebbero, come previsto dalle leggi, di esercitare il proprio diritto di richiedere asilo o protezione subito dopo lo sbarco.

Basti pensare che, al momento dell’arrivo, i fogli notizie di identificazione vengono fatti compilare dal cittadino straniero appena approdato, e poi controfirmare dal mediatore e operatore delle forze dell’ordine, senza alcuna informazione sulle prassi. Non è dunque certo un caso se, da luglio 2021 a febbraio 2022, da Pantelleria non è pervenuta alcuna richiesta d’asilo al momento dello sbarco, nonostante la legge preveda la possibilità di farlo da subito.

L’ex caserma Barone, consegnata alla prefettura di Trapani ma gestita da due associazioni locali, è poi sprovvista di un regolamento scritto che ne definisce la configurazione giuridica. I 28 posti che la compongono, sono del tutto insufficienti alla crisi raccontata dal governo. Tant’è vero che all’esterno sono state piantate tre tende da otto posti ciascuna, che non riescono comunque a far fronte ai numeri. Da fuori, a sentire la gente del posto, la caserma sembra chiusa. La vigilanza interna infatti non permette alle persone migranti di uscire fuori dall’edificio.

Dalla Caserma al Cpr

Dall’isola, attraverso le navi di linea, debitamente scortati da forze dell’ordine, i migranti raggiungono Trapani. Qua, secondo quanto riferito dalla questura della città alla delegazione Asgi, le procedure di fotosegnalazione nel Cpr di Milo durano in media 15 minuti a persona. Ma poiché le singole posizioni vengono definite solo dopo che la procedura è conclusa per tutte le persone presenti allo sbarco, si finisce per rimanere fermi fino a quattro ore.

Il che vuol dire che spesso, sopravvenendo la notte, si dorme dentro il Cpr ancor prima che il fermo per il rimpatrio sia stabilito e vi sia una disposizione di convalida dell’espulsione. Con la conseguente (come sempre più spesso accade in queste strutture) sottrazione dei propri oggetti personali e cellulari.

In tutto questo tempo, spesso i minori stranieri non accompagnati (msna), che hanno diritto a una accoglienza straordinaria e separata dagli adulti, continuano a essere in una condizione di promiscuità, sia che siano maschi sia che siano femmine.

Anche le norme Covid, in questo ultimo anno, sono state del tutto ignorate: le persone migranti risultate positive al tampone non venivano allontanate dalle altre, il che ha voluto dire dover riiniziare il tempo di quarantena a ogni nuova positività all’interno del gruppo. Tra luglio/agosto 2021 si è arrivati fino a 40 giorni di isolamento Covid per gruppi di 4/5 persone.

Alla luce delle interviste alle persone incontrate nel tempo del sopralluogo dell’isola ma non del centro, la delegazione Asgi tra i profili di maggiore criticità, ha sottolineato «le pratiche di detenzione illegittima e gli ostacoli all’accesso al diritto di difesa; le pratiche di ostacolo all’accesso alla richiesta di asilo; la violazione della libertà di corrispondenza telefonica, alla luce del sequestro del telefono delle persone in arrivo che permangono in una condizione di totale isolamento, e le condizioni di trattenimento inadeguate e di promiscuità, con riferimento ai msna senza alcuna distinzione di genere».

Rassesgna Stampa, Fonte da Nigrizia.it