Terra di chiaroscuri, la cultura indica una strada
Cento Sicilie ci raccontava Gesualdo Bufalino in un testo anni addietro e la settimana appena trascorsa ha dato lo spunto - nel caso ce ne fosse la necessità - di cosa la cultura è in grado di fare e di raccontare. Le cose belle a volte in tv, le trasmettono in tarda serata e comodamente sul divano ho atteso l’ora X per vedere Cùntami (domenica 13 novembre) un documentario firmato da Giovanna Taviani andato in onda su Rai Uno nello Speciale del TG1; il 15 novembre in libreria è uscito per i tipi di Sellerio editore Palermo_L’isola nuova - trent’anni di scritture di Sicilia - antologia curata da un amico caro Gaetano Savatteri. Al cinema, da circa tre settimane il film più visto è quello firmato da Roberto Andò_La stranezza_
E’ distopia o realtà? Realtà, raccontata da una curvatura di sana Sicilia che parla a tutti con i suoi vettori e c’è la finzione (il cinema), il racconto la poesia, il saggio, il teatro, c’è un mondo che produce pensieri diversi e tutti con un comune denominatore quel meraviglioso cappello a tre punte che è la nostra Isola.
Non farò recensioni (non è la mia tazza di te) al documentario della Taviani, alla antologia pubblicata da Sellerio o al film di Andò, mi limito sommessamente a osservare come questa regione - da sempre - produca e indichi strade nuove; anni fa notavo con nel campo della fotografia (ebbene si anche in questo ambito) la compagine di fotografi - per semplicità dagli anni ’50 in poi - è stata protagonista non solo in Italia ma nel mondo, di una vera e propria scuola: la scuola non c’è mai stata in verità, ma talenti autentici in così poco spazio di fatto hanno elevato la narrazione da stereotipo a storia, a stile spesso da emulare.
Sicilia, quella bella diversa che naviga sempre su di un filo impercettibile tra l’immaginifico e il baratro e spesso quest’ultimo causato da persone che a vario titolo non amano affatto la propria terra (altrimenti non staremmo così, credo). Ecco tra i due opposti, registro le voci meravigliose di sopra come normalità, fatta di donne uomini che da sempre remano in una sola direzione, scrollandosi di dosso un vecchiume di idee di dire di fare e di andare oltre all’odiosa anormalità normale che moltissimi vivono forse anche consapevolmente.
Dichiaratamente sono nella squadra di
Non ne posso più di Verga, di Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia. Non ne posso più di vinti; di uno, nessuno e centomila; di gattopardi; di uomini, mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. E sono stanco di Godfather, prima e seconda parte, di Sedotta e abbandonata, di Divorzio all’italiana, di marescialli sudati e baroni in lino bianco. Non ne posso più della Sicilia. Non quella reale, ché ancora mi piace percorrerla con la stessa frenesia che afferrava Vincenzo Consolo ad ogni suo ritorno. Non ne posso più della Sicilia immaginaria, costruita e ricostruita dai libri, dai film, dalla fotografia in bianco e nero. Oggi c’è una Sicilia diversa. Basta solo raccontarla.
Sono pensieri volutamente provocatori che ho tratto dalla quarta di copertina di un saggio del 2017 di Gaetano Savatteri (Non c’è più la Sicilia di una volta_Laterza), e mai come oggi sentiamo tutti la necessità di un passo di lato e di una visione diversa. Per anni (troppi) siamo stati il paradigma di ipotesi politiche di cambiamenti di metafora e forse oggi “dopo il1992” - e superata la sbornia dei ricordi e dei murales - possiamo staccarci da terra e non guardare l’ombra ma una realtà fresca diversa che passa solo ed unicamente per la cultura; mettendoci allo specchio, raccontiamo forme di una comunità che cambia, che non si guarda più indietro e che nel caso de documentario Cùntami rinnova la forza delle storie popolari per fare leva su domani decisamente diversi: la tradizione al servizio dell’innovazione .
Quanto sopra è decisamente nuovo, segno di un cambiamento nelle cose e mi sforzo di capire a volte come la politica sia rimasta terribilmente ferma nelle maglie di una rete da lei stessa creata: una distopia protetta per mantenere rendite di non so quali posizioni sta condannando i nostri figli a ripercorrere le strade degli avi con biglietti di solo andata in cerca di miglior fortuna. Come non capire ciò? E come insistere in ragionamenti vacui quando lo scenario e i numeri non ammettono appello a quest’operato senza se e senza che si perpetua da anni.
Siamo terra di chiaro_scuro, di scoglio_mare aperto e in questo mai cercare la terra di mezzo la Cultura indica da tempo una strada, e la politica noi che la votiamo la classe dirigente, dovrebbero prendere semplicemente appunti con umiltà e seguire questa direzione di visione. Siamo una Sicilia nuova, con scritture nuove con il desiderio fortissimo di restare e raccontare qualcosa di contemporaneo che l’oggi non ci dà.
Chi vive di scrittura di cinema di teatro va oltre ha la visionarietà e dimostra spesso rara capacità di analisi, che traduce nelle proprie opere e la chiusura di questi pensieri con i versi di una canzone bellissima di Elisa cantata con Francesco De Gregori, restituiscono la meraviglia di quella pazzia, ricercata dai più come catarsi
Siamo quelli che guardano una precisa stella in mezzo a milioni
Quelli che di notte luci spente e finestre chiuse
Non se ne vanno da sotto i portoni
Quelli che anche voi chissà quante volte
Ci avete preso per dei coglioni
Ma quando siete stanchi e senza neanche una voglia
Siamo noi quei pazzi che venite a cercare
giuseppe prode
p.s.
Albert Camus ci ricorda che la Cultura è l’urlo degli uomini in faccia al loro destino, aggiungo che siamo ancora in pochi a far sentire quest’urlo di cambiamento, e non possiamo continuare a giocare con un tempo diventato sempre più veloce. Siamo indietro e rischiamo di restarci.
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