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22/03/2023 06:00:00

Castelvetrano. Il caso Laura Bonafede e il “clamore mediatico”

 10 giorni di sospensione dalla scuola per Laura Bonafede, l’insegnante d’asilo figlia del capomafia di Campobello di Mazara Leonardo Bonafede ormai deceduto e moglie dell’ergastolano Salvatore Gentile. Oggi è indagata per mafia insieme ai cosiddetti vivandieri di Messina Denaro e ad altre tre persone che frequentavano la casa dove l'ex latitante trascorreva il suo tempo a pranzo e a cena.

Dopo che giornali e tv hanno  parlato dei suoi contatti epistolari e personali col boss di Castelvetrano durante la latitanza, è spuntato questo provvedimento adottato dalla preside Vania Stallone, “in considerazione della vasta eco mediatica suscitata dal  legame dell’insegnante – ha precisato la preside - con il boss mafioso Matteo Messina Denaro e al fine di tutelare l’immagine della scuola e di garantire il sereno svolgimento dell’attività scolastica”.

 

Il direttore dell’Ufficio scolastico regionale Giuseppe Pierro ha ratificato il provvedimento e ha  chiesto all’Autorità giudiziaria la documentazione necessaria per poter avviare invece un procedimento disciplinare vero e proprio. L’assessore regionale all’Istruzione, Mimmo Turano, ha annunciato che scriverà al ministro Valditara affinché “questa persona non abbia più alcun contatto con il mondo della scuola, tenuto conto del clamore negativo e del turbamento che il provvedimento giudiziario a suo carico ha suscitato nella collettività e in particolare nell’ambiente scolastico, e delle conseguenti ripercussioni sull’intera istituzione scolastica regionale di cui possono essere compromesse la credibilità e l’immagine”.

 

Non sono stati dunque i contatti col boss. E nemmeno l’inaccettabile condizione che ad insegnare ai bambini sia la moglie di un ergastolano, innamorata e gelosa del latitante col quale era in contatto, il motivo di questa sospensione cautelare. Niente di tutto questo.

Il problema è invece “il clamore mediatico”, in grado di adombrare l’immagine della scuola, “la vasta eco mediatica suscitata dal legame dell’insegnante col boss”.

C’è da credere che se questo legame si fosse limitato alla conoscenza delle sole forze dell’ordine, di qualche altro insegnante e della dirigente, forse si sarebbe andati avanti tranquillamente.

 

I giornalisti invece l’hanno saputo. Silvio Schembri di La7 ha intervistato più volte la preside, che non è stata in grado di dire a chiare lettere che la vita privata di quell’insegnante ci interessa eccome se si incontra con Matteo Messina Denaro e dimostra per lui anche un certo attaccamento, semplicemente perché nello stesso tempo ha a che fare con l’educazione dei bambini. Certo, non tocca alla preside prendere dei provvedimenti disciplinari, ma ci si sarebbe aspettati una qualche consapevolezza della gravità della cosa. Invece niente. Né nella prima intervista, né nella seconda. Ma nemmeno in un successivo comunicato stampa, in cui magari avrebbe potuto spiegare che cosa le fosse stato censurato dai giornalisti di La7, che ha accusato di essere dei mistificatori che avrebbero tagliato le parti migliori della sua intervista.

Ha detto che la sua disponibilità e fiducia nei loro confronti è finita. Ma quella nei confronti dei genitori dei bambini che frequentano la sua scuola? Almeno quella dovrebbe esserci ancora.

 

L’impressione è che se non ci fosse stato “clamore mediatico”, tutto sarebbe rimasto com’era. Come se mancassero le reazioni vere, quelle sentite. E che al loro posto ci siano i protocolli, le competenze istituzionali, i ruoli formali, le rilevanze penali accertate, le sedi opportune dove fare le domande. Come se mancasse quel coro di persone a dire: ma scherziamo? I nostri figli devono essere educati dalla figlia del boss di Campobello, moglie di un ergastolano e amica di Matteo Messina Denaro? E poco importa, se non ci sono ancora sentenze, l’abbiamo ripetuto tante volte, è questione di opportunità.

Il punto è che forse il territorio ha sempre avuto a che fare, in un modo o nell’altro, con parenti, fiancheggiatori o semplici simpatizzanti dei Messina Denaro. Tra padre e figlio hanno comandato per più di 60anni. Hanno intessuto relazioni, prodotto raccomandazioni, dato posti di lavoro, fatto favori, impresa, risolto problemi a chi si doveva operare e cercava uno bravo… Hanno perfino avuto la brillante idea di non vessare i negozietti col pizzo, aumentando il consenso.

 

Adesso che Matteo Messina Denaro è stato arrestato è difficile pensare che la mafia in provincia di Trapani sia stata sconfitta. La consapevolezza di una riorganizzazione o, peggio, di un  passaggio di consegne già avvenuto a causa della grave malattia che ha colpito il boss, non può che portare le persone che ricoprono dei ruoli per cui sono più esposti, ad essere caute. A temere.

E’ una reazione quasi fisiologica, visto che la rete imprenditoriale, massonica, istituzionale e politica di cui si è sempre parlato, in collegamento diretto o indiretto con l’ex superlatitante, non è stata ancora scalfita.

 

Egidio Morici