Sono quasi tutte al sud le regioni in forte difficoltà nel settore della sanità. E questo ben prima dell'approvazione della riforma sull'autonomia differenziata voluta dal governo Meloni. Una tendenza confermata dalla quotidiana migrazione dei residenti nel Mezzogiorno che preferiscono curarsi al nord. In Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Il disegno di legge firmato dal ministro Roberto Calderoli darà il colpo di grazia alla sanità meridionale.
Il presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, in un intervento pubblico ha sostenuto che sarà difficile capire come si muoverà «la mannaia dell'autonomia differenziata, senza definire e finanziare i livelli essenziali di prestazione». E allo stesso tempo ha sottolineato che la riforma è destinata «ad amplificare le disuguaglianze, legittimando normativamente il divario tra il nord e il sud del paese, violando il principio di uguaglianza nel diritto alla tutela della salute e assestando il colpo di grazia al sistema sanitario nazionale».
Anche lo Svimez ha lanciato un ulteriore avvertimento sulle conseguenze dell'autonomia sulla sanità: "Il finanziamento del Sistema sanitario nazionale non è la somma del costo dei Lea, ma è determinato a monte nella programmazione del bilancio pubblico, come è inevitabile per i vincoli di bilancio, e ripartito tra le regioni sulla base della dimensione della popolazione e della quota di anziani". Quindi, sottolinea l'associazione, si tratta di «un metodo che non tiene conto dei fattori socioeconomici che impattano sui fabbisogni di cura e assistenza. E finisce per penalizzare i cittadini delle regioni meridionali, che soffrono di minori servizi di cura per quantità e qualità".
Il giro di affari della mobilità sanitaria ammonta a 4,25 miliardi di euro con una crescita di oltre 1,2 miliardi di euro rispetto all'anno precedente, indice di un'offerta poco soddisfacente in molte regioni. Tutte del sud. Sono poi circa 800mila, ogni anno, le persone che si spostano dalla propria regione per curarsi; senza contare chi non ha la disponibilità economica per poterlo fare, rinunciando alle cure, escluso da ogni statistica.
L'Agenas ha annotato un altro dato: l'indice di "fuga" vede in testa il Molise (38,1 per cento), la Basilicata (34,6 per cento) e la Calabria (24 per cento).
Gli ultimi dati, messi a disposizione dalla Fondazione Gimbe, raccontano lo stato dell'arte. Tra le regioni del nord e quelle del sud c'è un ampio divario rispetto alle necessità. Nel 2021, le regioni con un importante saldo positivo (quanto costa lo spostamento dalle regioni) sulla mobilità sanitaria sono al nord. In testa spicca l'Emilia-Romagna (442 milioni di euro), seguita da Lombardia (271 milioni di euro) e Veneto (228 milioni di euro). Di contro, con un saldo negativo superiore ai 100 milioni di euro ci sono esclusivamente le regioni al centro-sud. La Sicilia spicca con un saldo negativo di ben 177 milioni di euro. Per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in mobilità, invece, il valore movimentato dal privato è di 301 milioni di euro, sullo stesso livello di quello erogato dal pubblico.
“Il punto nodale è il differenziale economico, ragione per la quale insistiamo sui Lep, da sempre - dichiara il deputato del PD Ricciardi a Domani - C'è un motivo se, le regioni del nord, da sempre, si rifiutano di superare il criterio della spesa storica”.
In pratica per le regioni del Nord avere un Sud “arretrato” è un business.