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09/03/2024 06:00:00

Il caro prezzo dell'insularità in Sicilia, aspettando il Ponte 

 È costoso il lusso di essere siciliani. Lo conferma il nuovo dossier preparato dall’Ufficio parlamentare di bilancio per la commissione bicamerale “per il contrasto degli svantaggi derivanti dall’insularità”. Già, perché, anche se sembra un segreto di pochi, tra Camera e Senato è attiva una commissione che indaga e lavora sul tema. Attiva da cinque mesi, ha lo scopo di arrivare a proporre disegni di legge il più possibile condivisi tra maggioranza e opposizione per rendere concreta l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.


Dal 2022, infatti, l’articolo della Carta è integrato da un comma: “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”. E tra il dire e il fare, c’è di mezzo, appunto… una bicamerale.


Giusto per citare il primo dato che balza agli occhi (qui il rapporto completo) secondo le stime contenute nel rapporto e presentate ai parlamentari, se si riducessero i costi di trasporto, in sette anni il Pil della Sicilia aumenterebbe quasi del sette per cento.

Ma, tra basso Pil pro capite, disoccupazione, pochi laureati, servizi meno efficienti, l’elenco di quanto costa in termini economici e sociali vivere in un’isola è molto lungo.


I dati forniti da Istat e Banca d’Italia mostrano innanzitutto la distanza soprattutto con riferimento, dicevamo, al Pil procapite: in Sicilia vale il sessanta per cento della media italiana.

Altro tema sul tavolo: lo spopolamento. Sull’Isola viaggia a una velocità molto superiore al resto d’Italia e nei prossimi vent’anni la Sicilia potrebbe perdere oltre il dodici per cento degli abitanti. Poi ci sono meno laureati, un sistema economico fragile che offre pochi posti di lavoro, spesso non qualificati e nel diciotto per cento dei casi in nero.

Ancora: il dieci per cento dei siciliani ha difficoltà ad acquistare beni e servizi essenziali, il doppio della media italiana.

Il dato principale rimane comunque quella stima che fa gongolare il partito pro Ponte sullo Stretto: se si intervenisse in modo forte per ridurre i costi di trasporto per la Sicilia, in 7 anni il Pil regionale potrebbe aumentare quasi del sette per cento, ossia di sei miliardi.

La Sicilia rappresenta in questo senso un caso unico al mondo: è la sola isola sull’intero pianeta a essere separata da soli tre km di mare dal continente, ma senza alcun collegamento stabile. Secondo un altro studio, il costo di questo deficit è di 6,54 miliardi di euro (il 7,4% del Pil regionale). Se pensiamo che, i costi per la realizzazione del Ponte sullo Stretto si aggirano sui dodici-quattordici miliardi, in pratica, in pochi anni, l’infrastruttura permetterebbe alla Sicilia, regione con il costo dei trasporti più alto in Italia di recuperare l’investimento.

A corroborare i dati, sempre nella stessa ricerca, si evince che l’indice dei costi di trasporto della Sicilia è superiore a quello medio italiano del 50,7% ed è superiore a quello del resto del Sud Italia del 29,8%.

Il Ponte come panacea di tutti i mali dell’isola, allora? No, se si guarda alla disastrosa situazione interna. E lì bisogna abbandonare i corridoi del Parlamento, prendere un’auto e farsi un giro.

Cominciamo dall’autostrada A20 Palermo – Messina, che adesso costa, agli automobilisti, da Febbraio, il 2,3% in più di pedaggio. Percorrerla, significa fare un blitz continuo tra cantieri, rallentamenti, disagi. Attualmente, tra il capoluogo siciliano e la Città dello Stretto ci sono 20 cantieri. Il Cas, il Consorzio Autostrade Siciliane, che gestisce l’infrastruttura, ha messo le mani avanti. In una nota ha fatto sapere che per tutto il 2024 la situazione non migliorerà. Anzi, fino al 31 dicembre, sono attesi nuovi lavori di manutenzione ordinaria e correttiva, in “varie fasi e vari punti”, con relativa chiusura di carreggiate, svincoli e pertinenze. In tutto ciò, alcuni cantieri sono fermi, per le inchieste della magistratura siciliana che hanno coinvolto i vertici del Cas nelle diverse gestioni che si sono alternate negli anni. E si parla tanto di Ponte sullo Stretto, è vero, ma a molti siciliani basterebbe avere presto il ponte del Viadotto Ritiro, settanta metri di altezza, a Messina. La fine dei lavori è attesa da dodici anni. Si tratta di un’opera strategica, perché unisce l’autostrada Messina – Palermo, con la Messina – Catania. La consegna del viadotto (i lavori sono stati affidati alla Toto Costruzioni, trenta lavoratori con problemi enormi di pagamenti di salari e stipendi), tra un rinvio e l’altro era prevista per febbraio. È stata rinviata a giugno, ma ci credono in pochi. Ci sono infatti questioni irrisolte tra il consorzio e l’impresa di costruzioni. I sindacati, in particolare, esprimono scetticismo e temono un’altra estate di notevoli disagi per pendolari e turisti. Tutto comincia più di dieci anni fa, quando gli ingegneri dell’Università di Messina pubblicano una clamorosa inchiesta sul vecchio viadotto: su quaranta piloni, solo nove avrebbero retto a un terremoto. Da allora è cominciata questa storia lunga e travagliata, ancora non conclusa.

Dall’altra parte dell’Isola, nel Sud – Est, mancano i soldi, 499 milioni di euro, per completare l’autostrada Siracusa – Gela, nel tratto tra Modica e Scicli. Erano stati stanziati 350 milioni di euro, ma, passando gli anni, i prezzi sono stati aggiornati. Da lì la lievitazione dei costi e il nuovo rebus: dove trovare l’ulteriore finanziamento? Il progetto del lotto nove dell’autostrada risale al 2012. Poi ci sarebbero ancora da realizzare i lotti dieci e undici, ma su quelli siamo all’anno zero. La Regione tranquillizza i sindaci e le imprese che protestano, dicendo che in qualche modo i soldi si troveranno, ma anche in questo caso, lo scetticismo prevale.

Infine, l’autostrada che unisce le due principali città dell’Isola: la Palermo – Catania. Appena insediato, il governatore Renato Schifani, che prima probabilmente viaggiava in elicottero, si trovò a percorrere quell’autostrada e definì la situazione della sua manutenzione “offensiva”. Un anno e mezzo dopo, bisogna fare i conti con la realtà: una volta lo zimbello d’Italia era la famigerata autostrada Salerno – Reggio Calabria, definita da alcuni come “il corpo di reato più grande del mondo”. Oggi, invece, nel Sud Italia, l’autostrada A2 tra Campania e Calabria ha molti meno cantieri, in 400 chilometri, dell’autostrada siciliana (190 chilometri, tempo medio di percorrenza: due ore e quaranta minuti). Erano trenta nel 2023, oggi sono “solo” 19. Anche qui, c’è un ponte che è stato per anni un sogno: il Cinque Archi, poco prima di Caltanissetta. Ma almeno la storia è a lieto fine. Il viadotto, che presenta trentacinque campate per un’estensione complessiva di 1534 metri, è stato riaperto a fine 2023, dopo lavori costati quattro milioni di euro (il piano di manutenzione in corso lungo tutta l’autostrada prevede un investimento complessivo pari a un miliardo e 150 milioni di euro). Ma intanto è stata annunciata, tra le proteste di imprenditori e commercianti, la chiusura, per otto mesi, degli svincoli per Termini Imerese ed Enna. Avanti pianissimo. È l’insularità, bellezza.