Acqua a Trapani. Dissalatore: il recupero è troppo complicato. Ecco che si fa
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Trasformare l’acqua di mare in acqua potabile per affrontare la grave siccità che ha colpito la Sicilia. Questa una delle richieste avanzate in consiglio comunale a Trapani durante l’ultima seduta. Una soluzione a portata di mano per Trapani città dei due mari, e che a prima vista appare come una grandissima opportunità per dissetare i campi, mitigare l’afa e per ridurre l’incremento del livello del mare che avanza. Ma le cose stanno davvero così? Non parrebbe. Il dissalatore di nuova generazione verrebbe a gravare proprio sulle tasche dei cittadini, che finirebbero col pagarsi l’acqua oltre 3 volte a litro in più rispetto al costo dell’acqua fornita da Sicilacque.
Il dissalatore è ormai idea consolidata e diffusa in diverse parti del mondo ma, tra costi di implementazione, consumi energetici, al momento basati principalmente sui combustibili fossili, rimangono ancora punti controversi.
La situazione critica a Trapani
La creazione di un dissalatore di ultima generazione, oppure l’installazione di impianti per il recupero ed il riutilizzo delle acque piovane ovvero acque reflue urbane e industriali, nonché il riutilizzo per l’irrogazione delle acque depurate. Questi i punti della mozione proposta dalla maggioranza approvata in Consiglio Comunale durante la seduta straordinaria, indetta per affrontare la crisi idrica, e che contiene le richieste avanzate dalla maggioranza di governo alla Regione per affrontare la grave emergenza siccità che colpisce l’intera Sicilia, dove il razionamento dell’acqua è stato esteso anche all’acqua potabile.
Durante lo scorso consiglio comunale aperto sul tema della crisi, tema della seduta straordinaria voluta dai consiglieri d’opposizione è passata la mozione proposta dalla maggioranza di governo, all’interno della quale si propongono possibili soluzioni per affrontare l’emergenza siccità che affligge tutti i comuni.
La mozione, condivisa dal sindaco Giacomo Tranchida, è firmata da diversi consiglieri firmatari di maggioranza: Poma Giusy, Mazzeo Alberto, Carpinteri Giovanni, Briale Francesco, La Barbera Claudia, Peralta Giuseppe, Barbara Daniela, Genco Andrea, Grignano Angela, Patti Marzia, Cammareri Baldo, Passalacqua Giulia, Giovanni Parisi, Salvatore Daidone e Tumbarello Sonia. Mentre, come unico consigliere di opposizione, Nicola Lamia di Fratelli di Italia. A esporla in aula durante il consiglio straordinario è stato Giovanni Parisi, nel gruppo misto, e a riprenderla nell’ultimo consiglio è stata Marzia Patti, del Partito democratico.
“Al fine di affrontare con decisione questa emergenza idrica – dichiarano in una nota i consiglieri firmatari della mozione –, unitamente all’Amministrazione della città di Trapani, degli altri comuni ed alla governance dell’ATI Idrico oltre che a tutta la deputazione regionale della Provincia di Trapani, chiediamo alla Giunta Tranchida di farsi portavoce delle nostre istanze e di collaborare con il Governo Regionale per proporre soluzioni, quali, a mero titolo d’esempio, la creazione di un dissalatore di ultima generazione oppure l’installazione di impianti per il recupero ed il riutilizzo delle acque piovane ovvero acque reflue urbane ed industriali, nonché il riutilizzo per l’irrogazione delle acque depurate, affinché la Regione Siciliana si impegni per trovare le soluzioni alla grave carenza idrica che affligge Trapani e la Sicilia tutta, in un’ottica di sostenibilità”.
Conviene il dissalatore?
A Trapani il dissalatore c’è, anche se vandalizzato e abbandonato, ma ora si pensa a costruirne uno nuovo. Di ultima generazione, con l’obiettivo di fronteggiare la crisi idrica, ormai certificata anche dalla Regione. Mentre le perdite nelle condutture dei vari Comuni arrivano quasi al 50%.
Il dissalatore consente di prendere l’acqua dal mare e desalinizzarla. In questo modo Trapani e la sua provincia non dipenderebbero più soltanto dai pozzi di Bresciana o da Siciliacque, ma avrebbero una fonte alternativa in grado di integrare le normali forniture ed evitare che la popolazione resti per diversi periodi dell’anno senza rifornimento a causa delle continue rotture che si verificano.
Quello che chiede il Comune di Trapani, con a capo il sindaco Giacomo Tranchida, è la costruzione di un nuovo dissalatore. Nuovo perché a Trapani già ne è presente uno che, però, è stato abbandonato oltre dieci anni addietro a causa degli elevati costi di gestione. Per mantenere tutto l’impianto, prelevare l’acqua dal mare e renderla potabile, infatti, venivano spesi circa 30 milioni all’anno soltanto per il gasolio.
Senza considerare i problemi continui dovuti alle micro-interruzioni di energia elettrica che provocavano il momentaneo spegnimento dell’impianto stesso, con i tempi necessari per il suo riavvio. Tutto questo, quindi, ha consigliato la sua chiusura, lasciando oggi la mega-struttura, che sorge al confine tra l’area di sviluppo industriale e la riserva naturale di Trapani e Paceco, in balìa dei vandali, introdottisi spesso al suo interno per portare via ciò che ritenevano poi di poter vendere al mercato nero. Già, perché nel momento in cui è stata decisa la chiusura, nessuno ha pensato a cosa fare della struttura.
Recuperare oggi il dissalatore sembra pressoché impossibile e l’Ati, l’assemblea territoriale idrica della provincia, allarga subito le braccia per quanto riguarda i fondi necessari per la sua costruzione. Ma, soprattutto, una volta che si riuscissero a trovare i finanziamenti, si porrebbe un altro problema, quello legato alla spesa da sostenere per l’acqua.
Perché quella che oggi i Comuni comprano da Siciliacque ha un costo di 70 centesimi al metro cubo, mentre quella prodotta da un dissalatore si aggira tra i 2 e i 3 euro al metro cubo. “L’obiettivo è una tariffa sostenibile – spiega Francesco Gruppuso, presidente dell’Ati Trapani -, ma questi costi devono essere coperti”. E, quindi, per evitare un salasso per l’utenza finale, si renderebbe necessaria una strategia nazionale in grado di “ammortizzare” i costi. Perché, altrimenti, questi dovrebbero essere coperti esclusivamente dai cittadini che ricevono l’acqua a casa.
Per costruire un nuovo dissalatore occorrono circa 15 milioni di euro. Cifra impossibile per l’Ati idrico della provincia di Trapani che, infatti, non ha previsto nessun dissalatore nel proprio piano d’ambito. La somma totale immaginata per gli investimenti è di 850 milioni, ma “occorre provvedere ad alcuni tagli per interventi non sostenibili” ammette Gruppuso, il presidente dell'Ati idrico. Ecco che, quindi, la strategia appare una sola: chiedere l’intervento da parte della Regione o dello Stato. Solo con un una scelta operata dai due governi, centrale o regionale, sarebbe possibile riproporre nel Trapanese il dissalatore.
A parte tutto, poi, ci si scontra sempre con la realtà, perché c’è anche un altro problema non indifferente: le condizioni in cui si trova la rete idrica.
Quasi la metà dell’acqua immessa nelle condotte dei 25 Comuni della provincia, infatti, si perde prima di arrivare nelle case dei cittadini. Uno spreco enorme, anche se in diminuzione rispetto a qualche anno addietro. Solo nel capoluogo, infatti, nel 2016 l’allora sindaco Vito Damiano aveva reso pubblico un dato allarmante: il 60% dell’acqua dei trapanesi si perdeva lungo le condutture. Oggi, dopo diversi interventi, anche se a macchia di leopardo, e allargando il riferimento a tutto il territorio provinciale, la percentuale si è ridotta a poco meno del 50%. Numeri pur sempre enormi che testimoniano le grandi difficoltà che vive l’intero territorio provinciale, nel quale già si sono moltiplicate le ordinanze dei sindaci per un uso parsimonioso dell’acqua, al fine di preservarne il maggior quantitativo possibile. E questo quando l’estate è ancora lontana.
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