“e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare” (Dante Alighieri)
Un’improvvisa folata apre perentoriamente il più celebre libro di Pamela Lyndon Travers, ossia “Mary Poppins”, esordio dell’imperturbabile governante dalla “lucida chioma mera, grandi mani, grandi piedi e due piccoli occhi azzurri. Un po’ come una bambola olandese di legno”. È un vento orientale che arriva a Londra nel 1936 da una lontananza indefinibile e sconvolge, non solo meteorologicamente, il quieto e distinto Viale dei Ciliegi nelle prime pagine di un capitolo iniziale che s’intitola appunto “Vento da Est”. In realtà questo vento profetico spira da un altrove letterario tipicamente britannico. Si tratta del racconto di Arthur Conan Doyle “Il suo ultimo saluto” (1917), epilogo spionistico di Sherlock Holmes in cui si legge questo scambio di battute tra i due proverbiali detectives:
“ - Si sta levando un vento di est, Watson.
Non credo Holmes. Fa così caldo!
Caro vecchio Watson! Lei è l’unico punto immutabile in un’era che si chiude. Comunque, si sta levando un vento di est, un vento che l’Inghilterra sinora non conosce. Sarà un vento Gelido e pungente e molti di noi ne saranno falciati. Ma nondimeno esso è un vento di Dio, e quando la tempesta sarà passata si leverà nella luce del sole una terra più pura, migliore, più forte”.
Il vento che si leva è la tempesta della guerra e viene dalla Germania. La Travers è molto meno drammatica, ma al numero 17 del Viale dei Ciliegi annuncia l’arrivo, aereo e imprevedibile, di un personaggio fatidico per la famiglia Banks e soprattutto per le sorti della letteratura per ragazzi.
Non un vento di mattanza, ma tuttavia un vento che sconvolge e travolge fin dalle prime raffiche: “Appena la figura ebbe oltrepassato il cancello, sembrò che il vento la sollevasse, portandola in volo verso la casa. Fu come se l’avesse trascinata fino al cancello, avesse atteso che si aprisse e poi di nuovo soffiando avesse sollevato lei, la grande borsa e tutto fino alla soglia di casa. I bimbi, sempre protesi a guardare, udirono un terribile rumore e, come lei ebbe posto piede a terra, l’intera casa si scosse”.
L’arrivo di Mary Poppins in casa Banks al 17 di Viale dei Ciliegi è questo atterraggio buffo e tumultuoso che genera una sorta di terremoto nella quiete borghese di una Londra metodica e regolare.
Non porta la guerra, Mary Poppins, almeno quella degli eserciti e dei regni, ma la rivoluzione, quella sì.
Una rivoluzione gentile e al tempo stesso terribile, come la stessa istitutrice (che non si può guardare negli occhi e al tempo stesso disubbidirle). Almeno, finché il vento non sarà nuovamente cambiato. Altro non è dato sapere, ché Mary Poppins “non diceva nulla a nessuno”.
Eroina taciturna e occasionalmente lapidaria, Mary non è al servizio di nessuno (tanto meno dei confusi coniugi Banks) e s’impone a tutti con autoritaria autorevolezza senza mai esercitare alcuna coercizione, bensì con pedagogica e affascinante cortesia (specie quando arriccia graziosamente il naso). Il che non le impedisce di “dire sempre no” ai capricci, alle bizzarrie, ai non sensi, alle aberrazioni con una linea di condotta lineare e cristallina e tuttavia sovversiva dei luoghi comuni e delle convenzioni.
In tali radicali contestazioni consiste propriamente la sua autentica magia, che ha qualcosa di stregonesco e di sibillino, e che le consente di lievitare sopra le bassezze del più ovvio realismo, ricorrendo talora, alla bisogna, al prontuario contenuto nella sua inesauribile borsa.
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