Siccità, crisi infinita. A Mazara chiudono i B&B, flop dissalatori, agricoltori esasperati
Case senz’acqua per giorni, attività costrette a chiudere, agricoltori disperati che vedono morire gli agrumeti. La Sicilia continua a fare i conti con una crisi idrica che, nonostante annunci e investimenti milionari, resta lontana dall’essere risolta. Dalla provincia di Trapani fino all’Agrigentino, l’emergenza mostra tutte le sue contraddizioni: reti idriche vecchie e colabrodo, dissalatori che funzionano a mezzo servizio, proteste nei territori e ristori che non bastano a colmare i danni.
Mazara senz’acqua, chiudono i B&B
A Mazara del Vallo la situazione è ormai insostenibile. Da mesi i cittadini vivono tra turni infiniti e rubinetti a secco, soprattutto nei quartieri periferici e nella kasbah del centro storico. Qui le famiglie sono costrette a ricorrere quasi quotidianamente alle autobotti private, con costi che diventano insopportabili per le strutture ricettive. Diversi B&B hanno deciso di chiudere perché impossibilitati a garantire un servizio minimo agli ospiti.
La causa principale è la vetustà della rete idrica comunale, aggravata dai danni subiti dall’acquedotto Bresciana. Il Comune ha avviato lavori di manutenzione e riparazione, ma i risultati sono scarsi. «Stiamo lavorando a soluzioni immediate per ridurre i disagi», ha assicurato l’assessore ai Lavori Pubblici Vito Torrente, citando fondi e interventi su pozzi e centrali idriche. Ma intanto l’acqua non arriva e la città resta in sofferenza.
Dissalatori: promesse mancate, costi alti e incognite ambientali
Erano stati annunciati come la svolta contro la sete della Sicilia occidentale, consegnati in “tempi record” e con toni trionfali dal presidente Renato Schifani lo scorso giugno. Tre dissalatori mobili – a Gela, Porto Empedocle e Trapani – acquistati con un investimento da oltre 100 milioni di euro, di cui 90 messi a disposizione dal governo nazionale e 10 dalla Regione. Dovevano garantire circa 96 litri d’acqua al secondo ciascuno, per un totale di poco più di 130mila abitanti serviti: un numero irrisorio se si considera che la Sicilia conta quasi cinque milioni di residenti, a cui vanno aggiunti i turisti.
La realtà è ben diversa dagli slogan. A Gela l’impianto funziona regolarmente, ma a Porto Empedocle la produzione si è fermata a circa 60 litri al secondo e solo per dodici ore al giorno: di notte il dissalatore resta spento perché il rumore è insopportabile per i residenti. I lavori di insonorizzazione sono previsti, ma intanto la resa è dimezzata. Ancora peggio a Trapani, dove i “moduli potabilizzatori” non sono partiti: l’attivazione è stata rinviata ad ottobre per problemi tecnici legati alla scelta di installare l’impianto nell’area del vecchio dissalatore dismesso anni fa.
C’è poi un tema ambientale. I moduli di Trapani sono stati collocati in prossimità la Riserva naturale delle Saline di Trapani e Paceco, un’area di straordinaria importanza per la biodiversità, frequentata ogni anno da migliaia di uccelli migratori. Se a Porto Empedocle l’impianto è stato limitato per eccesso di rumore, qui l’impatto acustico potrebbe disturbare seriamente l’avifauna protetta. Ambientalisti e opposizioni chiedono chiarezza sulle autorizzazioni ambientali e su eventuali monitoraggi in corso.
Intanto gli esperti sottolineano un altro punto critico: anche se i dissalatori producessero al massimo delle loro capacità, l’acqua verrebbe comunque immessa in una rete idrica regionale che disperde oltre il 50% della risorsa per guasti e tubature fatiscenti. «La vera priorità era la manutenzione delle condotte, non l’acquisto di dissalatori costosissimi», denuncia Beppe Amato di Legambiente. Il risultato è che, mentre il governo regionale difende la scelta come parte di una strategia più ampia, i cittadini e le imprese siciliane continuano a convivere con turnazioni, autobotti e coltivazioni in sofferenza.
Ribera, la rivolta degli agricoltori
Intanto a Ribera, nell’Agrigentino, esplode la protesta degli agricoltori. In oltre 500 si sono riuniti nell’oratorio della chiesa di San Giovanni Bosco per chiedere acqua almeno dalla diga Castello. «Siamo disperati, le nostre piante rischiano di morire», ha denunciato Leonardo D’Angelo, presidente dell’associazione Liberi agricoltori di Ribera.
La richiesta è sostenuta anche dai sindaci e dai deputati regionali presenti all’assemblea. «La situazione per i nostri agrumeti è drammatica, serve una soluzione urgente», ha detto il capogruppo della Dc Carmelo Pace. La deputata forzista Margherita La Rocca Ruvolo ha annunciato l’impegno della Protezione civile a trovare i volumi d’acqua necessari. Ma i produttori non si fidano e minacciano una grande manifestazione di protesta se dalla cabina di regia regionale non arriveranno risposte concrete.
I ristori non bastano
Il governo nazionale ha intanto completato i pagamenti dei ristori per la siccità del 2024: 108,5 milioni di euro distribuiti ad aziende con danni superiori al 30%, soprattutto in Sicilia, Puglia e Basilicata. Grazie all’utilizzo di tecnologie satellitari e dati agrometeorologici, Agea ha individuato 774mila ettari eleggibili. «Abbiamo fatto presto e bene», ha rivendicato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.
Eppure, se i ristori hanno dato ossigeno immediato, non hanno risolto il problema strutturale: senza nuove condotte, manutenzione della rete e una pianificazione seria, il rischio è che la Sicilia si ritrovi ogni anno a fare i conti con la stessa emergenza.
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