comincio con un sforzo, e ti do del tu. A me viene difficile, perché sono sempre rispettoso delle forme, ma dalle parti dell’antimafia ci si dà delle confidenze, come dei compagni di lotta, anzi, come dei reduci, o dei sopravvissuti a piccoli e grandi disastri, e quindi, anche se ci conosciamo poco, si, ti do del tu.
Che poi mi viene difficile, perché un conto è scrivere “gentile onorevole Caterina Chinnici”, e quindi potrei arrivare subito al punto. Un conto è scrivere “Gentile Caterina”, o, peggio, “Cara Caterina”, confidenza eccessiva, ne convengo, che mi rimanda a mia nonna Caterina, detta Tina, in primis, e alla bella canzone di Francesco De Gregori, Caterina.
«E la vita Caterina, lo sai / Non è comoda per nessuno», canta De Gregori in quel brano, e tu lo sai bene Caterina, quanto è vero, per quello che hai dovuto passare, per il modo straziante in cui, con un’autobomba, la mafia uccise tuo padre Rocco, il magistrato ideatore del pool antimafia, a Palermo, nel 1983.
E dunque anche per questo hai scelto di fare la magistrata. E anche per questo hai scelto l’impegno in politica, come deputata e come assessora regionale, poi come candidata alle Elezioni Europee, prima nel 2014, e poi nel 2019, del Partito Democratico. Eletta con più di 100 mila preferenze in entrambe le occasioni.
Con grande ingenuità ti ho votato, allora, perché anche io, come tanti, sono caduto per anni nella trappola dei testimonial antimafia. Votiamo gli orfani, le vedove, i sopravvissuti. Votiamo gli eroi. Non è politica, è taumaturgia. Anche oggi, non c’è lista che non abbia, per le prossime Europee di giugno, un suo testimonial candidato: la figlia di una vittima, l’ex sbirro, l’ex testimone di giustizia, il perenne scortato, eccetera.
Poi, Caterina, sei stata candidata nella surreale campagna per la Presidenza della Regione Siciliana, a Settembre del 2022. Dico surreale perché il centrosinistra isolano aveva messo su una delle sue belle operazioni a perdere che conosciamo bene; ma tu, cara Caterina, ci hai messo del tuo. A volte mi sentivo come Nanni Moretti, in quel famoso film, ci pensi? «D’Alema, dì qualcosa». E io mi ritrovavo a seguire la tua campagna elettorale e dire, tra me e me, ad alta voce: «Chinnici dì qualcosa, reagisci … Dai, dì qualcosa, Chinnici, rispondi … Chinnici, dì una cosa di sinistra. Dì una cosa anche non di sinistra, di civiltà… Chinnici…, dì una cosa, dì qualcosa, reagisci… Non dobbiamo reagire, eh… Nervi saldi, dobbiamo rassicurare… A forza di rassicurare, ci arriva una bastonata il giorno delle elezioni…». E la bastonata in effetti è arrivata. Il centrosinistra ha perso in maniera clamorosa.
A proposito: una cosa l’hai detta. Volevi le liste “pulite”. Già la truppa era malconcia, e tu hai fatto una richiesta “espressa”, «in nome della legalità e che va in linea con una storia familiare declinata sul versante antimafia», riportano le veline del tempo. Mi colpì molto quel tuo aut aut per due ragioni: era in pratica la tua unica dichiarazione pubblica di rilievo, in quella calda estate, e poi era un ultimatum al Pd. Entro 24 ore volevi “liste senza ombre”, cioè candidati senza procedimenti penali in corso o condanne a vario titolo. Tra i mal di pancia, sei stata accontentata, con un piccolo esercito di candidati magari con pochi voti ma una fedina penale candida come un lenzuolo. È stato un allegro ma intonso precipitare.
È finita infatti com’è finita, Caterina. Neanche seconda sei arrivata, ma terza. Il centrodestra del “novissimo” Renato Schifani ha stravinto, non c’è stata partita.
Ti sei ricandidata alle Europee per le prossime elezioni di giugno, da capolista di Forza Italia, che ti porta in giro come un totem, come la Madonna pellegrina (lo faceva anche il centrosinistra, eh), come una specie di Pino Insegno dell’antimafia – se posso permettermi il paragone – quasi a dire: eh, vedete, anche noi adesso abbiamo i figli delle vittime, mica solo il centrosinistra, e qui abbiamo la Messi dell’antimafia, la fuoriclasse, nientemeno che la figlia di Rocco Chinnici, quello del pool. Tutto è sanato, potrebbero aggiungere, tutto è ricomposto, non siamo più figli di un Dio minore.
Da lì è stato tutto un gentile chiederti, nelle poche occasioni in cui è stato possibile, da parte di noi giornalisti: e come la mettiamo con la storia di Berlusconi e quei legami torbidi mai del tutto chiariti con la mafia, oppure con Marcello Dell’Utri e la sua condanna proprio per concorso esterno in associazione mafiosa? Tra l’altro, dagli archivi, spunta fuori anche questo passaggio delle motivazioni della condanna di Dell’Utri: «Vi è la prova che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento europeo nelle file dello stesso partito».
Oppure, come la mettiamo, Caterina, ad esempio con quel Totò Cuffaro primo motore onnipresente e immobile della politica siciliana e della maggioranza di centrodestra? A essere onesti, Cuffaro ha scontato la sua pena, ha la sua “agibilità” politica, alla fin fine. Ma tu lì hai avuto un rigurgito, e hai detto no: «Cuffaro non può mica anche lui entrare in Forza Italia con la sua nuova Dc. O io o lui» (i tuoi modi sono più eleganti, io ho fatto una spietata sintesi). E infatti i candidati di Cuffaro non hanno trovato posto in Forza Italia. Lui ha fatto il giro delle sette chiese, ma è rimasto senza una lista dove candidare qualcuno dei suoi, respinto da Matteo Renzi come da Matteo Salvini. Brava Caterina.
Solo che, nelle ultime 48 ore, sono accadute due cose. La prima è che Totò Cuffaro, che è una vecchia volpe, alla fine, un modo per cadere in piedi lo ha trovato. E ha annunciato di aver chiuso un accordo per l’appoggio esterno proprio a Forza Italia, e in particolare a un suo candidato, Massimo Dell’Utri (beffardo omonimo del più noto ex senatore bibliofilo condannato per mafia), espressione di Noi Moderati, il partito, tra l’altro del presidente della Liguria,Toti. Quindi, Cuffaro è con Forza Italia, alla fine, Caterina. Conta di portare al suo candidato, dice, almeno cinquantamila voti, per vendicarsi di tutti quelli che in queste settimane di trattative lo hanno “schifiato”.
E poi, ieri, è stato annunciato un endorsement alla tua candidatura, quello di Gianfranco Miccichè, il vicerè di Berlusconi in Sicilia, per anni, oggi esule in Forza Italia, che ti ha organizzato una bella e partecipata manifestazione a Palermo con tanto di foto di rito. Su Micciché potremmo scrivere tanto. Qui mi limito a ricordare di quando non voleva che l’aeroporto di Palermo fosse intitolato a Falcone e Borsellino perché per lui era sbagliato e rappresentava una cattiva pubblicità per la Sicilia.
Il cerchio dunque si è chiuso. Tu sei in Forza Italia, Cuffaro vota Forza Italia, pure Miccichè vota per te. La tua rielezione a Bruxelles avverrà, in pratica, in carrozza (salvo che Cuffaro ti faccia lo scherzo con il suo Dell’Utri). Male che vada, i rumor dicono che Tajani e Schifani ti appoggeranno come membro laico del Csm in quota Forza Italia.
E io mi sono perso, devo dirti. Mi sento preso in giro. Un po’ troppo. Perché io non ho capito nulla della vita, ci mancherebbe, ma anche del potere, allora. Della mafia ho capito qualcosa, di ciò che chiamiamo “antimafia” no. Ecco, perché ti scrivo, perché questo mio disorientamento è ormai una labirintite. E quindi la mia è una lettera inutile, perché, sei un po’ per me come la Caterina di De Gregori: «Ma se soltanto per un attimo / Potessi averti accanto /Forse non ti direi niente /Ma ti guarderei soltanto».
Ho solo da guardare, sono rimasto senza parole, in effetti.
Forse è il giusto contrappasso che deve vivere uno come me che nella vita ha sempre lottato contro la retorica dei simboli e degli eroi.
A proposito di simboli, hai presente l’albero di Falcone? È il ficus che si trova vicino l’abitazione palermitana del giudice Giovanni Falcone. Dopo la sua morte è diventato, anche lui, un totem, meta di pellegrinaggi da tutta Italia. Le scuole organizzano girotondi intorno all’albero, qualcuno appende pensieri per i morti di mafia, i turisti lasciano fiori e candele.
Pare che l’albero sia malato. Ci sono andati degli esperti del Comune di Palermo, qualche giorno fa, per capire il da farsi. Di notte lo hanno potato e stabilizzato. Sono passato a vederlo. Senza i bigliettini, i fiori e le candele, appare per quello che è: un povero inconsapevole ficus, nella trafficatissima Via Notarbatolo, costretto nello spazio angusto di un quadrato di terra, circondato dal cemento. Rischia di cadere da un momento all’altro.
Io la proposta l’avrei. L’albero va marcendo. Come la mafia, come me, te, tutti, è destinato a morire. Sostituiamolo allora con un albero di plastica. Che ne dici?
La plastica, se ci pensi, è il vero simbolo del nostro tempo. Questa, come recita il titolo di un bel libro pubblicato dal Saggiatore, sarà ricordata come l’era del “plasticene”.
Siamo circondati dalla plastica. Invade tutto. È la cifra della nostra contemporaneità.
E allora perché non arrenderci?
Facciamo di plastica, l’albero di Falcone.
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