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18/04/2024 06:00:00

  Così la mafia trapanese voleva tornare a fare affari con i supermercati

 La mafia trapanese voleva tornare nel business della grande distribuzione. Voleva tornare a comprare supermercati. Un vecchio interesse criminale delle cosche e di chi è stato vicino a Matteo Messina Denaro ai tempi della Despar e della società con Giuseppe Grigoli.


15 anni dopo nel mirino erano finiti 12 supermercati a marchio Coop. A rilevarli sarebbe stata una società intestata a insospettabili. Poi l’affare è sfumato.

E’ quanto è emerso dall’inchiesta antimafia che nei giorni scorsi ha portato all’arresto di 11 persone e che ha svelato intrecci imprenditoriali e finanziari di alcuni mafiosi fedelissimi a Matteo Messina Denaro.


Il marchio Coop era diventato un pallino per Salvatore Angelo, 75 anni, imprenditore, che ha scontato una condanna per mafia e poi è tornato in libertà. Pochi mesi dopo, nell’estate 2020 attraverso società e soci occulti prova la scalata.
La “Coop alleanza 3.0", proprietaria dei punti vendita, scelse però di cederli al Gruppo Radenza, ritenuto maggiormente affidabile dal punto di vista finanziario.


I FRATELLI PALMERI
L’affare il gruppo criminale lo voleva fare con la società “Grande distribuzione Sicilia srl”, costituita nel luglio 2020 dai fratelli Francesco Paolo e Leonardo Palmeri, insospettabili operatori economici arrestati due giorni fa. La Procura di Palermo contesta il reato di riciclaggio al primo, mentre entrambi devono difendersi dall’accusa di tra sferimento fraudolento di valori e impiego di beni e utilità di provenienza illecita.

LE TRATTATIVE
Le intercettazioni hanno permesso di ricostruire le trattative alla base del tentativo di acquisizione.
Un affare che faceva gola molti, come i mafiosi palermitani: Vincenzo Lo Piccolo e Michele Mondino. Coinvolto nell’indagine anche Giovanni Beltrallo e Bartolomeo Anzalone. Quest’ultimo sarebbe stato molto vicino a Mimmo Scimonelli, fedelissimo di Messina Denaro. Anzalone veniva definito il "ministro degli esteri” e avrebbe curato, assieme ai Palmeri, il versante politico dell’operazione. Erano, infatti, riusciti ad avvicinare il senatore Davide Faraone. Nel corso di un incontro tentarono di avere una “copertura politica” e convincere il politico a mettere la buona parola per la riuscita dell’affare.
Ma Faraone fece sapere di non essere intenzionato a fornire il proprio appoggio.

 

 

L’INTIMIDAZIONE AL CONCORRENTE
I mafiosi e i loro complici volevano eliminare la concorrenza dell'imprenditore Maurizio Calaciura. Anzalone pensò all'intimidazione, ma poi la scartò per il rischio di indagini che avrebbero mandato in fumo l’affare. Considerò anche l'utilizzo di una bomba, ma alla fine preferì non agire.
Anzalone sospettava anche di essere seguito dai carabinieri del Ros che cercavano Messina Denaro. Pensava che lo stessero pedinando perché convinti che li potesse portare all’allora super latitante.


“PIATTAFORMA MESSINA DENARO”
I fratelli Palmeri, insieme ai loro soci, erano fiduciosi di concludere l'acquisizione dei supermercati Coop. La trattativa era in fase avanzata e stavano per firmare l'atto notarile.
Per nascondere i loro legami con la mafia, i Palmeri volevano registrare la società di acquisizione a Milano.
Un altro loro obiettivo era rilevare l'ex deposito Despar di Trapani. A tal fine, avevano incontrato la segretaria regionale della Cisl, Mimma Calabrò, per discutere l'affitto del deposito dal tribunale.


Dietro l'operazione si celava l'ombra di Matteo Messina Denaro, latitante da anni, secondo gli investigatori. I Palmeri, infatti, chiamavano l'operazione la "piattaforma Messina Denaro" e avevano come soci la famiglia mafiosa Anzalone e un investitore varesino.


Un intreccio che però non piaceva alla “Coop alleanza 3.0", proprietaria dei punti vendita, che scelse di cedere i supermercati al Gruppo Radenza, e ha mandato all'aria i piani delle cosche.