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05/03/2013 05:51:57

L'omicidio di Don Michele/1. Viaggio tra i fantasmi di Ummari, il borgo agricolo alle porte di Trapani

Una scuola abbandonata, una delegazione comunale chiusa, un ufficio postale con scartoffie, un tabacchino fatiscente. Dietro, il vuoto della campagna. Intorno, case di contadini e coltivatori, coloni. Ed in effetti una colonia è Ummari. Idea novecentesca, mussoliniana: creiamo i borghi in campagna, le cittadelle utopiche, con il minimo indispensabile - che è appunto già il massimo in Sicilia - e diamo ai contadini un centro, dei servizi. Nascono così in Sicilia le colonie, fatte costruire durante il fascismo, diventati centri di vita, poi abbandonate progressivamente di pari passo con l’addio alla campagna, e oggi diventate set cinematografici per western fatti in casa, luoghi che mettono malinconia e paura, luoghi di spettri, appunto, monumenti dell’archeologia agricola fascista. Il Borgo “Livio Bassi” di Ummari nasce nel 1940. Progettato dall’architetto Sansone, come il vicino Borgo Fazio, verrà terminato solo nel dopoguerra. E’ composto da sette corpi di fabbrica. Un arco, un viale, gli uffici, una piazzetta. E la chiesa. Dedicata a “Maria SS di Trapani e S. Giuseppe Sposo dell’Immacolata Vergine”, costruita nel 1943, ed “elevata a parrocchia” nel 1948.
Il borgo, come la chiesa, è stato realizzato dall’Ente di Sviluppo Agricolo; la sua proprietà è passata nel 1984 al Comune di Trapani. Fino a pochi anni fa ci abitavano ancora dieci famiglie. Fino alle scorse elezioni regionali, ad Ottobre, nei giorni delle votazioni la scuola si apriva, e diventava sede di seggio elettorale (adesso tutti gli abitanti di Ummari votano nella vicina contrada Fulgatore).

Ci sono i fantasmi, al Borgo Livio Bassi. Nelle case abbandonate ci sono bambole senza testa, scarpe di bambini, mobili sfondati, ombre di vite quotidiane che qui sono state spese; nei piccoli giardini sul retro palme mozzate dal punteruolo, abbeveratoi mangiati dall’umidità, cani randagi che bivaccano. 
Ci sono i fantasmi, ad Ummari.
E adesso, c’è anche il fantasma di Don Michele.
Era il prete di Ummari. L’unico abitante del borgo Livio Bassi. Lì diceva messa, per i fedeli della contrada, e lì viveva, giorno e notte, nella piccola canonica, in due stanzette al primo piano. Un cucinino e un lettino. Il minimo indispensabile. E’ stato assassinato nella notte tra lunedì 25 e martedì 26 Febbraio, nel sonno. Qualcuno gli ha fracassato il cranio con cinque, forse sette, colpi in testa. Una pietra, più probabilmente un asse di legno: l’arma del delitto non è ancora stata trovata.
Il suo cadavere è stato scoperto solo l’indomani nel primo pomeriggio. La sorella Pina lo aspettava a pranzo, a Calatafimi Segesta, lui non veniva. Allora il marito, Vito Accardo, preoccupato, ha rintracciato un agente di commercio che vive lì vicino, e ha mandato a cercarlo. Lo ha trovato nel suo letto, la testa sconquassata dai colpi, sangue dappertutto.
Così è morto Don Michele Di Stefano, 79 anni, l’ultimo abitante di Borgo Livio Bassi.
Che, per inciso, lì ci viveva benissimo. Don Michele era un prete famoso, nel suo piccolo, e non solo in zona. Originario di Calatafimi, la sua famiglia è molto nota, il fratello è stato anche Sindaco della cittadina.

Era, davvero, il classico prete di campagna. Le mani grandi, la zappa in mano. Era più facile vederlo in pantaloncini che in tonaca. Aiutava tutti, da queste parti, si batteva per migliorare le condizioni dei lavoratori dei campi, dei piccoli proprietari terrieri. A Fulgatore, la contrada vicino ad Ummari, gli volevano tutti bene. E’ stato il prete della frazione per 40 anni. Ha fatto costruire un anfiteatro, ha organizzato tante attività. Ha battezzato e sposato due generazioni di trapanesi. Tant’è che quando, qualche anno fa, il Vescovo di Trapani, Francesco Miccichè, ne ordinò il trasferimento ad Ummari - nel quadro di una normale rotazione di sacerdoti - quel chilometro di distanza sembrò agli abitanti una specie di smacco, si sfiorò quasi la ribellione popolare. Poi, però, la scelta fece tutti contenti. Primo, Don Michele, che viveva il borgo abbandonato come il suo regno, il suo presepe: “Non ho paura - diceva sempre - perché non sono mai solo”. Poi, gli abitanti di Ummari, perché Don Michele, grazie alle sue conoscenze e alla sua passione, era riuscito in pochi anni a rimettere in sesto la chiesetta di Ummari, a rifare il prospetto ed il sagrato, a far rinascere un poco il giardino. Anche il campo di calcetto che c’è all’ingresso del borgo dicono che sia opera sua. E, dunque, succedeva questo: che tutti i fine settimana, il borgo si rianimava, le macchine posteggiate sul sagrato, tanta gente a messa, e tanta che si fermava dopo la funzione, a scambiare due chiacchiere con il prete, a fare un giro, a dare un mano. A Natale c'era il presepe, per l'Epifania l'arrivo dei Magi lungo la strada statale con il Sindaco e la banda. E poi i concerti del coro, le benedizioni dei raccolti.

(1 - continua)