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14/03/2013 08:16:00

Rivoluzione a San Pietro

Questo significato del Conclave, che ha appreso fino in fondo il "mistero" dell'impotenza coraggiosa di Ratzinger, è stato potenziato ed ampliato dalle primissime mosse del nuovo Papa, ben consapevole fin dal suo apparire sulla Loggia di San Pietro della necessità di una rottura con un mondo e un modello di potere che ha finito per imprigionare se stesso, fino a consumare la stessa azione di Ratzinger, in una sovranità infine esausta perché immobile. Bergoglio infatti nelle sue prime parole non si è mai definito Papa (cioè sovrano e Vicario di Cristo) ma vescovo, quindi pastore, e ha annunciato che il vescovo di Roma e il suo popolo cammineranno insieme.
Un richiamo quasi giovanneo, tanti anni dopo, un conferimento della maestà alla comunità cristiana, una suggestione di collegialità, in quell'invito insistito e convinto  -  prima della benedizione apostolica del Pontefice ai fedeli  -  alla preghiera della piazza e del mondo per il Papa, per non lasciarlo solo, per dargli quella forza che deriva certo da Dio per chi crede, ma anche dalla convinta e fraterna partecipazione del popolo cristiano. Mentre questa preghiera avveniva in silenzio, per la prima volta durante il rito solenne dell'Habemus Papam Jorge Bergoglio ha curvato la maestà papale verso la folla, nell'umiltà di un inchino del Sommo Pontefice che sulla Loggia non si era mai visto.

Tutto questo senza titubanze e cedimenti, ma con la sicurezza spontanea di chi si sente pronto, il sorriso di chi chiede aiuto non per timore, ma per scelta. E la prova più grande di questa umiltà personale unita all'ambizione del cambiamento viene dalla scelta del nome, che nessun Papa aveva mai osato pronunciare per sé come successore di Pietro: Francesco. Un nome che è un progetto e un vincolo per il pontificato, quasi la denuncia programmatica della necessità di un gesto estremo, un ritorno alle origini, al Vangelo, all'Annuncio, alla missione di una Chiesa disincarnata dal potere e dalle sue pompe.

Quasi un punto e a capo, nella scelta di un nome che non ha precedenti nella lunga storia del pontificato, e che suona come una promessa agli ultimi e una minaccia ai potenti. L'indicazione di un Papa che sa di dover camminare tra i lupi, che è pronto a spogliare il Vaticano dei suoi ricchi mantelli, che proverà a rinunciare alle ricchezze occulte dello Ior, che testimonierà col solo risuonare del suo nome nei Sacri Palazzi quel sogno che spinse il frate di Assisi a Roma da Innocenzo III, dopo aver avuto la visione terribile del Laterano  -  sede del Papato  -  che minacciava di crollare disfacendosi.

E' come se il Papa, già anziano nei suoi 76 anni, sentisse di non avere molto tempo di fronte all'irreparabile, la consunzione del ruolo della Chiesa attraverso gli scandali, le lotte di potere, i corvi, i peccati di Curia contro il sesto e il settimo comandamento, la rete di ricatti che da tutto ciò è cresciuta, avviluppando il visibile e l'invisibile della potestà vaticana e deturpandone il volto, come dice l'ultima drammatica denuncia di Ratzinger dopo la rinuncia. Papa Francesco potrà essere soltanto un uomo di rottura con questo viluppo di bassi poteri. Nel segno della preghiera come affidamento, della sobrietà come obbligo di coerenza coi valori di fede, della povertà come scelta. Quella croce semplice, di metallo su una veste tutta bianca era già la conferma di uno stile diverso anche per il Capo della Chiesa cattolica. In coerenza con la predicazione pratica del vescovo di Buenos Aires, ortodosso e fermo nella dottrina (la fede in Cristo come "alleanza" non solo "informativa ma performativa", perché non è un semplice annuncio, ma un cambiamento di tutta la vita), rivoluzionario nella scelta di stare dalla parte degli ultimi, dei più poveri, degli sconfitti e degli "schiavi", nella convinzione che su questo si svolgerà il Giudizio nell'ultimo giorno.

Questo avvento di pontificato che ribalta evidentemente la geopolitica eurocentrica della Chiesa, probabilmente grazie ad una convergenza su Bergoglio dei cardinali americani, avviene dunque nella scelta di un nome che è una profezia di cambiamento, come se dopo l'immediata preghiera con la piazza per Joseph Ratzinger il nuovo pontefice avesse fretta di voltare pagina. Il rinnovamento ha naturalmente un costo. Papa Francesco dovrà capire che nei suoi doveri universali c'è anche quello della piena trasparenza sui suoi rapporti con la dittatura militare argentina, sugli scandali di compromissione che lo hanno chiamato in causa come gesuita in vicende mai chiarite. Dovrà farlo per avere le mani libere. E poi, non potrà tornare indietro rispetto alla novità che rappresenta, al mondo finito che lo ha preceduto, alle necessità di rinnovamento dell'istituzione cristiana, al rapporto tra l'universalità della Chiesa e la chiusura del Vaticano. Al peso, al dovere e all'obbligo che deriva dalla scelta di chiamarsi Francesco.

Ezio Mauro - 'La Repubblica' del 14 marzo 2013