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01/02/2015 09:21:00

Intervista al pastore valdese


La Chiesa Valdese di Trapani-Marsala dal mese di novembre 2014 ha un nuovo pastore, Eleonora Natoli.

      Franco D'Amico le ha rivolto alcune domande. 

    

     Che cosa significa essere pastore della Chiesa Valdese? 

Essere pastore significa aver messo al centro della propria vita Dio nel suo messaggio di salvezza in Cristo. Ma questa consapevolezza di fede non è solo lo specifico di un pastore ma di ogni credente . Non c’è altro fondamento che Cristo, come dice Paolo nella I lettera ai Corinzi (3,11). Nell’universalità dei ministeri, cioè dei compiti da svolgere secondo le proprie attitudini, affidati a ogni membro di chiesa, il pastore si prepara, conseguendo una laurea in Teologia, per poter annunciare la Parola chiarendone il senso alla luce di un rapporto e confronto dinamico con la contemporaneità.

In una chiesa riformata, come quella Valdese, la cui struttura non prevede gerarchie ma solo un centro, Cristo, intorno cui ruota la comunità dei credenti, il pastore condivide in una orizzontalità fraterna un percorso di fede con i membri della chiesa nella quale esercita il suo ministero.

 

Come mai hai deciso di rivestire questo ruolo di pastore? 

Il mio percorso è abbastanza originale. Ho ricevuto la fede piuttosto tardi e nello stesso momento in cui ho percepito questo dono immenso che Dio mi aveva fatto, ho anche sentito in me la fortissima spinta a restituirlo prendendomi cura, da un punto di vista spirituale, di una comunità di fede. Il ministero di pastore mi è sembrato quindi poter offrire la possibilità di proporre ad altri quella Parola che era venuta a modificare il percorso della mia esistenza nel segno di un approfondimento di senso. Testimoniare la fede che si è ricevuta accompagnando fratelli e sorelle in un cammino spesso un po’ accidentato, sostenere, incoraggiare e offrire uno sguardo teologico alla comprensione della realtà, questo è ciò che un pastore è chiamato a fare. Questo è ciò che io ho sentito e che Dio mi invitava a tentare di mettere al servizio delle mie comunità.

 

      Ma che ci fa un pastore valdese a Marsala? 

Marsala è una splendida città, ricca di storia e di tesori d’arte come tutta la nostra bella penisola. A Marsala c’è anche una Chiesa Valdese molto attiva sul territorio nonostante l’esiguità del numero di membri. D’altronde le nostre chiese non sono chiese di popolo, se non nella Valli da cui prendono origine. Benché piccola la Chiesa Valdese di Marsala costituisce comunque un importante e storico punto di confronto per il dialogo sulla spiritualità, sia in ambito interconfessionale che interreligioso. Sarebbe auspicabile che in ogni città, così come a Marsala, ci fosse l’opportunità di avere più punti di vista sul discorso religioso diventato così delicato in questi tempi. La differenza di opinione allena le menti alla dinamicità e i cuori all’incontro.

 

Come giudichi la spiritualità della nostra gente? 

La spiritualità è un aspetto molto soggettivo del vivere la fede. E’ molto bello però poterla sperimentare in una condivisione totale di sensibilità come è capitato a me venendo a lavorare a Marsala. E’ bello avere la sensazione di pregare insieme con lo stesso linguaggio ma anche con gli stessi sentimenti. La spiritualità della Chiesa di Marsala è aperta a tante suggestioni ed è in grado di accogliere stimoli dall’arte e dalla letteratura che possano continuamente nutrirla e arricchirla. E’ una spiritualità che affonda le sue radici nella tradizione della Riforma, ma sempre pronta a rinnovarsi e a crescere.

 

      Come sono i rapporti con la “dirigenza” della Chiesa cattolica? 

Le relazioni interconfessionali sono un bene prezioso per le Chiese cristiane, permettono un confronto in uno scambio di doni e alla luce di diverse sensibilità nel riferirsi a Cristo come unico Salvatore. A Marsala sono entrata, già dal mio arrivo, in un cammino inaugurato ormai anni fa di rapporti fraterni con la Chiesa cattolica e la Chiesa apostolica pentecostale. La possibilità di un dialogo, che poi si è espresso in una serie di celebrazioni ecumeniche, è stata una piacevolissima sorpresa. Ho potuto riscontrare, quindi, non solo la volontà da parte della Chiesa cattolica, ma anche l’effettivo sforzo per realizzare un dialogo fruttuoso con la nostra piccola Chiesa che è una delle voci della Riforma in Italia.

 

      Cosa vorresti dire ai nostri giovani che vivono lontani da ogni esperienza di fede? 

La parola rivolta ai ragazzi dev’essere necessariamente propositiva e motivante. Ogni epoca presenta le proprie difficoltà, la nostra è imbevuta di una mancanza di significato da dare alla propria esistenza. Si studia per cosa, se poi manca il lavoro? Si deve perseguire un’etica dell’onestà per cosa, se poi l’illegalità trionfa? Insomma la società in cui viviamo sconfessa quotidianamente valori e principi che aiuterebbero i ragazzi a realizzarsi come adulti se guidati da un ideale di giustizia e speranza. Di fronte a questo quadro piuttosto avvilente, si può proporre un messaggio, quello di Cristo, che ci offre un’altra lettura possibile della realtà. C’è un amore che scorre sotterraneo, come un fiume carsico, rispetto a quello che vediamo in superficie intorno a noi e che è l’amore di Dio, incarnato da Cristo,  amore e sostegno che ci accompagnano in ogni momento della nostra vita. E’ un amore che ci aiuta nella difficoltà e ci benedice nella gioia. E’ una possibilità non un’imposizione. Dio ci parla e ci dice : tu non sei solo, Io sono accanto a te e mi prendo cura di te perché ti amo. Offrire la possibilità ai ragazzi di sentirsi amati da Dio in Cristo, forse questo le Chiese dovrebbero fare in quel momento così delicato della loro vita in cui si affacciano alla vita adulta.

 

      Che rapporto hai con le persone della tua comunità? 

Sono contenta che mi venga fatta questa domanda perché mi permette di ringraziare le mie comunità, quella in cui ho esercitato il ministero fino ad ora, e quella di Trapani- Marsala per l’accoglienza e l’affetto dimostratimi. Per me è naturale, dal punto di vista caratteriale, stabilire non solo un legame di collaborazione di lavoro ma soprattutto un legame affettivo con le comunità con le quali condivido la preghiera. Se la preghiera non è condivisione di emozione perde di significato, e la condivisione di emozione si può realizzare solo quando si innesta sulla base di una relazione affettiva già precedentemente stabilita.  Fin dal mio arrivo nella comunità di Trapani-Marsala ho percepito che questa relazione sarebbe stato possibile costruirla in tempi brevissimi, e così è stato.

 

1° febbraio 2015