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26/05/2015 09:58:00

Al Maxxi di Roma "Sue proprie mani"

Nell’atmosfera pulsante di queste ultime giornate di primavera, non dimenticate una visita al Maxxi di Roma.

Il Maxxi merita sempre per il suo ardimento espositivo e la sua tempestività visionaria sui temi vitali della storia recente, un passaggio dalle sue porte ciclopiche.

Fino al 7 Giugno, questo anno, al piano terra potrete lasciarvi, letteralmente, inghiottire dalle atmosfere intimistiche della istallazione prodotta da Adrian Paci, artista albanese di talento, al momento residente in Italia, e dal regista, già vincitore di un David di Donatello, Roland Sejko. La mostra, curata da Cristiana Perrella, che punta l’attenzione sull’attualissimo tema dello sradicamento e della lontananza forzata dalla terra natia che accomuna il globo da nord a sud, parte da una rilettura emotiva e filmata delle lettere dei soldati italiani rimasti in Albania al termine dell’ultimo conflitto mondiale, in attesa di essere rimpatriati.

Il titolo, “Sue proprie mani”, una sigla epistolare d’altri tempi, quasi un primitivismo nella stagione della comunicazione digitale, è denotativo per una mostra di carte che non hanno, al contrario, mai conosciuto la destinazione, un’allegoria di ordinario dolore quotidiano reiterato e protratto, e mette in luce una travagliata vicenda di missive in entrata e in uscita dall’Albania che non ha avuto risposte.

Le lettere di cui potrete ascoltarne la lettura recitata, narrata dai cinque video che vanno a comporre la complessità della installazione, realizzati nell’ex palazzo di Re Zog a Durazzo, sono state recentemente rinvenute nell’Archivio di Stato albanese, in sacchi di corrieri inevasi, destinate o inoltrate da militi italiani trattenuti fra le mura balcaniche fino all’avvio delle relazioni diplomatiche del 1949.

Come nel fluttuare lattiginoso degli ultimi fotogrammi del film del 2006 “Nuovomondo” di Emanuele Crialese, in cui candore e aspettative dettate dall’esodo dell’emigrazione italiana d’inizio del ventesimo secolo, sono stati capaci di dar vita ad un’apnea surreale, l’installazione prodotta da Paci trasluce un orizzonte alternativo nella sintesi della globalizzazione moderna che va oltre la connotazione sociologica del puro nomadismo esistenziale e invade l’identità dell’essere.

Al pari del poeta ellenistico Callimaco, dunque, “Sue proprie mani” rigetta i facili roboanti eroismi e ripercorre, attraverso le frammentarie parole degli inconsapevoli militi d’Albania, svuotati delle loro energie, passi della lirica, preferendo, citando l’autore, “l’esile sorgente al fangoso Eufrate”, e sottolineando, così, la purezza cristallina e l’essenzialità dei versi rispetto alla grossolanità e alla rozzezza prolissa della poesia epica.

 

Francesca Pellegrino