Castelvetrano, cani randagi e maltrattamenti. Ecco tutte le foto shock
Un rifugio lager. Questo sembra emergere dalle tante foto di cani sofferenti nei recinti di contrada Seggio, a Castelvetrano, dove ci sono parte dei circa 200 animali affidati dal Comune di Castelvetrano all’associazione Laica. Sembra sia successo di tutto. Oltre a “cani in gravidanza, in calore, in allattamento ed in fase di accoppiamento”, come recita una relazione ufficiale del dottor Luigi Mauceri, dirigente del Dipartimento Prevenzione Veterinaria dell’Asp, c’è molto altro.
Cani affetti da rogna insieme a cani sani. Animali malati di leishmania, pieni di ulcere e muco, senza alcun riguardo particolare. Rickettsiosi ed erlichiosi in cani torturati da zecche a grappolo.
E poi ci sono i cani morti, perché sbranati tra di loro. E poi gli episodi di cannibalismo, forse causati dall’eccessivo stress.
Eloquenti più di qualsiasi relazione sono le foto postate su Facebook da parte di un parente della presidente dell’associazione animalista (che ha avuto la possibilità di accedere al sito), riuscendo a portare anche un paio di cani dal veterinario per le cure del caso: febbre alta, inappetenza, anemia, malattie da zecche.
Lo stesso ha documentato anche un paio di cani morti sbranati e pubblicato un video dove addirittura riesce a scongiurare la morte di una cagnolina, presa di mira da un branco.
Cani morti che però non risulterebbero da nessuna parte. Nemmeno quelli morti di malattia o di vecchiaia. Dall’aprile del 2013 ad oggi non ci sono mai state comunicazioni di decesso da parte della Laica. L’Asp non ne ha mai saputo nulla. Il comune di Castelvetrano nemmeno.
Così come nel corso dei mesi nessun cane sarebbe stato mai sterilizzato, nessuno per cui sia stato richiesto un intervento o una visita in canile (una volta riaperto, nell’aprile del 2014).
Le foto sono diventate ormai tante e, qualora ce ne fosse ancora bisogno, danno la misura della gravissima situazione in cui versa uno dei rifugi dell’associazione gestita da Liliana Signorello. Rifugi in realtà mai autorizzati come canili, ma solo come ricoveri temporanei. Sono foto che stanno facendo il giro del web e che probabilmente hanno stimolato l’interesse di altre persone, che hanno recapitato anonimamente nella cassetta delle lettere della locale associazione Enpa, una pen drive con ulteriori agghiaccianti scatti. Scatti che, oltre ad essere stati pubblicati qui, sono finiti sul tavolo del responsabile del Servizio Nazionale Guardie Zoofile dell'Enpa, che sta cercando di dare il proprio apporto in questa complicata vicenda.
E la vicenda è complicata perché non coinvolge soltanto la Laica di Liliana Signorello.
La relazione Asp del dottor Mauceri, datata il 28 maggio scorso, si riferisce infatti anche all’associazione Naturamica di Valerio Ingoglia e all’allevatore Filippo Carimi (che avrebbero in carico rispettivamente 12 e 47 cani, dei quali però non ci sono foto in circolazione) quando parla della “necessità imminente di mettere in atto tutte le azioni che permettano la collocazione degli animali in altre strutture idonee, anche al fine di scongiurare possibili azioni di polizia sanitaria che diventerebbero improcrastinabili”.
Si tratta di rifugi per i quali il Comune di Castelvetrano, nel biennio 2013-2014 ha destinato quasi 300 mila euro, di cui 150 mila euro alla Laica ed il resto tra Naturamica e Carimi.
Recentemente, l’accordo che prevedeva 2 euro giornalieri per cane, è stato ribassato ad 1,50 euro.
Se dovesse rimanere quest’impostazione, la spesa per mantenere i 200 animali della Laica in uno stato a dir poco pietoso, sarebbe di 108 mila euro all’anno. Senza contare la cinquantina di cani nelle altre due strutture per circa 25 mila euro.
Ma tra le somme destinate dal Comune e quelle effettivamente percepite dalle due associazioni e dall’allevatore, c’è sempre una differenza. Si sa, i soldi pubblici non arrivano sempre puntuali.
Ecco perché non ha molto senso, così come è stato diffuso dalla Laica in una nota, dire che il Comune stia riconoscendo soltanto “57 centesimi al giorno”. Insomma, la liquidità temporanea è un conto, le cifre assegnate un altro. Sono soldi che prima o poi arrivano.
Chiaramente però le cure e i trattamenti antiparassitari per evitare che i cani soffrano o muoiano, non possono certo aspettare i tempi del Comune. E allora non si capisce come mai un’associazione animalista possa permettere quello che sembra un maltrattamento di fatto, che con tutta evidenza è emerso non solo dalle foto, ma anche dai risultati dei controlli dell’Asp.
Certo, la situazione è più complessa di quella che potrebbe apparire ad una lettura superficiale. Perché i protagonisti di questa vicenda non sono soltanto i rifugi privati in questione. Qui è come se il maltrattamento (difficile chiamarlo in un altro modo a vedere le condizioni dei cani fotografati) fosse stato “istituzionalizzato” da un comportamento quantomeno omissivo sia dell’amministrazione comunale che dell’Asp.
Tutto è nato col piede sbagliato già a cominciare dall’assegnazione degli animali: niente registro, niente elenco di microchip, nessun verbale di consegna con accordi precisi sulle modalità e sui luoghi di custodia.
E, col passare dei mesi, era come se per il Comune e per l’Asp fosse normale non ricevere alcuna comunicazione sui decessi, sulle malattie, sullo smaltimento di cani che sulla carta non morivano mai. Qui non si tratta di un privato qualsiasi che sceglie di sotterrare il proprio cane in giardino. Qui i cani, anche se affidati ai rifugi privati, sono di proprietà del Comune. Ed il Comune, appunto, si sarebbe dovuto occupare dello smaltimento delle carcasse dei cani morti. Nessuno però si è mai chiesto dove siano tutti i cani morti in questo lungo periodo cominciato dall’aprile del 2013. Fosse comuni? Difficile dirlo.
E quando l’Asp, seppur tardivamente, chiede per iscritto al sindaco di trasferire i cani altrove, non succede nulla. Tutto rimane uguale a prima. Anzi, in alcuni casi, è lo stesso sindaco ad assegnare qualche altro randagio alla Laica.
Non succede nulla dopo l’esposto dell’Enpa Nazionale, che si è fatta quelle domande che Asp e Comune non si erano mai presi la briga di porsi.
Non succede nulla dopo la richiesta di urgenti chiarimenti e di un tavolo tecnico da parte della delegata provinciale dell’Oipa Anna Calderone, da parte dell’Enpa locale e di comuni cittadini che hanno a cuore il benessere degli animali.
Non succede nulla dopo l’intervento di un consigliere comunale (Luciano Perricone) che distribuisce un dettagliato dossier sulle stranezze verificatesi in questa lunga (ed ancora non conclusa) storia.
Non succede nulla nemmeno dopo che il dossier finisce nelle mani dei giornalisti locali. Poche settimane dopo viene invece pubblicata acriticamente su una testata on line una lunghissima replica della Laica in cui si ammette candidamente che “con le esigue risorse a disposizione, abbiamo fatto il possibile”. Peccato che “il possibile” possa aver prodotto malattie, sofferenze e morte che potevano e dovevano essere evitate.
Una replica che lascia tante domande senza risposta. Dove sembra che l’orrore emerso dalle tante foto che hanno lasciato a bocca aperta animalisti e semplici cittadini, possa essere liquidato col fatto che i fondi previsti per l'associazione non siano stati interamente percepiti. Riguardo alle sterilizzazioni invece, secondo la signora Signorello, sarebbero state richieste più volte nel corso dei mesi “ahimè verbalmente al responsabile del Dipartimento di Castelvetrano” e “solo ultimamente con una nota ufficiale indirizzata al sindaco”.
In sostanza gli animali si sono accoppiati e moltiplicati per mesi, senza che nessuno pretendesse la cosa più sensata da fare: le sterilizzazioni. Al punto che delle cagnoline, che al controllo del microchip sono risultate provenire da quel rifugio, sono state rinvenute gravide a girovagare nelle periferie della città. Curiosamente però, dalle pagine locali del Giornale di Sicilia, la presidente della Laica fornisce informazioni sulle difficoltà nelle sterilizzazioni da parte del canile, che avrebbe accumulato troppi cani da sterilizzare a causa delle poche ore di attività previste da parte del veterinario dell’Asp.
Peccato che non sia vero, dal momento che, come ci è stato confermato dalla struttura municipale di via Errante Vecchia, il canile non ha affatto accumulato cani da sterilizzare. Che invece rimangono spesso in strada perché la struttura comunale è satura per la presenza di cuccioli abbandonati (ce ne sono quasi 50) e per i primi cani del rifugio Casa Carimi, entrati in canile da mesi e non adatti ad essere rimessi nel territorio come prevede la legge regionale.
Intanto la situazione per le strade èsempre più fuori controllo: mancano le adeguate campagne di informazione istituzionale sui microchip e le sterilizzazioni dei cani di proprietà (è bene ricordare che le cucciolate che intasano il canile provengono quasi tutte da cittadini che se ne vogliono disfare. Mamma randagia non li abbandonerebbe certo nelle scatole). Mancano i controlli serrati e le relative sanzioni. Mancano i protocolli di emergenza, chiesti anche per iscritto da associazioni e veterinari. Il cittadino si trova circondato da randagi in ogni dove, paga per un servizio che non percepisce e per animali mal custoditi. E quando chiama per le segnalazioni si sente spesso rispondere che il canile è pieno e che non possono fare nulla.
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